Novelle (Sercambi)/Novella LXXXXVIIII
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LXXXXVIIII
La brigata essendo giunta a Fermo dove si trovò aparecchiato per la cena, con grande <vantagio> si cenò e ditte alcune canzonette in questo modo:
«Non escon <preste> sì quadrella o pietre
da terra ove si dia crudel battaglia
perch’altri al mur non vegna o su vi saglia,
come uscir d’una per una finestrella
a giunger li occhi suoi nelli occhi miei,
saette che fedel mi fér di lei.
Ond’io pregando le’ ch’aitasse me,
— Non posso più — , rispuose, e disse: — Omè — ».
E ditta questa, se n’andarono a dormire e fine a l’alba dormirò.
E levati e missi in camino per andare a Racanato, il preposto disse che l’altore una novella dica. Il quale volentieri presto alla brigata si volse dicendo: «A voi, omini che alle lusinghe delle malvagie femmine sete presti, ad exemplo dirò una novella fine che giunti saremo dove il preposto ha comandato». Dicendo in questo modo:
DE FALSITATE MULIERIS
<Di> Giorgiana fant’e di Azzo de’ Pulci: da Firenze cacciato andò ad Ancona.
Nel tempo che ’l Duca d’Atene signoregiava la città di Firenza per parte, di città fue scacciato uno cittadino infra li altri, nomato Azzo de’ Pulci, omo di assai buona pasta e con questo molto vago d’usare con femine. E capitato solo — senz’altra compagnia però che non avea moglie — a Ancona, dove quine prese una fantesca di mezza età nomata Giorgiana, colla quale, oltra l’altre massarizie ch’ella facea con Azzo, alcuna volta carnalmente usava. E non stante che Azzo con Giorgiana spesso si trovasse, piacendole alcune donne anconese, con Giorgiana trovava modo spesso d’averne quando per denari e quando per amore; con tali Azzo si dava piacere né altra mercantia parea che in Ancona facesse se non in darsi piacere.
E stato Azzo ad Ancona più tempo, e con lui Giorgiana, divenne che ’l Duca d’Atene di Firenze fu cacciato; per la qual cosa Azzo deliberò in Firenza co li altri ritornare. E menato seco Giorgiana a Firenza e stato alquanto tempo, fu Azzo costretto da’ suoi parenti a prender donna; per la qual cosa Giorgiana convenne lassare, et ella se n’andò a Vinegia dove quine si puose a stare per fante. Avendo Azzo preso donna e dato alla massarizia, come pogo pratico di mercantia diliberò andare a Vinegia, poi che colla donna sua stato fu più anni. E messosi fiorini v cento novi in borsa, caminò verso Vinegia per quelli spendere in qualche buona mercantia.
Giunto Azzo a Vinegia e statovi alcuno dì in uno albergo presso a San Marco, venendo il sabato dove gran mercato di più cose in sulla piazza di San Marco si fa, Azzo che tante belle cose vede, non sapendo pensare qual mercantia facesse per lui, domandava delle perle di pregio mostrando quelli fiorini v cento nuovi, dicendo che quelli volea spendere. E non acordandosi, andava provedendo gioielli robbe fregi speziane, et a tutti quelli fiorini v cento mostrava e con neuno si sapea acordare.
Era in Vinegia una Giorgiana di anni xv, meretrice — la quale per madre e per padre fu d’Ancona — , in una contrada dove molte suoi pari si riduceno a guadagnare per servire ad altri e quine ’ve molti rofiani co’ loro dimorano, presso a Rialto in una via assai a quel mestieri atta.
Vedendo questa giovana quelli fiorini che Azzo andava a un giovano del mercato mostrando, fra sé disse: «Se io avesse quelli fiorini io sarei ricca». E non partendosi del mercato per vedere qual camino Azzo fa per poter al pensier suo dare efetto, sopravenne Giorgiana fante in mercato. E cognosciuto che ebbe Azzo, subito corselo ad abracciare e basciarlo facendoli somma carezza. E domandandolo di molte cose, Azzo tutto le dice, e la cagione perché a Vinegia era venuto, e quine u’ era sposato et in quale albergo. La giovana anconetana meretrice, che vede Giorgiana d’Ancona fante fare tante carezze a Azzo, pensò da Giorgiana sapere quello volea.
E partitosi Giorgiana d’Azzo avendoli promesso di mandarli a l’albergo una gentil donna veneziana per godere, quella giovana meretrice, che cognoscea Giorgiana e Giorgiana lei, la chiamò dicendole chi era colui che tanta carezza li avea fatta. Giorgiana le dice tutto: come ella era stata con lui in Ancona quando era stato cacciato Azzo de’ Pulci di Firenze al tempo del Duca d’Atene, e che l’avea molte volte auto a dosso, e che Azzo era molto vago di femmine: «Intanto che per mezzo di me in Ancona ne toccò più di xxv. E fra l’altre che io li facesse avere fu una donna vedova, gentile e ricca, nomata madonna Nicolosa de’ Calcagni d’Ancona, donna bellissima, e quella più mesi tenne dandosi insieme piacere tanto che ritornò a Firenze, là dove con lui andai. E perché prese moglie mi convenne abandonarlo, e non lo viddi poi che da lui mi partì salvo che ora, che ci ha regato ben v cento fiorini nuovi li quali m’ha mostrati. E sòti dire che stasera li farò aver una gentile giovana che ’l marito è patrone delle galee del mercato; et anco penso mi varrà una gonnella».
La giovana meretrice anconetana, che tutto intese, dice a Giorgiana che vada a far bene, e preso pensieri, quella falsetta subito mandò <per> una fanciulla di quelle che l’arte le facea imparare, et all’albergo dove Azzo era la mandò, mandandoli dicendo: «Una gentil giovana vi vuol parlare, la quale m’ha pregata che io a lei vi meni». La fanciulla, che già era fatta maestra, disse: «Lassate fare a me».
E giunta a l’albergo dove Azzo de’ Pulci era, domandando d’Azzo, Azzo, che si vede richiedere, disse: «Che vuoi? Io sono Azzo de’ Pulci da Firenze». La fanciulla disse: «Una gentil giovana vi manda pregando, poi che ’l marito suo non è in Vinegia, che a lei vegnate e che io da voi non mi parta che la via v’insegni». Azzo, che li pare esser molto aventurato, dice: «Per certo qualche bella giovana m’arà veduto e saràsi di me innamorata, però che in Vinegia non è omo più bello di me». E dice alla fanciulla: «Fà la via et io vegno teco». La fanciulla lo guidò dove la giovana meretrice era.
La quale essendo ben vestita et in capo di scala spettando Azzo, Azzo entrato in casa dove credea che fusse innella più onesta contrada di Vinegia, saglìo la scala. La giovana, scesa alquanti scaloni, subito in fronte basciò Azzo e preselo per la mano e con alcune parolette lo menò in camera, dove quine era uno letto tutto adornato di fiori e d’altre cose odorifere e con bellissimi adornamenti. Azzo, che vede tanta adornezza, sperando quella giovana godere in tal letto, disiava esser tosto alle mani.
La giovana rivoltata ad Azzo basciandolo con lagrime alquante gittate, Azzo, che vede la giovana lagrimare, disse: «Io mi credea venir a prender piacere teco et ora veggo che tu di dolore pare che abi il capo pieno». La giovana dice: «I’ ho oggi la magior allegrezza che mai io abbia avuto, vedendo colui che mai non viddi e quello che m’ingenerò». Azzo che tali parole ode dice: «Deh, perché dici tu tali parole?» La giovana dice: «Io sono certa che voi mio padre sete e ben mi meraviglio che di tanto tempo, quanto voi fuora d’Ancona sete stato, che la mia dolce mamma madonna Nicolosa de’ Calcagni d’Ancona, vedova in quel tempo che ad Ancona dimoravate, di voi mai niente senti; né io, vostra figliuola nata di quella mamma, senti di vostro essere, salvo che oggi la buona fortuna mi v’ha messo innanti. E per lo dolce amore che la mia dolce mamma vi portava mi puose nome Azzina figliuola di Azzo de’ Pulci, per padre da Firenze, per madre d’Ancona». Et abracciato Azzo di tenerezza, dimostrò ad Azzo molto amore.
E rizzatasi, disse: «O padre ottimo, non pensate perché io ingenerata fusse da voi innel corpo della bella madonna Nicolosa de’ Calcagni, cui voi tanto amaste, che io non meno cara mi tegno d’esser vostra figliuola che se di marito legittimo nata fusse, però che voi oltra li altri di Firenze d’onore portate pregio; e la mia dolce madre — et a voi dolce amica— , madonna Nicolosa, sopra l’anconetane donne di bellezza gentilezza onore portava nome, e me per la sua ricchezza ha maritata tanto magnamente (che fine a quine sento, è ben vero, che ’l mio marito per far grandi guadagni ha fatto buona compagnia e colle navi è ito a guadagnare). Né non so signore che non dovesse star contento trovare, come avete trovato voi, una figliuola tanto savia onesta gentile e ben maritata come Azzina vostra figliuola, la quale ora è quella che per amore vi bacia». E presolo, lo baciò.
Azzo, che ha udito a costei contare tutto quello che mai fe’, disse: «Figliuola, io non arei mai né te né altri richiesto per figliuola, perché mai tua madre niente mi mandò a dire». E questo dicea lagrimando, E poi disse: «Deh, dimmi, nata dolce, come hai saputo questo fatto, e che io debia esser tuo padre?» Azzina dice: «Mia dolce madre più volte mi disse che io figliuola era d’Azzo de’ Pulci da Firenze, ma per non vergognarsi non volse mai scrivere di me, ma di punto in punto mi disse. Et ora io cognosciuto non v’arei se non che una fantesca nomata Giorgiana d’Ancona, avendola più volte pregata che se qua venisse mel facesse asapere, <mel disse>; e però v’ho cognosciuto, dolce mio genitore».
Azzo, che per fermo crede esser padre di Azzina, lieto dimostrò. Azzina, essendo presso a cena, et ad albergo volse che Azzo rimanesse. Il quale acettato, credendosi esser con figliuola, cenò et ad albergo in una camera fu messo, dove per lo gran caldo si spogliò; et il giubettino trattosi con ogni panno, e quelli fiorini v cento che in una scarsella avea in su una cassabanca lassò.
E volendo il suo agio fare, mostratoli per quella fanciulla i’ luogo, dove ponendosi a sedere innel canale cadde. Innel quale gridando, uno rofiano faccendosi alla finestra disse: «Se non ci lassi dormire io verrò costagiù e daròti di molte bastonate». Azzo dice: «Deh, faite che mia figliuola Azzina senta come io sono qua caduto». Li vicini disseno: «O buon omo, <per> lo meglio che puoi briga di partirti di costì se non vuoi esser morto, però quine u’ tu se’ sono genti assai di cattiva condizione». Azzo, vedendosi a mal partito, meglio che potéo del canale uscìo, et adomandando se ne andò all’abergo e con alcuni suoi amici si dolse del caso, dicendo: «Una giovana nomata Azzina m’ha ingannato!» Li amici disseno: «Abbi per certo che in questa terra non è donna che Azzina si faccia chiamare, ma tu sarai stato beffato come già ci sono stati beffati delli altri».
Azzo, malcontento, senza mercantia e senza denari a Firenza si ritornò.
Ex.º lxxxxviiii.