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capitolo vii 185

     Cosí pace col vin tra lor si feo;
stu nol sapessi, sappilo, era al bere
Ercole il Lupicino, ed evvi Anteo.
     Se Benedetto accigliato sparviere
pare, e’ si dá certi punzon negli occhi,65
che non lo lascian cosí ben vedere;
     fave arrostite, radice e finocchi
non fa mestier, ché ’l gusto torni loro,
o granchi fritti o cosce di ranocchi.
     Orsú, deh! non parliam piú di costoro — 70
disse a me ’l sere; ed a lor: — A Dio siate. —
E’ si partiron sanza piú dimoro.
     Ambo le ciglia mia eran voltate
a un ch’era presso a un trar di freccia:
e, giunto al sere, ebbi di lui pietate.75
     E volle questo novo torcifeccia
abbracciar presto, ma non può perfetto,
ché pria toccossi l’una e l’altra peccia:
     tre volte d’abbracciarlo fe’ concetto,
tre volte la man tese a quel cammino,80
tre volte gli tornâr le mani al petto.
     Disse: — Parliam come suole un vicino
con l’altro, se convien che cosí sia,
dalla finestra, e in mezzo al chiassolino.
     Ben venga il dolce mio piovan di Stia:85
forse di Casentin partito siete,
per non vi far di vin piú carestia?
     Lui disse: — In parte il ver contato avete:
ma anco mi parti’ per ire al bagno,
per ritrovarci la smarrita sete:90
     benché ancor béa per me ed un compagno,
pur, quel ch’io non solea che venti tratti,
come una palla grossa, al ber ristagno.
     In Casentino ho fatto mille imbratti
per far la diabetica tornare,95
e fin qui invan molti rimedi ho fatti.