Novelle (Sercambi)/Novella CXI
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CXI
La novella indusse la brigata con piacere a Cervia, dove quine cenaron di vantagio.
Et andati a posare, la mattina levati, il proposto comandò a l’altore che una novella dica fine che giunti saranno a Bertinoro, con una morale. <L’altore presto disse>:
«Non creda il prete che piaccian i suo’ servizii
a Dio, s’e’ non è virtudioso e senza vizi;
<l>’exemplo della mosca è brutta cosa,
che lassa il mèl e in sullo sterco <posa>;
il prete assai più brutt’è che io
quando col diavol vada e lassi Idio».
Dapoi disse, disposto a ubidire: «A voi, omini vecchi che giovane donne per moglie prendete: se le corna vi sono poste non è meraviglia. Et a voi rilegiosi, che per adempiere il vostro cattivo proposito faite contra il dovere: se male ve ne aviene non ve ne dovete dolere. Ad exemplo dirò una novella in questo modo, cioè:
DE PRELATO ADULTERO
Innel contado di Perugia, in una villa nomata Passionano: di uno nomato Canoro, ricco, e di una sua donna, Menica.
Innel contado di Perugia, in una villa nomata Passignano, fu uno omo assai di buona pasta, vecchio, nomato Canoro assai ricco lavoratore, il quale pensando dover aver figliuoli, diliberò prendere moglie una sua vicina nomata Menica, giovana di xxv anni et assai piacevole. E come diliberò misse in effetto, che a uno suo <vicino>, della ditta Menica fratello nomato Paulo, parlò domandando la ditta per moglie. Paulo, che vede il parentado di Canoro esser soflícente, posto che lui sia alquanto vecchio, fue contento. E fatto il parentado, la donna menata, dimorò alquanto tempo che niente di figliuoli acquistar potéo.
E vedendo il preditto Canoro che in questo mondo non era altro che tabulazione et angoscia, diliberò fra sé di voler tener vita di spirito prendendo veste di bizocco, faccendosi nomare frate Canoro, vivendo con molta dieta con suoi paternostri, visitando le chiese; e ben che fusse omo molto di grossa pasta, pur lo visitar delle chiese non restava. La donna, che spesso arè’ voluto di quello che frate Canoro non li dava, maladìa chi tal marito dato l’avea, dicendo: «Io almeno ogni notte una volta vorrei esser pasciuta di quello che le miei pari pascer si sogliono, et io cattivella non che una volta il dì fussi contenta, ma il mese passa che di sola una volta contentar non mi posso, però che frate Canoro mi dice: — Oggi è la festa di San Patrizio, domane si digiuna l’Avento, l’altro dì sono le Quattro Tempora — ; e così di giorno in giorno lo mese si passa. E pur quando a lato viene, ben che rade volte vi vegna, quella fa contenta». E questo lamento dicea fra sé spessisime volte.
E dimorando per tal maniera, venne a Passignano innella chiesa della ditta terra uno monaco giovano da studio nomato don Mugino, il quale essendo molto in iscienzia sperto fu fatto prete della ditta chiesa. Col quale frate Canoro, per imparare, prese una singulare domestichezza et amicizia col ditto monaco, intanto ch’e’ più volte co’ lui desnando, e talora lo monaco con frate Canoro a desnare et a cena andava. E fu tanta la domestichezza che lo monaco col frate prese, che acorto si fu la donna di frate Canoro esser mal pasciuta dal marito, pensò lui di gran parte poterla pascere.
E dandoli d’occhio, monna Menica acorgendosi di quello che ’l monaco facea, et innel medesmo apetito cadde per la sua voluntà adempiere che caduto era il monaco. E quanto più presto potéo diè ordine di parlare col monaco <a l’ora> di mangiare, scoprendoli lo petto suo. Per la qual cosa il monaco li disse che altro non desiderava che potersi con lei a ’gnude carni trovare per contentarla di quello che ’l marito contentar non la potea. La donna contenta dice al monaco: «Io sono presta a far quello vuoi, salvo che io non voglio di casa uscire, però se il mio fratello Paulo ciò sentisse non ci camperè’ che morti non fussimo: et in casa non veggo il modo che venir potessi però che fra’ Canoro di continuo a dir suoi paternostri si sta in casa e rade volte va al lavoro che non voglia che io con lui vada. E però converrà a noi trovar qualche onesto modo che a me venir possiate acciò che contentiamo li apetiti nostri». Lo monaco dice: «Donna, lassa fare a me: io darò al frate tuo marito una regola che agiatamente gran parte della notte insieme godremo». La donna dice: «Deh, per Dio fate tosto».
Lo monaco, per esser tosto alle prese, come fra’ Canoro a lui va lo tira da parte dicendoli: «Frate et amico mio, poi che io hoe preso tanta amicizia teco che quello che più amo farei participi, dir <ti voglio> di quella cosa che più da te dé esser amata: e cognosco che disideri andare in paradiso e fuggire lo ’nferno. Posto che non molto lieto mi sia narrarti le cose secrete del cielo, nondimeno per poter venire al disiato desiderio non guarderò apalesarti tal secreto. E pertanto ti dico che il papa e’ cardinali per aver la gloria di paradiso hanno ordinato (ma non vogliono che si spanda) che stando xl di in digiuno, et ogni notte stare fine a mattino in modo come fu Cristo crocifisso, cioè colle braccia aperte, in su uno solaio fatto per modo che il cielo vedere si possa, con ccc paternostri e ccc avemarie, e finiti se ne vada vestito a gittarsi in su’ letto, fine che livri sono li xl dì; et alora ogni peccato li è perdonato, e morendo ne va in paradiso, e di peccato che poi faccia non li è riputato a pena». Fra’ Canoro, ciò udendo, disse che tal penitenza far volea.
E subito se n’andò a casa e disse alla moglie quello che ’l monaco insegnato l’avea e il modo che dovea tenere. La donna, che vede che ’l monaco ha trovato modo di potere agiatamente con lei stare, dice al marito: «Marito mio, io voglio esser teco a fare la penetenzia in ii cose: l’una, che meco in xl dì non userai, e voglio teco digiunare; l’altra cosa fa tu». Lo marito contento quando ode dire che seco non debia usare, disse alla donna: «Stasera vo’ cominciare». E fe’ uno taulito con una sponda da lato dove fra’ Canoro stender vi si possa sotto al lucernaio della casa, dove sempre si vedea il cielo. La donna contenta lo fe’ sentire al monaco come la sera il marito principiava a volere fare la penetenza, che bene era che s’aparecchiasse a dovere con lei dimorare: tanto tempo quanto il marito starà riverto, lui serà bocconi. Lo monaco intes’e aparecchiò ben da cena.
E venuto l’ora, fra’ Canoro gittatosi riverto in sul taulito con li occhi al cielo, stando colle braccia disteso in croce, dicendo i paternossi; lo monaco con monna Menica si danno piacere a cenare. E cenato, se n’andarono a letto, dove il monaco fine a mattino in sul corpo di Menica bocconi steo. E quando venne tempo che partir si dovea, avendo più miglia caminato, la donna disse che la seguente notte tornasse; e così si partìo. Fra’ Canoro, ditto i paternossi et avemarie, essendo mattino, vestito si gittò in su’ letto e quine dormìo fine a dìe, digiunando. La donna alla presenzia del marito parea digiunasse, et in secreto s’impiea di sotto e di sopra, mangiando carne per ii bocche a bondanza.
Venuta la seguente notte, fra’ Canoro alla penetenza messo e lo monaco venuto a darsi piacere, e cenato, a letto colla donna n’andò. E perché alla donna il mestieri piacea et anco al monaco, non potendosi la donna tener d’alzare acciò che ben potesse pignare, che tutto il solaio dimenar facea, intanto che lo marito sentendo sì dimenar il solaio e la parete, avendo già ditto c paternossi, tenendo fermo il conto disse: «Deh, donna, che vuol dire questo dimenare?» La donna, ocupata dal monaco, disse: «Chi ha la mala cena tutta notte si dimena». Lo marito disse: «Ben te l’ho ditto: — Menica, non digiunare! — » E pur sentendo dimenare, dicea: «Donna, che fai?» Lei rispondea: «Di quello che io fo non te ne dar pensieri, però che io so quello mi fo, e tu dì la tua perdonanza». Lo frate alla perdonanza ritorna, la donna e ’l monaco si danno piacere, ordinando che per l’altra sera in altro luogo, che tremar non possa, si faccia i’ letto. E così osservonno più di xxx dì.
Avendosi la donna in gran parte saziato di quello che ’l marito li facea portar disagio, seguendo sempre loro piacere adivenne che Paulo fratello di Menica, vedendo Canoro tanto difunto della persona per lo digiuno e per la vigilia — ché non dormìa — , domandandolo qual fusse la cagione, fra’ Canoro tutto li disse come lo monaco li avea insegnato. Paulo, che malizioso era, pensò: «Per certo questo monaco dé ruzare con mia sorella, che questo modo ha trovato per poter andare a star con lei di notte. E per certo, se in colpa il trovo io lo casticherò, e lei, per modo che sempre se ne dirà».
E nascoso in casa che altri noi sa, e quine steo tanto che la sera fu venuta, che fra’ Canoro si distese in croce in sul solaio colla faccia al cielo; et il monaco venuto e colla sorella si dà a cenare e prender piacere. Paulo li vede a letto andare e nudi intrati innel letto dandosi sollazzo. Vedendo ciò Paulo subito con uno coltello senza far motto a letto dov’era la suora col monaco se n’andò, e messo mano al pasturale del monaco, che l’avea di buona misura e bene in punto, col coltello quello li tagliò. Mettendo un grande grido il monaco tramortìo. Fra’ Canoro ciò udendo disse: «Domenica, che è quello ch’io odo?» Paulo dice: «Cugnato, tu se’ stato ingannato, ma loda Idio che dello inganno io t’ho vendicato». E mentre che questo dicea, senza restare, il naso a Menica sua suoro tagliò, dicendo: «Omai t’invaghirai di monaco a tua posta». La donna dolorosa piangendo, il marito ciò udendo cognove esser stato ingannato dalla moglie e dal monaco.
E contenti della vendetta fatta, prenderono il monaco e così tramortito lo portarono innella calonaca e in s’uno letto lo misero, e quine steo tanto che risentito si fu; né molto tempo steo che si morì.
La donna per vergogna mai della casa non uscìo né a persona si lassò mai vedere; e così dapoi fu contenta solo del marito, né altri cercò lei né ella altrui.
Ex.º cxi.