Opere di scultura e di plastica di Antonio Canova/Lettera dell'autrice
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LETTERA
DELL’AUTRICE
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Le vostre replicate ricerche sopra il celebre nostro Scultore Canova e le opere sue, e la più volte addotta mia insufficienza onde rispondervi adeguatamente, da voi sempre mal accolta; mi fecero nascere finalmente, pel desiderio pur di compiacervi, il pensiero di descrivere, come meglio per me si poteva, alcune delle opere sue, senza però distinzione alcuna del tempo in cui furono eseguite, e come mi accadeva di vederle, e di ammirare l’eccellenza. Io dunque ad altro non aspiro, che a risvegliare, s’è possibile in qualche parte almeno, in voi, ed in quelli che per avventura leggeranno queste mie descrizioni, quei medesimi sentimenti, che le produzioni sublimi del più gran Genio dell’età nostra, in fatto di Belle Arti, hanno destato nell’animo mio. Se non vi stancherete di leggerle, e se la vostra approvazione mi sarà dell’altrui garante, in un secondo volumetto vi parlerò di molte altre cose che tutt’ora esistono di lui, e più di quelle vi parlerò, di cui ci avrà egli fino a quel tempo arricchiti, lavorando indefessamente, e con una celerità, prodigiosa trattandosi di marmo, e di perfezione. Mi propongo pure di scrivere la di lui vita, benchè di essa interamente parlino, dirò così, i suoi lavori; tutto in essi, e per essi soli ei vivendo. Pure di sì grande uomo essendo preziosa a sapersi ogni cosa, della di lui patria vi parlerò, e della fulgida luce di più belle speranze foriera, che sparsero i primi tocchi della sua felice matita; e come la Natura con doppia liberalità la doppia via gli aprisse, che corsero i Fidia, ed i Zeusi; e come con la fiducia delle proprie forze quella più difficile di Fidia scegliesse, non però così, che posta l’altra in non cale, orme non vi abbia impresse luminose e profonde. Ho cercato, per quanto mi è stato possibile, di non cadere in alcune pressochè inevitabili ripetizioni di epiteti. Ma quella idea medesima della bellezza, che viene in mille e mille maniere diverse rappresentata da un dotto Scultore, il quale alla infinita varietà della natura che imita, aggiunge la fortunata combinazione del bello ideale che crea, non ha che pochissime voci per essere espressa dallo scrittore. E quali e quante gradazioni infinite non ci sono nella dolcezza, nella soavità, nell’asprezza, nella severità, che il più delle volte non possono che con una sola voce nominarsi! Per distinguerle tutte adeguatamente converrebbe che la nostra lingua anzi che degli uomini, opera fosse di quella medesima Divinità, che seppe mettere nelle cose simili una così meravigliosa dissomiglianza. Troverete in fronte di questo libretto inciso con bell’accuratezza il Monumento dell’Emo. Potrebbe forse taluno di poca avvedutezza tacciarmi, nel far sì con quest’unica stampa che più sensibile si renda la mancanza dell’altre. Ma chi di questa mancanza già non si avvede? Credetti anzi che questa stampa (oltre di che mi piacque ornare il mio libricciuolo d’un soggetto patrio) testimonio dell’esattezza con cui fu da me descritto, varrebbe a conciliarmi la fiducia dei miei lettori anche per quelle che mancano. E del mancar le altre, dirò solo, a mia giustificazione, che la difficoltà somma di farle incidere, ed il tempo lunghissimo che vi sarebbe occorso, m’hanno determinata a pubblicare intanto questo saggio, riserbandomi, se l’accoglienza che gli verrà fatta sarà corrispondente al modestissimo mio desiderio, e se il buon Canova vorrà essermi cortese dei disegni ch’egli solo possiede, di accingermi a dar l’opera sì per le descrizioni, che per le stampe completa. Senza cognizioni, a tant’uopo necessarie, dell’arte sublime della Scultura, io mi sono guardata dall’offenderne l’eccellenza parlandone poco e male; e mi sono semplicemente limitata a descrivere gli effetti che queste opere meravigliose destato avevano nell’animo mio, con la dolce lusinga che avrei potuto eccitare negli altri quella commozione, che io medesima risentiva. Peraltro non mi dissimulo il pericolo di dispiacere ai dotti amatori delle Arti col non arrestarmi ad individuarne le bellezze con quelle minute particolarità, che appunto delle Arti sono proprie; e di dispiacere forse ugualmente, con una troppo scrupolosa descrizione d’ogni cosa, a quelli, che lietissimi sarebbero stati di commoversi sopra la mia semplice asserzione, e non avrebbero voluto affaticarsi a ricomporre un Gruppo, o un Bassorilievo dietro le troppo minute, e forse non abbastanza chiare, mie descrizioni. In ogni modo, non avendo l’orgoglio (che d’ogni singolarità l’amor proprio si crea fonte d’orgoglio) di credere unico il mio modo di pensare, voglio lusingarmi di non dispiacere nè a Voi, per quella tanta analogìa di cuore e di spirito che ci lega, nè a quelli che per avventura penseranno come io penso su questo proposito. Comunque ciò sia, per soddisfarvi aggradite la mia buona volontà, senza rimorso alcuno di essermi stato occasione per cui io abbia perduto il mio tempo, od avventurato il mio amor proprio. Poichè in quanto al tempo, come poteva io meglio impiegarlo che trattenendomi, in compagnia dell’egregio Canova, parlando dei personaggi più grandi della Favola e della Istoria? E riguardo all’amor proprio, certa essendo dell’indulgenza degli uomini in generale per un sesso, verso di cui piuttosto si compiacciono di esercitare la generosità che la giustizia, sotto l’egida possente e sicura dell’altrui amor proprio, io mi lusingo di mettere il mio pienamente a ricovero.