Novelle (Sercambi)/Novella CX
Questo testo è completo. |
◄ | Novella CVIIII | Novella CXI | ► |
CX
Giunt’a Cesena, quine si denno buon tempo di canti, suoni e danze < . . . . . . . . . > in questo modo:
«Seguendo tuo apetito i’ perdo onore;
così costei: mercé dunque, Signore:
pon freno al mio cor prima che bianco
il tempo faccia il mio capello e pelo
con fare ch’in questa il vizio vegna manco
anzi che pigli benda e lassi il velo.
Taci, per tua pietà, del bestiai zelo,
lassando onesto a ciascun te nel core».
Ditta, di vantagio cenarono e fine alla mattina si riposarono.
E quando levati furono, il preposto comandò a l’altore che dicesse una novella fine che alla città di Cervia giungeranno. Lui presto a ubidire disse: «A voi, omini che di golosità siete pieni e, se invitati, oltra misura mangiatori, ad exemplo dirò una novella d’uno che essendo grande mangiatore non era però più valente de li altri; la qual’incomincia in questo modo:
DE MAGNA GOLOSITATE
Come Nicolao Corbi fue fatto castellano con x compagni in su Porta di Borgo.
F>u, innel tempo che la nostra città di Lucca rimase libera, deliberato che tutte le fortezze che Lucca possedea si desseno a’ cittadini a guardia, e massimamente le porte della città di Lucca. E come diliberato si misse in efetto, che in sulle ditte porti funno cittadini per castellani messi. Et infra li altri che messi vi funno, fu uno de’ Corbi nomato Nicolao, grande e grosso come uno bue maremano.
Era questo castelano in sulla Porta del Borgo con x compagnoni assai eguali al loro castellano in tutte le cose; e massimamente in mangiare provavano molto loro persone, che prima che il mese fusse venuto avea il castellano e’ sergenti mangiato il soldo; e sempre per tal cosa stava in debito.
Or perché la nostra novella si dirizza al ditto de’ Corbi, dirò quanto la sua golosità era: che non vastandoli il pane e ’l bere la mattina, e ’l desnare e per poi la merenda, sequentemente la cena e la doppo cena (che ogni notte almeno ii volte mangiava né mai parea si vedesse sazio); e non vastandoli il soldo al suo mangiare, di quello da casa per impiersi bene mettea. Et era a tanto venuto che’ sergenti che avesse non li volea a compagna in sì fatte cose, ma solo convenia per sé vivere. E fu tanto il suo diluviare di robba che, non potendo a ugn’ora aver carne, per salegiata prendea dell’erbi che in sulle mura nasceano, non guardando che erbe si fusseno.
E così in sulla ditta porta steo alquanto. E come è d’usanza che li anziani di Lucca vanno a visitare le mura come sono ben fornite di castelani sergenti et amonizioni, uno giorno del mese di magio in domenica du’ del colegio di quelli anziani andonno in sulle mura per provedere li castellani. Lo castellano de’ Corbi co’ suoi sergenti aveano aparecchiato per merenda assa’ carne; e già cotta avendola, li anziani giunseno alla porta dove coloro erano, e trovato aparecchiato, dissero se aveano ancora a desnare. Rispuoseno che desnato aveano, ma quello era per merenda. Li anziani, vedendo tanta carne cotta, dissero: «Per certo, castellano, tu dovresti esser gagliardo per vi omini, tanto ci pare che debbi mangiare». Il Corbo disse: «Or come, non vi pare che io abbia corpo da esser forte e gagliardo?» Li anziani dissero: «Faciamo la mostra».
E fatta la mostra e partitosi li anziani di quella porta e su per le mura verso l’altra porta n’andavano, il cautelano volendo puonersi a taula per mangiare, e li sergenti subito trassero a lui colle mani alle brachi. E tratto fuora la trista coda, pisciando per lo volto al ditto castelano, lui fugendo e gridando in uno de’ cantoni della porta si misse, chiamando forte: «Misericordia!». Li sergenti a gorgate la bocca di piscio l’empievano, lui dicendo: «Misericordia, non fate più: andiamo a mangiare!»
Li anziani, che senteno le grida e dire misericordia!, trasseno arieto a quella porta credendo che tra loro si facesse quistione. E come funno in luogo che tutto vedeano e non poteano dal castellano esser veduti, stavano a vedere quello faceano. E viddeno che il Corbo castelano tenea le mani al volto dicendo: «Misericordia, io sono contento: pur che noi andiamo a mangiare io m’arendo vostro prigione». Li sergenti, tenendo la coda trista in mano, di furia l’uno lo percotea del piscio in un’orecchia e l’altro innell’altra. Il castellano levando la mano per coprirsi l’orecchia, l’altro li dava innell’occhi; lui dicendo: «Misericordia!», aprìa la bocca, e du’ di netto gran gorgazzate di piscio li davano dentro; lui dicea: «Deh, vogliatemi pregione e non morto, et andiamo a mangiare!», coloro diceano: «Prima che noi ti vogliamo lassare, vogliamo che tegni aperta la bocca e ciascuno che meglio sa dentro dare sia oggi fatto capitano; e poi andiamo a mangiare». Il corbo Nicolao rispuose: «Poi che dobiamo andare a mangiare io sono contento, e nondimeno mi tegno vostro prigione». Et aprendo la bocca quanto aprir la potéo, comincionno i sergenti a trarre tanto diritto che più volte volendo il piscio che in bocca li entrava mandar fuori, l’altro col piscio lo rimettea dentro per sì gran forza che più volte li era di necessità mandarlo in corpo.
Li anziani, che stanno a vedere tanta cattività senza dir niente, per vedere la fine di tale opera stavano pure a vedere. E fornito che ciascuno ebbe l’opera sua, il castellano inginocchiandosi disse a’ sergenti: «Omai come prigione a mangiare mi menate». Coloro con una cintora al collo lo menonno alla mensa, dove senza lavarsi né mani né culo a taula si puose, là u’ si pascéo come se mai mangiato non avesse.
Li anziani essendo pasciuti della cattività di quello castellano e de’ compagnoni, come giunti furono al palagio l’ebbero casso e d’un altro la ditta porta fornirò. E se non <fusse> per amore di alcuno suo parente, arè’ sentito delle frutta del mal orto.
E per questo modo fu cognosciuta la golosità del tristo ghiotto.
Ex.º cx.