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novella lxiv. 113

il giovane, a cui parea di ritrarre una reina, compiè finalmente l’opera, dicendo fra sè: Vedi, fortuna ch’è stata la mia, ch’io avrò dipinta la più bella giovane che sia al mondo e la più garbata, e, oltre a ciò, ne sarò riccamente pagato: cosi dicea perchè la buona donna con certe parole si dimostrava liberale. Terminato il ritratto, egli ne fu sì pagato, che per la soverchia consolazione ammalò, ed è ancora nelle mani del medico.

LXIV.


Il mantello altrui acconciato alla propria statura.


Essendo un gondoliere invitato alle nozze di certi suoi congiunti qualche tempo fa, chiese licenza al suo padrone di potervi andare, e l’ottenne. Ma perch’egli non avea da poter comparire a quelle nozze attillato com’egli avrebbe voluto, pregò, oltre alla licenza del potervi andare, il suo padrone che gli prestasse un mantello, ed ebbe anche questo, ch’era buono, di panno, non uscito allora allora delle mani del sarto, ma nè manco vecchio o intarlato. Partitosi dunque il gondoliere di là tutto lieto, dopo di aver fatto un affettuoso ringraziamento al padrone della prestanza che fatto gli avea, andò a casa sua a ripulirsi e raffazzonarsi quanto seppe. Se non che al mettersi sulle spalle il tabarro, gli parve troppo lungo; e chiamate a consiglio certe sue donne di casa, tutte ad una voce gli dissero ch’esso era un mantello da cieco, e che vi si vedea la prestanza mille miglia da lontano. Ad ogni modo, diss’egli, il mio padrone me l’ha dato perchè mi debba servire; e alla restituzione io non sarò il primo che restituisca qualche cosa meno di quello che gli fu dato: qua le forbici; e come ebbe le forbici in mano, cominciò a tendere da piede, tanto che il mantello parve fatto per lui, e ne andò alle nozze, che parea un paladino di Francia. Passata la festa, nel vegnente giorno restituì il mantello al padrone, e caldamente Gozzi, Novellette