Patacchina savonese inedita
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Per ben quattro volte, nel decorso di un secolo e mezzo, Savona fu sottoposta alla dominazione milanese; dapprima, nel 1354, a Giovanni Visconti, e, per tre anni, a’ successori di lui, Bernabò e Galeazzo; — poi, dal 1421 al 1435, a Filippo Maria; — poi ancora, circa trent’anni dopo, a Francesco Sforza, e, morto questi, a suo figlio Galeazzo Maria, da cui in séguito fu ceduta a Genova; — infine, dal 1487, per oltre un decennio, di nuovo alla signoria degli Sforza.
Il primo periodo non ci lasciò monumenti numismatici speciali1; — del terzo e del quarto, ossia degli Sforza, non si conosce che una sola moneta, il grosso del duca Francesco2; — del secondo periodo, vale a dire della dominazione di Filippo Maria Visconti, erano note sinora due monete3, alle quali sono lieto di poter aggiunger qui una terza, ch’io ritengo inedita, e che si conserva nel Medagliere di Brera:
Patacchina. Mistura. Peso, grammi 1,402.
D/ — COMVNIS: (scudetto): SAONA
Arme inquartata 1 e 4 dell’aquila e 2 e 3 del biscione, entro cerchio di perline.
R/ — MONETA (rosetta) SAONA (scudetto):
Croce, entro cerchio.
Non ho esitato ad attribuire questo pezzo al Visconti, anziché agli Sforza; infatti (anche prescindendo dalla circostanza che l’unica moneta savonese sforzesca a noi nota, quella di Francesco, ne reca il nome) la monetina di Brera si può assegnare con sicurezza a Filippo Maria Visconti per la rispondenza delle sue leggende a quelle delle due monete di Filippo Maria, pubblicate dal Promis4. Questa rispondenza è esatta, materialmente, anche nella grafia: comvnis e moneta saona invece di: comvnis e moneta saone; ma ciò che più importa, per escludere l’attribuzione alla signoria sforzesca, si è di por mente al non trovarvisi l’espressione: Civitas Saone, che, introdotta per la prima volta da Lodovico XI, si mantiene poi costantemente su tutte le monete uscite dalla zecca di Savona; — bisognerebbe, in caso diverso, ammettere per la nostra monetina un «ritorno all’antico», che costituirebbe un’eccezione troppo singolare.
Ho chiamato patacchina questa moneta, poiché essa, per le sue dimensioni, corrisponde esattamente a tutte le altre patacchine savonesi d’epoca anteriore e (si noti) anche d’epoca posteriore alla dominazione di Filippo Maria; e perchè quest’argomento delle dimensioni è rafforzato in modo eloquentissimo dall’argomento del peso. La monetina pesa infatti, come ho detto, grammi 1,402; ora, un’altra patacchina savonese, ch’è pure nel Gabinetto di Brera, ed è un po’ meno sciupata, pesa grammi 1,405, il che equivale a dire che tali due monete hanno l’identico peso.
È bensì vero che l’illustre Domenico Promis, non conoscendo la patacchina di Filippo Maria (la quale, a parer mio, è questa), e pur volendo spiegare i termini della convenzione del 16 luglio 1425 con gli zecchieri Interminelli e Bugia5, credette di ravvisare tale patacchina nella maggiore delle due monete da lui pubblicate, presupponendo per ciò una riduzione di titolo nella nuova coniazione ed un aumento nel corso delle monete preesistenti; — ma, tanto più ora che possediamo una moneta la quale per ogni riguardo appare essere la vera patacchina di Filippo Maria, mi sembra naturale di considerare semplicemente la moneta del Promis per quello che dovrebb’essere, cioè una mezza patacchina6, avendo essa le dimensioni precise delle altre mezze patacchine savonesi.
E si osservi quale elegante gradazione ne risulta nella monetazione di Filippo Maria:
La patacchina ha due aquile e due biscioni, inquartati;
La mezza patacchina ha un’aquila ed un biscione, nel campo partito;
Il denaro piccolo ha da una faccia la sola aquila, mentre la biscia è ridotta ad accantonare la croce (analogamente al giglio in una monetina di Lodovico XI).
Prima di chiudere, mi si permetta una digressione.
Nel descrivere la patacchina inedita del Gabinetto di Brera, ho considerato come diritto della moneta il lato coll’arme e la leggenda: Comunis Saone; nel far ciò mi sono conformato all’uso invalso, e, d’altra parte, in questo caso speciale della patacchina, poco importava il considerare come diritto o rovescio l’un lato oppure l’altro. Ma prendendo in esame, nel loro complesso, le monete di Savona, quali ci si presentano raccolte nella più volte citata Memoria di Domenico Promis, mi vado sempre più persuadendo che, per quanto ciò possa ripugnare alle consuetudini, bisognerebbe invertire le descrizioni ed i disegni di tutte queste monete (o almeno di gran parte di esse) e considerare come diritto ciò che per il Promis è rovescio e viceversa.
Il Promis, seguendo le regole generalmente adottate dai numismatici, considera come diritto quel lato sul quale si afferma, con indicazione figurata, scritta o araldica, l’autorità da cui venne fatta battere la moneta. Non ho la pretesa di sconvolgere questo principio, combattendolo in tesi generale; ma, pur rimanendo nel campo della numismatica savonese, osserverò che addirittura ci si affacciano alcune eccezioni, le quali facilmente mi verranno concesse. Sono costituite da quelle monete sulle quali, secondo il Promis, si dovrebbe leggere nel diritto: Civitatem Savonæ, e nel rovescio: Virgo Maria protege, e ciò perchè nel primo lato hanno l’aquila, che è l’arme della città. Ma è ben più ovvio il leggere invece: Virgo Maria protege civitatem Savonæ; e infatti, per es., il ch. Magg. Vittorio Poggi, in un recente suo articolo7, descrivendo il testone savonese già di proprietà del March. Angelo Remedi, considera come diritto il lato della moneta colla B. V. e: Virgo Maria protege. Ed uno scrittore del secolo scorso, il Polleri, nel suo libriccino: Il triplice Vassallaggio di Savona verso Maria Santissima8, scrive che la B. V. aveva condisceso alle continue istanze fattele da’ Savonesi per averla come protettrice, «esprimendo anche i lor prieghi nelle monete d’oro, e d’argento, che pria battevano col motto: Virgo Maria Protege Civitatem Savonæ.» Si osservi che sulle monete di Pisa leggesi l’invocazione: PROTEGE VIRGO PISAS; ora, non mi sembra ardito, anzi mi sembra naturale il supporre che i Savonesi, adottando il: VIRGO MARIA PROTEGE CIVITATEM SAVONAE, non abbiano fatto altro che imitare l’invocazione che leggevasi sulle monete di Pisa, come già avevano adottato per arme un’aquila tanto simile a quella pisana9, che il Bellore, nella sua Memoria ms. sulla zecca di Savona, descrive un grosso pisano scambiandolo per savonese10. Un testone di Savona, ed uno di Pisa (entrambi conservati nel Gabinetto di Brera), evidentemente sincroni, colla B. V. e le invocazioni suddette, si rassomigliano in modo mirabile: l’una moneta sembra imitata dall’altra.
Sono noti i legami di gratitudine che avvincevano Savona a Pisa per l’aiuto prestato un tempo da questa ai Savonesi contro Genova11.
Che il diritto sia la parte su cui v’è la leggenda: Virgo Maria protege, sarebbe confermato anche, a mio modo di vedere, dalla circostanza che la parola VIRGO è preceduta quasi sempre da una crocetta12; ora è noto che la crocetta sta comunemente (non sempre, lo riconosco) ad indicare il principio della leggenda; invece la parola CIVITATEM non è mai preceduta dalla crocetta, ciò che indica essere tal parola la semplice continuazione della leggenda dell’altro lato, che io chiamo diritto di tali monete.
Ripeto, per questa classe di monete savonesi coll’invocazione alla B. V., spero che pei motivi addotti mi si concederà l’inversione del diritto e del rovescio.
Ma anche per le altre, o almeno per quasi tutte le altre, vi sono argomenti che militano a favore di quest’inversione. Infatti, se nelle monete in cui la leggenda non è spezzata si legge pianamente in giro: MONETA SAONE, oppure: MONETA CIVITATIS SAONE, perchè mai, quando la leggenda è spezzata, quando è distribuita sulle due faccio della moneta, dovremmo leggere invece: SAONE MONETA? Lo stesso Promis, volendo esser troppo metodico nell’enunciare il diritto ed il rovescio, non è caduto forse in una contraddizione eloquentissima, là dove dice: La moneta n. 5, Tav. I, ha da una parte l’aquila col nome della città: SAONE, e dall’altra una croce ed in giro: MONETA, “onde leggesi Moneta Saone„?
Per me non v’è dubbio che, in tali monete, il diritto sia il lato colla croce, e il rovescio quello coll’aquila, in modo insomma che la leggenda suoni sempre spontaneamente: Moneta Saone.
Vi sarebbe, ch’io vegga, un solo argomento da opporre: l’alternarsi come a capriccio delle iniziali M — S e S — M che accostano l’arme savonese nelle monete di Lodovico XII e di Francesco I, e che il Promis interpreta: Moneta Savonæ, Savonæ moneta. A questo proposito osserverò che, quantunque le varietà con S — M siano altrettanto comuni di quelle con M — S, lo scambio stesso delle iniziali lascia supporre qualcosa di anormale, e si spiega benissimo, mi pare, colla facilità di confondersi nell’applicare a rovescio tali lettere isolate nel campo del conio. Le iniziali S — M, così disposte, non sarebbero altro che errori di conio; le stesse monete di Savona ci offrono un esempio di tali errori (del resto frequentissimi, com’è noto), nel MONETAS del grosso di Francesco Sforza, ma per le iniziali M — S, S — M, vi è inoltre appunto la facilità dello scambio per la loro posizione isolata nel campo.
D’altra parte, mancano gli elementi per poter dimostrare con sicurezza che quelle iniziali si debbano interpretare: Moneta Savonæ13.
Combattuta anche quest’obbiezione, potranno forse accettarsi con minor difficoltà le conseguenze che scaturiscono dalle modeste osservazioni suesposte, vale a dire le numerose inversioni che ne derivano tra il diritto ed il rovescio delle monete savonesi.
Vorrei aggiungere alcune considerazioni generali, suggeritemi da quanto precede, e che avrebbero per base il carattere religioso della moneta nel Medio Evo e ancora nei primi tempi dell’Evo Moderno, carattere cui ritengo non si dia P importanza che merita, ma queste considerazioni mi condurrebbero troppo lontano dal nostro punto di partenza, talché stimo opportuno di rimandarle a miglior occasione.
Note
- ↑ Promis Domenico, Monete della zecca di Savona, Torino, 1864, pag. 27. — Ecco le sue parole: «Nessun indizio» havvi «per credete che durante la breve signoria di Giovanni e Galeazzo con Bernabò Visconti, cioè dal 1354 al 1357, abbia essa (Savona) variato l’impronto «e delle sue monete, ecc.». — Infatti, nel diploma del 1355 (Promis, op. cit., pag. 40), in cui Bernabò e Galeazzo confermano alla città di Savona il diritto di zecca già concessole da Lodovico il Bavaro, si dice soltanto che ai Savonesi è accordata licenza «faciendi, seu fieri faciendi zecham florenorum et monete argentee modo quo actenus ipsam facere consueverunt.»
- ↑ Promis, op. cit., pag. 33.
- ↑ Idem, pag. 30-31. — Il Catalogo della Collezione Amilcare Ancona (Milano, 1885) registra due esemplari d’una variante (pag. 821, n. 8580-81).
- ↑ Ibidem, Tav. III, nn. 22 e 28.
- ↑ Ibidem, pag. 80.
- ↑ Infatti, per es., nel Catalogo della Collezione Franchini (Roma, 1879; a pag. 127, n. 2224) d indicata come una mezza patacchina, nonostante l’accurato riferimento alla Tavola ed al numero del Promis.
- ↑ Una moneta inedita di Savona (negli Atti e Memorie della Società Storie Savonese Vol. I, Savona, 1888, pag. 521).
- ↑ Il triplice Vassallaggio che vanta la Città di Savona all’Immacolatissima Vergine, e Madre di Misericordia MARIA, Regina del Paradiso, Signora dell’Vniverso, etc, sua particolar Protettrice per tre insigni grazie, e prodigi oprati dalla medesima nel Savonese distretto succintamente de" scritti dal Dottor Filippo Alberto Polleri Savonese, Promotor Fiscale del S. Vfficio. In Genova, MDCCXIX. Per Antonio Scionico, nel Vico del Filo. (A pag. 4).
- ↑ Promis, op. cit., pag. 14.
- ↑ Ibidem, pag. 19-20.
- ↑ «Savona per dimostrare ai Pisani la sua riconoscenza per l’aiuto datole, li dichiarò suoi concittadini.» (Promis, ibidem, pag. 13).
- ↑ Promis, op. cit., Tav. III, nn. 28 e 30; Tav. IV, nn. 34, 35, 36, 37. — Il n. 29, Tav. III, ed i nn. 38 e 39, Tav. IV, non hanno la crocetta, ma per il motivo che la testa della figura occupa lo spazio sin quasi all’orlo della moneta. Il n. 31, Tav. IV, infine, ha un giglio invece della crocetta, prima della parola virqo; è l’unica eccezione, ma se non vale a corroborare il mio argomento, non vale neppure ad infirmarlo.
- ↑ Il Rentzmann (Numismatisches Legenden-Lexicon) non registra né l’abbroviatura m. s. né quella s. m. come da attribuirsi alla zecca di Savona; è vero però che quel libro, edito nel 1865-66, è quasi contemporaneo alla Memoria del Promis, e quindi l’omissione pnò dipendere da cause materiali. La 2° ediz. dello Schlickeysen (Erklärung der Abkür- zungen auf Münzen, ecc., zweite Auflage von Dr. R. Pallmann und Dr. H. Droysen), ch’è molto più recente (1882), registra l’abbreviatura m. s. per Moneta Savonæ, ma tralascia l’altra, s. m.
Del resto, la sigla m, per Moneta si trova bensì usata frequentemente nei Paesi Bassi, in Germania, in Polonia, in Ungheria ed altrove; — ma, per quanto io mi sappia, tutta la numismatica italiana non ce ne offrirebbe che un solo esempio: il cavallotto di Vespasiano Gonzaga, coll’arme accostata dalle lettere m — s che l’Affò legge: Moneta Sablonetæ. Ma neppure in quest’unico esempio l’interpretazione è incontrastata, poiché vediamo che lo Zanetti, in una postilla all’Affò, esprime i propri dubbi intorno a quella lettura (Zanetti, Nuova Raccolta delle monete e zecche d’Italia, Tomo III, pag. 189).