Operette morali (Leopardi - Donati)/Dialogo della Terra e della Luna

Dialogo della Terra e della Luna

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Dialogo della Terra e della Luna
Dialogo della Natura e di un’Anima La scommessa di Prometeo
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DIALOGO

DELLA TERRA E DELLA LUNA

Terra. Cara Luna, io so che tu puoi parlare e rispondere; per essere una persona, secondo che ho inteso molte volte da’ poeti: oltre che i nostri fanciulli dicono che tu veramente hai bocca, naso e occhi, come ognuno di loro; e che lo veggono essi cogli occhi propri; che in quell’etá ragionevolmente debbono essere acutissimi. Quanto a me, non dubito che tu non sappi che io sono né piú né meno una persona; tanto che, quando era piú giovane, feci molti figliuoli: sicché non ti maraviglierai di sentirmi parlare. Dunque, Luna mia bella, con tutto che io ti sono stata vicina per tanti secoli, che non mi ricordo il numero, io non ti ho fatto mai parola insino adesso, perché le faccende mi hanno tenuta occupata in modo, che non mi avanzava tempo da chiacchierare. Ma oggi che i miei negozi sono ridotti a poca cosa, anzi posso dire che vanno co’ loro piedi; io non so che mi fare, e scoppio di noia: però fo conto, in avvenire, di favellarti spesso, e darmi molto pensiero dei fatti tuoi; quando non abbia a essere con tua molestia.

Luna. Non dubitare di cotesto. Cosí la fortuna mi salvi da ogni altro incomodo, come io sono sicura che tu non me ne darai. Se ti pare di favellarmi, favellami a tuo piacere; che quantunque amica del silenzio, come credo che tu sappi, io ti ascolterò e ti risponderò volentieri, per farti servigio. [p. 46 modifica]

Terra. Senti tu questo suono piacevolissimo che fanno i corpi celesti coi loro moti?

Luna. A dirti il vero, io non sento nulla.

Terra. Né pur io sento nulla, fuorché lo strepito del vento che va da’ miei poli all’equatore, e dall’equatore ai poli, e non mostra saper niente di musica. Ma Pitagora dice che le sfere celesti fanno un certo suono cosí dolce ch’è una maraviglia; e che anche tu vi hai la tua parte, e sei l’ottava corda di questa lira universale: ma che io sono assordata dal suono stesso, e però non l’odo.

Luna. Anch’io senza fallo sono assordata; e, come ho detto, non l’odo: e non so di essere una corda.

Terra. Dunque mutiamo proposito. Dimmi: sei tu popolata veramente, come affermano e giurano mille filosofi antichi e moderni, da Orfeo sino al De la Lande? Ma io per quanto mi sforzi di allungare queste mie corna, che gli uomini chiamano monti e picchi; colla punta delle quali ti vengo mirando, a uso di lumacone; non arrivo a scoprire in te nessun abitante: se bene odo che un cotal Davide Fabricio, che vedeva meglio di Linceo, ne scoperse una volta certi, che spandevano un bucato al sole.

Luna. Delle tue corna io non so che dire. Fatto sta che io sono abitata.

Terra. Di che colore sono cotesti uomini?

Luna. Che uomini?

Terra. Quelli che tu contieni. Non dici tu d’essere abitata?

Luna. Sí, e per questo?

Terra. E per questo, non saranno giá tutte bestie gli abitatori tuoi.

Luna. Né bestie né uomini; che io non so che razze di creature si sieno né gli uni né l’altre. E giá di parecchie cose che tu mi sei venuta accennando, in proposito, a quel che io stimo, degli uomini, io non ho compreso un’acca.

Terra. Ma che sorte di popoli sono coteste?

Luna. Moltissime e diversissime, che tu non conosci, come io non conosco le tue. [p. 47 modifica]

Terra. Cotesto mi riesce strano in modo, che se io non l’udissi da te medesima, io non lo crederei per nessuna cosa del mondo. Fosti tu mai conquistata da niuno de’ tuoi?

Luna. No, che io sappia. E come? e perché?

Terra. Per ambizione, per cupidigia dell’altrui, colle arti politiche, colle armi.

Luna. Io non so che voglia dire armi, ambizione, arti politiche, in somma niente di quel che tu dici.

Terra. Ma certo, se tu non conosci le armi, conosci pure la guerra: perché poco dianzi, un fisico di quaggiú con certi cannocchiali, che sono istrumenti fatti per vedere molto lontano, ha scoperto costí una bella fortezza, co’ suoi bastioni diritti; che è segno che le tue genti usano, se non altro, gli assedi e le battaglie murali.

Luna. Perdona, monna Terra, se io ti rispondo un poco piú liberamente che forse non converrebbe a una tua suddita o fantesca, come io sono. Ma in vero che tu mi riesci peggio che vanerella a pensare che tutte le cose di qualunque parte del mondo sieno conformi alle tue; come se la natura non avesse avuto altra intenzione che di copiarti puntualmente da per tutto. Io dico di essere abitata, e tu da questo conchiudi che gli abitatori miei debbono essere uomini. Ti avverto che non sono; e tu consentendo che sieno altre creature, non dubiti che non abbiano le stesse qualitá e gli stessi casi de’ tuoi popoli; e mi alleghi i cannocchiali di non so che fisico. Ma se cotesti cannocchiali non veggono meglio in altre cose, io crederò che abbiano la buona vista de’ tuoi fanciulli, che scuoprono in me gli occhi, la bocca, il naso che io non so dove me li abbia.

Terra. Dunque non sará né anche vero che le tue province sono fornite di strade larghe e nette; e che tu sei coltivata: cose che dalla parte della Germania, pigliando un cannocchiale, si veggono chiaramente1.

Luna. Se io sono coltivata, io non me ne accorgo, e le mie strade io non le veggo.

Terra. Cara Luna, tu hai a sapere che io sono di grossa [p. 48 modifica] pasta e di cervello tondo; e non è maraviglia che gli uomini m’ingannino facilmente. Ma io ti so dire che se i tuoi non si curano di conquistarti, tu non fosti però sempre senza pericolo: perché in diversi tempi, molte persone di quaggiú si posero in animo di conquistarti esse; e a quest’effetto fecero molte preparazioni. Se non che, salite in luoghi altissimi, e levandosi sulle punte de’ piedi, e stendendo le braccia, non ti poterono arrivare. Oltre a questo, giá da non pochi anni, io veggo spiare minutamente ogni tuo sito, ricavare le carte de’ tuoi paesi, misurare le altezze di cotesti monti, de’ quali sappiamo anche i nomi. Queste cose, per la buona volontá ch’io ti porto, mi è paruto bene di avvisartele, acciò che tu non manchi di provvederti per ogni caso. Ora, venendo ad altro, come sei molestata da’ cani che ti abbaiano contro? Che pensi di quelli che ti mostrano altrui nel pozzo? Sei tu femmina o maschio? perché anticamente ne fu varia opinione2. È vero o no che gli arcadi vennero al mondo prima di te3? che le tue donne, o altrimenti che io le debba chiamare, sono ovipare; e che uno delle loro uova cadde quaggiú non so quando4? che tu sei traforata a guisa dei paternostri, come crede un fisico moderno5? che sei fatta, come affermano alcuni inglesi di cacio fresco6? che Maometto un giorno, o una notte che fosse, ti spartí per mezzo, come un cocomero; e che un buon tocco del tuo corpo gli sdrucciolò dentro alla manica? Come stai volentieri in cima dei minareti? Che ti pare della festa dei bairam?

Luna. Va pure avanti; che mentre séguiti cosí, non ho cagione di risponderti, e di mancare al silenzio mio solito. Se hai caro d’intrattenerti in ciance, e non trovi altre materie che queste; in cambio di voltarti a me, che non ti posso intendere, sará meglio che ti facci fabbricare dagli uomini un altro pianeta da girartisi intorno, che sia composto e abitato alla tua maniera. Tu non sai parlare altro che d’uomini e di cani e di cose simili, delle quali ho tanta notizia, quanta di quel sole grande grande, intorno al quale odo che giri il nostro sole. [p. 49 modifica]

Terra. Veramente, piú che io propongo, nel favellarti, di astenermi da toccare le cose proprie, meno mi vien fatto. Ma da ora innanzi ci avrò piú cura. Dimmi: sei tu che ti pigli spasso a tirarmi l’acqua del mare in alto, e poi lasciarla cadere?

Luna. Può essere. Ma posto che io ti faccia cotesto o qualunque altro effetto, io non mi avveggo di fartelo: come tu similmente, per quello che io penso, non ti accorgi di molti effetti che fai qui; che debbono essere tanto maggiori de’ miei, quanto tu mi vinci di grandezza e di forza.

Terra. Di cotesti effetti veramente io non so altro se non che di tanto in tanto io levo a te la luce del sole, e a me la tua; come ancora, che io ti fo gran lume nelle tue notti, che in parte lo veggo alcune volte7. Ma io mi dimenticava una cosa che importa piú d’ogni altra, lo vorrei sapere se veramente, secondo che scrive l’Ariosto, tutto quello che ciascun uomo va perdendo; come a dire la gioventú, la bellezza, la sanitá, le fatiche e spese che si mettono nei buoni studi per essere onorati dagli altri, nell’indirizzare i fanciulli ai buoni costumi, nel fare o promuovere le instituzioni utili; tutto sale e si raguna costá: di modo che vi si trovano tutte le cose umane; fuori dalla pazzia, che non si parte dagli uomini. In caso che questo sia vero, io fo conto che tu debba essere cosí piena, che non ti avanzi piú luogo; specialmente che, negli ultimi tempi, gli uomini hanno perduto moltissime cose (verbigrazia l’amor patrio, la virtú, la magnanimitá, la rettitudine), non giá solo in parte, e l’uno o l’altro di loro, come per l’addietro, ma tutti e interamente. E certo che, se elle non sono costí, non credo si possano trovare in altro luogo. Però vorrei che noi facessimo insieme una convenzione, per la quale tu mi rendessi di presente, e poi di mano in mano, tutte queste cose; donde io penso che tu medesima abbi caro di essere sgomberata, massime del senno, il quale intendo che occupa costí un grandissimo spazio; ed io ti farei pagare dagli uomini tutti gli anni una buona somma di danari.

Luna. Tu ritorni agli uomini; e, con tutto che la pazzia, come affermi, non si parta da’ tuoi confini, vuoi farmi impazzire [p. 50 modifica] a ogni modo, e levare il giudizio a me, cercando quello di coloro; il quale io non so dove si sia, né se vada o resti in nessuna parte del mondo; so bene che qui non si trova; come non ci si trovano le altre cose che tu chiedi.

Terra. Almeno mi saprai tu dire se costí sono in uso i vizi, i misfatti, gl’infortuni, i dolori, la vecchiezza, in conclusione i mali? Intendi tu questi nomi?

Luna. Oh, codesti sí che gl’intendo; e non solo i nomi, ma le cose significate, le conosco a maraviglia: perché ne sono tutta piena, in vece di quelle altre che tu credevi.

Terra. Quali prevalgono ne’ tuoi popoli, i pregi o i difetti?

Luna. I difetti di gran lunga.

Terra. Di quali hai maggior copia, di beni o di mali?

Luna. Di mali senza comparazione.

Terra. E generalmente gli abitatori tuoi sono felici o infelici?

Luna. Tanto infelici, che io non mi scambierei col piú fortunato di loro.

Terra. Il medesimo è qui. Di modo che io mi maraviglio come essendomi sí diversa nelle altre cose, in questa mi sei conforme.

Luna. Anche nella figura, e nell’aggirarmi, e nell’essere illustrata dal sole io ti sono conforme; e non è maggior maraviglia quella che questa: perché il male è cosa comune a tutti i pianeti dell’universo, o almeno di questo mondo solare, come la rotonditá e le altre condizioni che ho detto, né piú né meno. E se tu potessi levare tanto alto la voce, che fossi udita da Urano o da Saturno, o da qualunque altro pianeta del nostro mondo; e gl’interrogassi se in loro abbia luogo l’infelicitá, e se i beni prevagliano o cedano ai mali; ciascuno ti risponderebbe come ho fatto io. Dico questo per aver dimandato delle medesime cose Venere e Mercurio, ai quali pianeti di quando in quando io mi trovo piú vicina di te; come anche ne ho chiesto ad alcune comete che mi sono passate dappresso: e tutti mi hanno risposto come ho detto. E penso che il sole medesimo, e ciascuna stella risponderebbero altrettanto. [p. 51 modifica]

Terra. Con tutto cotesto io spero bene: e oggi massimamente, gli uomini mi promettono per l’avvenire molte felicitá.

Luna. Spera a tuo senno: e io ti prometto che potrai sperare in eterno.

Terra. Sai che è? questi uomini e queste bestie si mettono a romore: perché dalla parte dalla quale io ti favello, è notte, come tu vedi, o piuttosto non vedi; sicché tutti dormono; e allo strepito che noi facciamo parlando, si destano con gran paura.

Luna. Ma qui da questa parte, come tu vedi, è giorno.

Terra. Ora io non voglio essere causa di spaventare la mia gente, e di rompere loro il sonno, che è il maggior bene che abbiano. Però ci riparleremo in altro tempo. Addio dunque; buon giorno.

Luna. Addio; buona notte.




Note

  1. [p. 230 modifica]Pag. 47, l. 33: si veggono chiaramente... Vedi nelle gazzette tedesche del mese di marzo del 1824 le scoperte attribuite al sig. Gruithuisen.
  2. [p. 230 modifica]Pag. 48, l. 16: ne fu varia opinione... Vedi Macrobio, Saturnal., lib. 3, cap. 8. Tertulliano, Apologet. cap. 15. Era onorata la luna anche sotto nome maschile, cioè del dio Luno. Sparziano, Caracalla, capp. 6 et 7. Ed anche oggi nelle lingue teutoniche il nome della luna è del genere del maschio.
  3. [p. 230 modifica]ibid. l. 17: prima di te?... Menandro rettorico, lib. 1, cap. 15, in Rhetor. graec. veter. A. Manut. vol. 1, p. 604. Meursio, ad Lycophronis Alexandram: Opp. ed. Lamii, vol. 5, col. 951.
  4. [p. 230 modifica]ibid. l. 19: Ateneo, lib. 2, ed. Casaub., p. 57.
  5. [p. 230 modifica]ibid. l. 21: non so quando?... un fisico moderno?... Antonio di Ulloa. Vedi Carli, Lettere americane, part. 4, lett. 7, Opp. Milano 1784, tom. 14, p. 313 e seguente; e le Memorie enciclopediche dell’anno 1781, compilate dalla societá letteraria di Bologna, p. 6 e seguente.
  6. [p. 230 modifica]ibid. l. 22: di cacio fresco?... That the moon is made of green cheese. Si dice in proverbio di quelli che dánno ad intendere cose incredibili.
  7. [p. 230 modifica]Pag. 49, l. 13: lo veggo alcune volte... Vedi gli astronomi dove parlano di quella luce, detta opaca o cenerognola, che si vede nella parte oscura del disco lunare al tempo della luna nuova.