Novelle (Sercambi)/Novella XXIIII

Novella XXIIII

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XXIIII


Molto piacque al preposto l’arsione fatta di quello da Racanati, ma bene li dispiacque che Petro Pagani da Lucca non riebbe i suoi denari; dicendo a l’autore: «Noi abiamo domane andare a Bolsena dove l’aire è trista e molti infirmi; e però passala tosto con alcuna novella». Al qual e’ rispuose che così farà come comandato. E rivoltosi alla brigata parlò dicendo: «A voi, omini e donne, le quali potete spendere innelle vostre malatie e bisogni, e per avarizia vi lassate morire e tristemente vivere; e però ad exemplo, poi che in parte dobiamo andare dove l’aire è cattiva, dirò una novella acciò che ’l camino si passi con piacere». Incominciando cosí:


DE SUMMA AVARITIA

Di messer Bertoldo Aldimari, avaro,
e del famiglio Rospo.


Innella città di Firenze <fu> uno cavalieri nomato messer Bertoldo Aldimari, omo ricco ma tanto misero e scarso che non che volesse altrui ricevere a cortesia ma innella sua propria famiglia e persona sì scarsava intanto che le più volte lui e la famiglia se n’andavano a dormire con fame, tanta miseria in lui regnava; e più, che da sera senza lume volea si cenasse, e se pure lume s’avea, si facea accendere una lucerna, e quando se n’erano andati a dormire la lucerna si spegnava per non consumar l’oglio.

Avea questo messer Bertoldo uno famiglio nomato Rospo, al quale dava il mese di salario fiorino mezzo e le spese. Come ditto, stando per tal maniera lo ditto messer Bertoldo, per la cattiva vita [p. 121 modifica]che facea et anco perch’era vecchio, amalò; e tale malatia portò lungo tempo senza volersi medicare per avarizia, tanto che la malatia l’agravò per modo che di letto levare non si potea. Vedendo la donna sua et altri parenti messer Bertoldo amalato, disseno che voleano che maestro Tomaso del Garbo lo venisse a vedere. Messer Bertoldo volea, ma per lo spendere dicea: «Io non hoe bisogno». Li parenti, cognoscendo che messer Bertoldo lo dicea più per avarizia che per altro, diliberonno pure che lo maestro lo venisse a vedere.

E così maestro Tomaso lo venne a visitare, e cognoscendo la malatia disse: «Se costui non è un pogo purgato e poi confortato di buoni cibi, elli è morto». La donna e’ parenti disseno che tutto ordinasse alla bottega e che si pagarè’ et a lui farenno quello si convenisse senza farlo asentire a messer Bertoldo, però ch’e’ prima serè’ voluto morire che spendere. Lo maestro partitosi et ordinato alcuno sciloppo — la sera Rospo famiglio andava per esso — , <e> con aver ordinato alcuni cristei simplici che seguisseno il prendere lo sciloppo.

Divenne, la seconda sera <Rospo> va per lo sciloppo. Lo speziale, avendo molto che fare, non potéo lo sciloppo dare fine che la grossa fu sonata. Sentendo Rospo la grossa disse: «Or come n’andrò senza lume?» Disse lo speziale: «Se vuoi uno candello noi lo scriveremo a te, però che messer Bertoldo ci ha mandato a dire che a lui non si scriva niente se non lo sciloppo e la medicina, e che altra cosa non ci pagherè’». Rospo rispuose: «Io non ho tanto salario che io voglia questo fare, ma voi m’avete troppo tenuto e da v’oi non rimane che io non sia preso». Lo speziale li diè una poga di candella. Rospo se n’andò a casa e diliberò di dì aregare lo sciloppo.

Passato quel dì, messer Bertoldo s’avea fatto uno argomento, e per lo avere mangiato da prima molto frascame se li era ingenerato in corpo molti vermi, di che il ditto argomento ne li mandò fuori molti grossi. La fante spazzando la camera dove messer Bertoldo avea fatto il suo agio, divenne che uno di quelli vermi involterato innella polvere in uno cantone della sala fu lassato. Rospo, che di quello niente sapea, veduto quel verme in sala, [p. 122 modifica]stimò fusse una candella: quella si misse innella scarsella dicendo: «Omai porrò di notte con lume tornare».

E passato alcuni dì che lo sciloppo fu preso alcune volte, maestro Tomaso, venendo a vedere messer Bertoldo e tastandoli il polso et avendo sentito che neuna confezione avea voluto per avarizia che si comprasse, disse: «Per certo se costui non prende una medicina che la materia corrotta che ha in corpo ne meni fuori, e poi si rinnovi di buoni cibi, costui è morto». La donna e’ parenti disseno che lui ordinasse la medicina e che poi delle cose si comperrenno per suo conforto. E dato uno fiorino al maestro Tomaso, ordinò la medicina per la notte seguente.

Rospo che mandato era a lo speziale per la medicina, vedendo lo speziale affannato a fare medicine, disse: «Io posso un pogo indugiare però che io ho una candella, che se la grossa sonasse tra via la potrò accendere». Et aspettando la medicina, essendo quasi presso alla grossa la medicina fu fatta; Rospo la prese, e come fu fuori della bottega, la grossa cominciò a sonare. Rospo, che ha la speranza della candella che crede aver innella scarsella, cantina; e perché la casa di messer Bertoldo era molto di lungi dalla bottega dello speziale, la grossa finìo.

Rospo, messosi mano innella scarsella e trattone quello verme in iscambio di candella per volerla accendere, s’acostò a una che vendea frutta, dicendo: «Madonna, aprendetemi questa candella». La tricca disse: «Volentieri». Et acostò il suo lume. Rospo prende quello verme, e parendoli che il lucignolo non si vedesse, co’ denti vi dé di bocca et uno pogo ne levòe e poi a’ lume l’acostòe. La tricca vedendo che stridea disse: «Per certo cotesta candella è di cattiva cera». Rospo pensando per la terra operacqua fusse quello che la facea stridere, di nuovo ne prese un bocconcello e quello menandoselo per bocca, come alcuna volta si suol fare che chi vuole aprendere una candella co’ denti ne leva un pogo e quello pogo mastiga, stimando: «Questo sará buono a turare la botte»; così Rospo pensa del pezzuolo ha levato. E volendo accendere il resto, quanto più l’acostava a’ lume tanto più stridea tirandosi arieto.

La tricca, parendoli una meraviglia che quella candella a tanto quanto era stata tenuta al lume non s’era apresa, disse: [p. 123 modifica]«Dalla a me». Rospo aperse la mano et alla tricca diede quel verme credendo fusse candella. La tricca, che altro verme s’avea già trovato in mano, al tasto disse: «O Rospo, come tu se’ stato sciocco aver <questo> preso per candella e fattone il saggio du’ volte colla bocca! E non hai ancora cognosciuto che cosa è questo?» Rospo, che sempre masticava credendo fusse cera, disse: «Or che è?» La tricca disse: «Questo è uno verme o vuol dire mignatto»; e mostròloli aperto. Rospo che sempre il masticava e sapea u’ trovato l’avea, sputando e vergognandosi, di rabbia il bicchieri della medicina di messer Bertoldo percosse al muro, dicendo: «Poi che sono così stato trattato, lui non berà la medicina». La tricca disse: «Or che vuol dire?» Rospo dice tutto il modo di messer Bertoldo. La tricca avendo pietà di sé perché vede Rospo giovano, disse: «Perché non sii preso, vo’ che stasera stii qui, ché se tu n’andassi potresti esser preso». Rospo steo contento.

La tricca li dimostrò essendo innel letto il modo perché cognove quel verme, dandoli la mostra del suo tenendolo in mano. Rospo disse: «Per certo, madonna, voi siete molto intendente». E così dimoronno.

Messer Bertoldo non prendendo la medicina, per la malatia grave e li omori multiplicati sopragiungendoli alcun dolore, la mattina maestro Tomaso venuto a casa e dimandato della medicina, Rospo disse: «La medicina menò v volte». Maestro Tomaso disse: «Se presa l’ha elli è guarito». Rospo disse: «Io così credo». E mentre che tali parole diceano, sentinno gridare e piangere. Maestro Tomaso, che volea saglire le scale, disse: «Per certo egli è morto». Disse Rospo: «Io il credo, secondo che voi diceste». Maestro Tomaso si partìo.

Rospo giunto in sala, la donna disse: «La medicina che non aregasti ha morto messer Bertoldo». Disse Rospo: «Anzi l’ha morto la sua avarizia, ché so quanto m’è costato del mio per volerlo far vivo, e la nostra tricca di contrada lo sa che più di v rughieri ho speso per salvare il mio maestro». La donna non intese al motto; ordinò che messer Bertoldo fusse soppellito e la robba romase a persona godenti, e lui, per una candella, d’avarizia si lassò morire.

Ex.º xxiiii.