Novellette e racconti/LXIII. Il Giovane malpratico del mondo

LXIII. Il Giovane malpratico del mondo

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LXIII. Il Giovane malpratico del mondo
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LXIII.


Il Giovane malpratico del mondo.


Ci sono alcune arti nel mondo, alle quali l’uomo lega tanto il suo cervello, che appena può badare ad altro; ma sopra tutte tali sono la poesia e la pittura. Io non so chi abbia mai veduti poeti a comporre, o pittori a dipingere, e siasi tenuto dal ridere. I primi si mettono a sedere, e di là ad un piccolo tempo balzano su come chi appiccasse loro il fuoco dietro; ora guardano alto e ora basso, con gli occhi stralunati, e fanno un viso che Dio ne guardi ognuno, e talvolta hanno sì benigno aspetto, che diresti che facessero conversazione con le Grazie; poi si rodono un’ugna e battono un piede in terra, e finalmente scrivono due righe e rifanno gli atti di prima. I pittori anch’essi quando hanno quel benedetto pennello in mano o sono davanti ad una tela, chi può dire i visi che fanno? ora spingono le labbra in fuori, che è, che non è, aggrottano le ciglia, poi le spiegano; ora pende loro il capo sull’una spalla, ora sull’altra, o si tirano indietro o si fanno avanti, per modo che l’arte loro pare una scuola di atteggiamenti, piuttosto che di altro. Questo avviene perchè la fantasia, obbligatasi ad una cosa sola e in essa riscaldata, gli tira quasi fuori di loro, e non si ricordano per lo più di quella compostezza che dee avere il corpo, il quale seconda i movimenti di dentro per lo più sempre gagliardi e non dissimili da quelli degl’invasti. E avviene ancora, che i più provetti in tali arti poco s’intendono delle cose del mondo e sembrano uomini venuti da lontanissimi paesi. Un caso avvenuto pochi giorni fa ad un [p. 112 modifica]novellino pittore mi fece entrare in queste ciance, le quali poichè son fatte, vadano pure in istampa come tante altre nel mondo.

Venne adunque il giovane, ch’io dico, in Venezia, mandato dal padre suo, perchè alcuni de’ suoi congiunti lo provvedessero di qualche valente maestro in pittura, conoscendo in lui una disposizione molto atta a questa nobilissima arte, la quale qui viene con tanto valore da molti periti uomini esercitata. Ebbe il giovane il desiderato maestro; e fra la natura sua a tal disciplina inclinata, e lo studio che con diligente attenzione vi fece, non molto andò, ch’egli mcominciò di nascosto a dipingere qualche capriccio, e ne traeva danari. Di che oltremodo contento e sempre più invogliandosi per la utilità che ne traeva, si diede a lavorare gegliardamente, e guidò a fine certi lavorietti che piacquero ad un ricco uomo, il quale nel compensò largamente, e dandogli animo al proseguire, gli ordinò che dipingesse da indi in poi non so quanti bei visi di pastorelle, di ninfe o altre femmine, quali egli volesse, purché le fossero belle. Il giovane a cui a poco a poco mancava la fantasia a lavorare da sè, per impinguarnela con gli oggetti tratti da natura, ne andava col toccalapis nelle tasche e con un libriccino, e di quanti bei visi vedeva, traea così in fretta in fretta almeno i primi lineamenti, e sbozzava in tal modo quelle bellezze ch’egli intendea poi di dipingere. Aggirandosi egli dunque per la città e raunando sì fatte ricchezze, si abbattè un giorno sotto ad una finestra doy’era affacciata una giovane, la quale parendo a lui a proposito per farne una Venere, cominciò a fare l'ufficio suo, non sapendo punto chi ella si fosse, nè conoscendo ch’ella si era dipinta da sè prima, e che la sapea adoperare la biacca e il minio molto meglio di lui. La cantoniera, adocchiato il giovane, chiestogli che facesse, e udito ch’egli era pittore, entrò seco in ragionamento, e tanto gli disse, che si accordarono insieme ch’egli comperasse la tela e ch’ella si lascerebbe ritrarre. Così fu fatto, e

[p. 113 modifica]il giovane, a cui parea di ritrarre una reina, compiè finalmente l’opera, dicendo fra sè: Vedi, fortuna ch’è stata la mia, ch’io avrò dipinta la più bella giovane che sia al mondo e la più garbata, e, oltre a ciò, ne sarò riccamente pagato: cosi dicea perchè la buona donna con certe parole si dimostrava liberale. Terminato il ritratto, egli ne fu sì pagato, che per la soverchia consolazione ammalò, ed è ancora nelle mani del medico.