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Il palio dei cocchi e la corsa de’ fantini

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Il palio dei cocchi e la corsa de’ fantini
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Il palio dei cocchi e la corsa de’ fantini.


Che cos’era il «Palio de’ Cocchi?»

Il Palio de’ Cocchi (lo dico per comodo di chi non l’ha mai veduto) era una specie di grande Olimpiade; un’Olimpiade, beninteso, che per la [p. 201 modifica]leggerezza e l’eleganza delle bighe, che vi pigliavano parte, per il profilo non troppo greco degli automedonti e per l’ardore indomito dei corsieri, rammentava moltissimo i giuochi fescennini della moderna vuotatura inodora.

Quanto poi all’abbigliamento dei Cavalieri, nella corsa in giro coi fantini, non poteva immaginarsi nulla di più semplice nè di più estivo! Erano tutti in mutande di ghinea, quasi di bucato. Portavano in capo una berretta di carta fiorita: sulle spalle, una giacchetta di cambrì a colori: e in piedi, un paio di bigonciuoli da pompiere, pregati per quella fausta ricorrenza a far le veci di stivali alla scudiera.

E i cavalli? Poveri cavalli! mogi, tranquilli, composti, parevano tanti seminaristi di prim’anno davanti a Monsignore! Non c’era caso che dessero segni nè d’irrequietezza, nè di vano spirito nè di giovanile impazienza. Se avessero avuto una seggiola di dietro, si sarebbero messi anche a sedere.

Mentre aspettavano lo squillo della partenza, giravano in qua e in là la testa ceppicona e intontita, e guardando coll’occhio dilatato la turba variopinta e rumoreggiante, che si accalcava intorno sulla vasta scalinata dell’anfiteatro, pareva che dicessero nel loro muto linguaggio:

— Che sugo c’è a farci correre? Eppoi a questi caldi, e coll’appetito che abbiamo in corpo!... Ma che forse lor signori ci hanno presi per cavalli, sul serio? Da giovani, vale a dire [p. 202 modifica]quarant’anni fa, abbiamo studiato anche noi il passo il trotto e i primi rudimenti del galoppo, ma quando s’era lì per passare alla carriera, ci fecero mutare studj, e ci mandarono addirittura al carrettone!... —

Quanta modestia in queste parole! E che lezione per tanti professori improvvisati, che in virtù d’un Decreto ministeriale, pretenderebbero d’insegnare anche quello che non sanno!

Scoccata l’ora solenne, in cui la trombetta dell’araldo municipale dava il segnale della partenza, tutti quei poveri animali, che erano già schierati in fila davanti al palco dei giudici, invece di prendere sgarbatamente e violentemente la corsa, cominciavano a farsi fra loro una fitta di complimenti.

Nessuno voleva essere il primo a muoversi a passare avanti agli altri.

— Passi lei!...

— No davvero, le pare?

— Prego....

— Tocca a lei....

— Scusi, conosco il mio dovere.... —

E così dicendo, tutti s’impuntavano e si tiravano indietro; e Dio sa quanto sarebbe durato questo palleggio di complimenti, se per il solito non ci fosse entrato di mezzo il gran regolatore delle corse, il quale munito di una piccola bacchettina di tre metri di lunghezza e di venti centimetri di grossezza (in latino pertica) non l’avesse alzato in aria con tutt’e due le mani, per poi farla ricadere con una certa tal quale [p. 203 modifica]vivacità sulle sonanti costole dei cerimoniosi giumenti.

Ma questi erano passatempi elementari e divertimenti modestissimi di un tempo, in cui i fiorentini passavano per tanti filosofi di buon umore facilissimi a contentarsi, e ai quali, per essere la gente più beata e felice di questa terra, bastava un palio di barberi, il Corpo delle leggi leopoldine, in quarto d’agnello coi piselli mangiato alle Cascine per l’Ascensione, e una Granduchessa che partorisse almeno due volte l’anno.

Oggi, dopo la quadratura del circolo, non c’è un altro problema tanto difficile a sciogliersi, quanto quello di divertire e di tenere allegri i fiorentini apocrifi dell’ultimo scorcio del secolo decimonono.