Opere (Lorenzo de' Medici)/XIV. Simposio ovvero i beoni/Capitolo VII.
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CAPITOLO VII
Giunti ove noi, il sere un di lor guata
e ghigna con un occhio mezzo chiuso;
e ’l sere allor: — Ben venga la brigata!
Quanto sarebbe meglio esser lá suso,
ove innanzi vendemia voi imbottasti5
qualche buon vino, calando a rifuso! —
Disse quel che accennò: — Ser, tu cantasti —
appena; e par l’altre parole ingoi,
e non può sciôr la lingua, e disse: — Or basti. —
E, volendo il mio duca abbracciar poi,10
drizzossi a lui; ma l’onda altrove ’l mena,
ed uno abbraccia de’ compagni suoi:
sí come un can che passa con gran lena
un fiume, e passar crede al dirimpetto,
ma piú giú ’l guida la corrente piena.15
— O sere, il nome di costor sia detto,
perch’io non paia a referir capocchio, —
diss’io, e lui ’l voler mésse ad effetto.
— Quel che tu vedi, che mi chiuse l’occhio,
sappi ch’egli è ’l mio Lupicin Tedaldi,20
c’ha in capo quella cioccia di finocchio:
sfavillan gli occhi, e’ piè non tien ben saldi;
e ’l viso rosso mostra e tose l’ali.
Ma odi quel che fêrno a questi caldi.
Quando il mondo arde al suon delle cicale,25
avevan loro, e stavano a sedere,
un braccio alzata l’acqua nelle sale.
Eravi a galla assai piú d’un bicchiere:
e tristo a quel bicchier che a lor venía,
che si partiva scarico e leggére.30
Ma restoron poi sí con villania,
che cagion tra lor fu di gran travaglio,
che un peto trasse un della compagnia.
Al gorgogliar dell’acqua, a quel sonaglio,
fessi fortuna, onde certi bicchieri,35
periron, come fussin suti un vaglio.
Rizzossi il Lupicin pronto e leggieri,
e disse a quel che li sedea dallato:
— Uom non se’ da star teco volentieri;
se fussi un tale scandal perpetrato40
al tempo degli antichi padri cari,
che prezzo arebbe questo error pagato? —
Ed egli a lui: — Alle tuo spese impari,
perché ci desti a desinar fagiuoli;
sgonfiar bisogna; or ferminsi i plettiari,45
a trar la sete con tai bicchieruoli. —
Ma Benedetto Alberti s’interpone:
— D’un padre, disse, noi siam pur figliuoli;
il babbo nostro è ’l vin che dá cagione,
che noi dobbiamo stare in piú quiete:50
Lionardo, io ti vo’ vincere a ragione.
Se drento di buon vin bagnati siete,
col vin versato ci bagniam di fuori;
ché l’acqua schietta accoglie troppa sete. —
Questo parlar compose i lor fervori.55
— Tutti ci hai consolati, Lupicino,
— Benedetto dicía, — tu m’innamori. —
Poi, vòlto a drieto, ché gli era assai vicino,
disse: — Béi di mia man, ch’io di tua béo;
mai si fa buona pace sanza vino. — 60
Cosí pace col vin tra lor si feo;
stu nol sapessi, sappilo, era al bere
Ercole il Lupicino, ed evvi Anteo.
Se Benedetto accigliato sparviere
pare, e’ si dá certi punzon negli occhi,65
che non lo lascian cosí ben vedere;
fave arrostite, radice e finocchi
non fa mestier, ché ’l gusto torni loro,
o granchi fritti o cosce di ranocchi.
Orsú, deh! non parliam piú di costoro — 70
disse a me ’l sere; ed a lor: — A Dio siate. —
E’ si partiron sanza piú dimoro.
Ambo le ciglia mia eran voltate
a un ch’era presso a un trar di freccia:
e, giunto al sere, ebbi di lui pietate.75
E volle questo novo torcifeccia
abbracciar presto, ma non può perfetto,
ché pria toccossi l’una e l’altra peccia:
tre volte d’abbracciarlo fe’ concetto,
tre volte la man tese a quel cammino,80
tre volte gli tornâr le mani al petto.
Disse: — Parliam come suole un vicino
con l’altro, se convien che cosí sia,
dalla finestra, e in mezzo al chiassolino.
Ben venga il dolce mio piovan di Stia:85
forse di Casentin partito siete,
per non vi far di vin piú carestia?
Lui disse: — In parte il ver contato avete:
ma anco mi parti’ per ire al bagno,
per ritrovarci la smarrita sete:90
benché ancor béa per me ed un compagno,
pur, quel ch’io non solea che venti tratti,
come una palla grossa, al ber ristagno.
In Casentino ho fatto mille imbratti
per far la diabetica tornare,95
e fin qui invan molti rimedi ho fatti.
Questa cagione a piedi mi fa andare:
e vorrei che una febbre mi venisse
sol per poter con febbre un po’ calare.
Onde, se questo effetto non sortisse,100
contento son rinunziar la vita.
— Or seguite ’l cammin, — ’l mio ser disse:
che Dio vi renda la sete smarrita. —