Opere minori (Ariosto)/Elegie e Capitoli/Elegia II

Elegia II

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ELEGIA SECONDA.




     Della mia negra penna in fregio d’oro
Molti mi sono a dimandar molesti
3L’occulto senso, ed io no ’l vô dir loro.1
     Vô che sempre nel cor chiuso mi resti;
Nè, per pregar o stimolar d’altrui,
6Giammai mi potrò indur ch’io ’l manifesti.
     Dio, come in gli altri magisteri sui,
Providenza ebbe assai, quando il côr pose
9Nella più ascosa parte ch’era in nui;
     Ch’ivi i pensieri e le segrete cose
Volse riporre, e chiudervi la via
12A queste avide menti e curïose.
     Fregiata d’ôr la negra penna mia
Ho in cento luoghi nel vestir trapunta,
15Acciò palese a tutti gli occhi sia:
     Ma vô tacer a qual effetto assunta
L’ho di portar, e non vô dir se mostra
18L’anima lieta o di dolor compunta.
     Se vo’ direte ostinazion la nostra,
Io dirò che immodesti ed importuni
21Voi sete, e gran discortesía è la vostra.
     Non so s’avete udito dir d’alcuni,
Che d’aver desiato di sapere
24Gli altrui segreti esser vorrían digiuni.
     L’uccel c’ha bigio il petto e l’ale nere,
Fu prima donna,2 e diventò cornice
27Per esser troppo vaga di sapere.
     Ciò ch’altri asconder vuol, spiar non lice,

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E vi dovrebbe raffrenar quello anco
30Che di Tiresia e d’Atteon si dice:
     De’ quali un fe restar di luce manco
Pallade ultrice,3 e l’altro fe Diana
33Sfamar i cani suoi del proprio fianco.
     Se d’esser sopraggiunte alla fontana
Nudo il bel corpo, così increbbe ad esse,
36Che vendetta ne fêro acerba e strana;
     Non fôra oltre ragion che mi dolesse
Che voi molto più addentro che alle gonne
39Veder cercate come il cor mi stesse.
     Non son già del valor di quelle donne,
Nè sì crudel ch’a voi facessi il danno
42Ch’elle fêro a Tiresia e ad Atteonne:
     Dicovi ben, che ’l dritto lor non fanno
Quei che lo studio e tutto il pensier loro
45Sol per volere interpretar posto hanno
     Questa mia negra penna in fregio d’oro.




Note

  1. Pretese il Baruffaldi di aver indovinato quel sì geloso segreto del poeta, reputando quel nero e quell’oro allusivi all’auree treccie e alla nera veste di Alessandra Strozzi; e che messer Lodovico volesse «di tal contrapposto formarsi una sua propria impresa, o vogliam dire distintivo particolare, com’era in costume de’ cavalieri nelle comparse alle giostre o torneamenti.» Vita ec., pag. 156. Noi ne lasceremo il giudizio ai lettori. Peccato che quella sì bella chioma dovesse, per infermità, essere recisa; come vedremo nell’Elegia XI, e in altre poesie.
  2. Favola toccata ancora al principio dell’Elegia quarta. Vedi la nota 1, pag. 220.
  3. Qui l’Ariosto segue il detto di Callimaco, cioè che Tiresia divenisse cieco per avere veduta Pallade ignuda in una fonte.