Ode sulla creduta morte di Silvio Pellico nello Spielberg
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ODE
sulla creduta morte nello Spielberg di Silvio Pellico.
Luna, romito, aereo,
Tranquillo astro d’argento,
Come una vela candida
Navighi il firmamento;
Come una dolce amica
In tua camera antica
Segui la terra in ciel.
La terra, a cui se il limpido
Tuo disco s’avvicina,
Ti sente, e con un palpito
Gonfia la sua marina:
Forse è gentile affetto,
Qual desta in uman petto
La vista d’un fedel.
Simile al fior di Clizia
(Fiso del sol nel raggio
L’occhio), il pensier del misero
Ti segue in tuo vïaggio,
E la tua luce pura
Sembra su la sventura
Un raggio di pietà!
Ahi misero tra miseri,
Tolto al gioir del mondo
Geme l’afflitto Silvio
Dello Spielbergo in fondo!
Speme non ha d’aìta;
Vive, ma d’una vita
Di chi doman morrà.
Batte il tuo raggio tremulo
Al rio castello, o luna,
E scintillando penetra
Sotto la vôlta bruna,
E trova il viso bianco
Del giovinetto stanco,
Il viso del dolor.
Sol quella faccia pallida
In campo nero appare,
Come languente cereo
In mortuario altare;
O qual da mano cara
Sul panno della bara
Deposto un bianco fior.
Sol tra catene — (libero
Nell’agonia cresciuto) —
Sovra la fronte squallida
Discende e va perduto,
Sull’affannoso petto,
Sol doloroso letto,
In mezzo all’ombra, il crin.
Scarso è ’l cangiar dell’aëre
Che in petto gli respira;
Attorno al fianco un duplice
Cerchio di ferro il gira,
In ceppi è la sua mano,
Nè alcun consorzio umano
Lenisce il suo dolor.
Ma questa notte è l’ultima,
Notte, per lui, di duolo;
Il travagliato spirito
Sta per levarsi a volo;
E in sì fatal momento
In torbo avvolgimento
Nuotano i suoi pensier!
« — Quando l’inesorabile
«Parola udii, vent’anni!
«Non io credei sorvivere
«A tanta ora d’affanni;
«E il duol che m’ha consunto,
«Il termine raggiunto
«Del mio soffrire ha già.
«Ecco, redento ai palpiti
«Del sen paterno io sono!
«Le nostre piaghe il balsamo
«Asterga del perdono,
«Or che la man pietosa
«Soavemente posa
«Qui del tuo figlio in sen.
«Tu mel dicevi — (trepida
Del mio bollente ingegno), —
«Di chi è più forte, o Silvio,
«Non provocar lo sdegno!
«Ma bella e splendid’era
«Come le nubi a sera
«La mia speranza allor.
«Credetti un brando a Italia
«Ridar, novello Bruto;
«Tornare alla sua gloria
«Credei l’augel caduto;
«Svegliar la neghittosa,
«Che il capo in Alpi posa
«E stende all’Etna il piè.
«Ma tu, chi sei, che barbaro
«Insulti al mio dolore,
«Ed osi il sogno irridere
«Che mi mentìa nel core?
«Coprimi, o madre, il viso!
«Che quel superbo riso
«Non veggasi per me. — »
Pace, o morente! — agl’Itali
La tua memoria è pianto.
Caggia quel dì dai secoli,
Quel dì che Italia al santo
Cenere tuo non plori,
Nè la memoria onori
Di chi per lei morì.
Ma già la luna in candido
Mattin, lene si solve;
(E mentre lene il misero
Già in morte si dissolve)
Bella del suo martiro
In placido deliro
Ultima al giusto uscì.
Vennero allor.... disciolsero
L’inanimata spoglia:
Del carcer la deposero
Sotto l’ignuda soglia.
Nefando monumento,
Della catena il lento
Nodo... vi posa su.
E alcun nol seppe!... e Silvio
E d’ogni giorno e d’ogni
Ora il pensiero!... e Silvio
Son d’ogni notte i sogni!...
E ancor s’attende il canto
Che piacque a Italia tanto!...
Ma Silvio non è più!!!
Giunio Bazzoni.