Novelle (Sercambi)/Novella XXIII
Questo testo è completo. |
◄ | Novella XXII | Novella XXIIII | ► |
XXIII
L>o preposto avendo sentito il nuovo modo di rubare e la giustizia
fatta, lui e la brigata <avendo preso di>letto della novella,
e rivolto a l’autore comandò che contasse qualche novella (sopra)
il paese acciò che la brigata con allegrezza si trovi a Castro, povero
e mendico — cioè guasto — , innel quale luogo molti ladri usano.
L’altore disse: «A me pare l’un dì mille che di questo paese usciamo,
e perché la brigata passi con allegrezza dirò alcuna novella»;
volgendosi, dicendo: «A voi, omini banchieri, et a voi, mercadanti,
li quali vi tenete essere cognoscitori di gioielli e di denari, ad exemplo
dirò ii novellette fatte per uno ii n cittadi, acciò che vi
sapiate guardare da tali. E però dico:
DE INGANNO ET FALSITATE
Di Ghisello da (Ra)canati,
ladro (ven)dendo certe ane(lla) contrafatte.
I>ntervenne innella città di Lucca, donde la brigata si partìo, che venendovi uno da Racanato nomato Ghisello, vestito a modo di mercadante — con una guarnacca, senza mantello e con una cintura di seta et uno carnieri di seta — , e sposato allo albergo, domandando chi erano migliori cognoscitori di pietre preziose che in Lucca fusseno, fuli ditto l’uno esser Tomasino Gagnoli e l’altro Petro Pagani, amendui banchieri. E fattoseli insegnare al fante dell’oste, mostrò loro un ditale di bellissime anella e di gran pregio, come sono balasci rubini e diamanti zaffiri smeraldi et alcuna perla, dicendo lui voler quelle anella vendere. E al primo che tali anella mostrò fue a Tomasino, perché a lui era ditto esser il migliore cognoscitor di Lucca. Tomasino, vegendo quelle anella bellissime, disse quello ne volea. Ghisello disse: «Io ne vo’ m fiorini». Tomasino disse volerli dare fiorini vi cento; e doppo molte proferte Tomasino ne proferse fiorini vii cento. Ghisello, non scendendo meno che viii cento, si partìo e a Petro le mostrò, et in quel medesimo modo funno le proferte di Petro e lo scendere di Ghisello, come avea fatto a Tomasino. E non fermatosi <con> Petro, Ghisello prese il suo ditale et innel carnieri che al lato avea lo misse e per la piazza se n’andava diportando in qua et in là.
Tomasino, vedendo che a Petro avea mostrate l’anella, s’acostò a lui e disse: «Petro, che ti pare di quelle anella?» Petro disse: «Elle sono molto belle». Disse Tomasino: «Io non posso con lui aver patto neuno, et honeli voluto dare fiorini vii cento: non ha voluto meno di viii cento. E però io ti dico forsi farai meglio di me, e se vuoi tenere all’erata, cioè a mezzo, ti dico che in fine vii cinquanta le piglia, che di vero noi vi guadagneremo fiorini ccl larghi; e io sono contento le prendi per me e per te». Disse Petro: «Et io così farò. Andatene a desnare e paia non ve ne curiate, e lassate fare a me». Tomasino si partlo dal banco, Petro rimase al suo banco.
Vedendo Ghisello in piazza non essere persona et a’ banchi non esser che Petro, acostatosi, Petro disse: «Deh, vendemi quelle anella». Ghisello misse mano al carnieri e cavòle fuori e disse: «Io ve ne vo’ far piacere, e dìcovi che vagliano più di m fiorini, ma per bisogno di denari che ne vo’ comprare drappi io ve ne farò piacere». Petro disse: «Deh, datemele per fiorini vii cento». Ghisello disse non volerne meno di fiorini viii cento. Ghisello misse l’anella innel carnieri e scese giù in via. Petro l’offerse fiorini vii cento cinquanta. Ghisello disse: «Poi che siete piacevole compratore, et io sono contento». E misse mano in carnieri e trassene uno ditale d’una fazione del primo, d’anella contrafatte, salvo le perle. Petro, non stimando falsità, prese il ditale et innella cassa lo puone e dàlli fiorini vii cento cinquanta.
Ghisello, che avea il cavallo sellato, tramutatosi di panni, montato a cavallo e cavalcato via, tornato Tomasino da mangiare disse a Petro quello avea fatto. Petro disse: «Io l’hoe aute per fiorini vii cento cinquanta». Tomasino disse: «Bene hai fatto; noi guadagneremo fiorini iii cento. Mostrale qua». Petro apre la cassa e ’l ditale mette in mano a Tomasino. Come Tomasino l’ha in mano, cognosce le pietre esser contrafatte di vetro, e disse: «Questa mercantia sarà pur tua, però che queste non sono le pietre che avea veduto». Petro subito prese l’anella e cognobe le pietre esser false: dàssi delle mani innel viso e muovesi per trovare Ghisello. Ma pogo li valse, ché Ghisello s’era partito; per la qual cosa il ditto Petro, povero, stentò poi la sua vita.
Idio, che non vuole che il male rimagna impunito, dispuose Ghisello ad andare a Vinegia avendo cugnati del cugno di Vinegia ducati d’ottone dorati in gran quantità. Et andato a una che vendea fregi et oro mercadando di fregi et oro per somma di fiorini m, e pesati e legati tali fregi, disse Ghisello: «Andiamo alla taula che io voglio anomerarvi li ducati acciò che l’abiate buoni». La donna v’andò; e’ nomerò ducati m e quelli legò in una borsa rossa e con cera li sugellò presente la donna, e disse: «Andiamo alla bottega per l’oro e’ fregi». La donna, giunto alla bottega, dati i fregi e <l’>oro, Ghisello li diè una borsa simile a quella de’ ducati piena di m ducati d’ottone. E partitosi, la donna aperse questa borsa et in s’uno tappeto innomerava questi ducati credendo fussero quelli che la taula li avea ditto ch’erano nuovi e buoni. Avea questa donna uno figliuolo grande. Tornando a bottega, la madre li disse quello l’aveva venduto e come ella avea ben guadagnato e che avea avuti ducati nuovi (lasso ora il rispondere del figliuolo che ben vi si tornerà, e dico: «Donna, di certo tu hai avuti ducati nuovi, cioè mai usati!»). Il figliuolo disse: «Madre, bene sta, u’ sono questi ducati?» La madre dandoli la borsa, il figliuolo aprendola vidde i ducati luscicanti; parendoli fuora di usanza, ne prese uno et in s’una taula lo gittò: quello sonando, disse: «Madre mia, questi sono falsi, e staremo a pericolo se a noi fusseno trovati e siamo disfatti». La madre volse gridare per lo danno auto. Lo figliuolo come savio disse: «Madre, lassate fare a me». E subito con quelli nuovi ducati se n’andò alla signoria dicendo il caso venuto alla madre, e mostrò li ducati. La signoria di Vinegia disse se la madre lo cognoscesse. Lo figliuolo rispuose: «Bene ha ditto quello ricognoscerè’». La signoria consigliò il giovano che a persona del mondo non dicesse, né dolessesi di quello che a lui era stato fatto, ma sempre a ciascuno rispondesse esser ben pagato: «Però che colui, non sentendo dolere, verrà». Lo giovano si ritorna alla madre e tutto li narra ciò che la signoria l’ha ditto. E così celatamente si sta la cosa più di uno anno.
Ghisello, non avendo sentito il lamentare, pensò di nuovo fare il tratto. E venuto a Vinegia, pervenne alla donna domandando fregi. La donna subito disse: «Ben vegliate! Voi mi faceste si buon pagamento altra volta che io vi darò quello volete». E aperte cassette e mostratoli oro e fregi in quantità, faccendo mercato or di questo or di quello, intanto venne il figliuolo. Vedendo tanti fregi spiegati et oro, disse: «Madre mia, che vuol dir questo?» La madre disse: «Questo mercadante comprò da me per fiorini m e fémi subito pagamento, che io sono disposta a servirlo bene». Lo figliuolo, che intese, disse: «Così si vuol fare». E partisi et andòne alla signoria narrando il fatto.
La signoria mandò fanti; e quello preso e menato al dugio et a’ signori di notte, cercatolo, li trovonno a dosso di quelli ducati falsi gran quantità et anco de’ buoni tanti che potéo contentare la donna. E confessato il suo peccato, a una palandra i ditti ducati falsi funno cusciti e con essa in dosso fu arso. E per questo modo Ghisello finì.
Ex.º xxiii.