Novelle (Sercambi)/Novella CV

Novella CV

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CV


C>ome la brigata fu giunta a Fossambruno quine u’ trovonno bene aparecchiato, e con piacere cenaron e fine a l’altro giorno posaronsi. Dove levandosi, il proposto a l’altore comandò che una novella conti fine che ad Agobbio siano giunti, ma prima dica qualche moraltà. Lui presto disse:

«Invidia porto a ciascun mio migliore,
però dentro e di fuore io ardo tutta
premendo il core guerra magra e brutta».

E dapoi l’altore rivoltòsi e disse: «A voi, giovani et omini volontarosi di giocare, et a voi, officiali eletti al governo di terre, che per leggi scritte volete che del giuoco s’astegna, ad exemplo dirò una novella in questo modo, cioè:

DE INVIDIA

Di Bioccolo Boccadivacca cavalieri: per mala signoria se n’andò indelle terre di messer Mastino.

N>ella nostra città di Lucca, al tempo che messer Marco Visconte di Milano la lassò in pegno a’ tedeschi, molti cittadini lucchesi per male stato di Lucca si partirono; infra’ quali fu un messer Bioccolo di Boccadivacca cavalieri, il quale si condusse innelle terre di messer Mastin della Scala signore di Verona, e quine prendendo una casa per poter la sua vita senza molta spesa passare. [p. 460 modifica]

E stato alquanto tempo il ditto messer Bioccolo in Verona, fu per alcuno cognoscente di ditto messer Bioccolo parlato a messer Mastino dicendoli che bene era che di grazia al ditto messer Bioccolo una podestaria li desse in qualche terra a lui sottoposta. Messer Mastino, per le preghiere dello amico mosso, in uno suo castello nomato Marciano li diè officio nomandovelo podestà con certo salario. Messer Bioccolo, che di ciò avea bisogno, allegramente acettò promettendo fare buono officio.

Et andato all’officio, pensò come lucchese che il giuoco de’ dadi innella terra né di fuori per neuno si faccia. E mandatone il bando con gran pena che giocare a’ dadi non si debbia, faccendo cercare spesso, divenne che alquanti gentili omini e altri, che usi erano di tal giuoco, lamentandosi che sí strettamente li avea riduti e niente valea, messer Bioccolo non volendo lor consentire che tal giuoco facesseno, diliberonno a taule giucare. E non essendone mandato bando, cominciarono a giucare.

Lo podestà, ciò sentendo, fece mettere bando che neuno giuoco di taule si possa fare. Li gentilotti et altri che di giuoco si dilettavano, dolendosi di sì fatti comandamenti e pogo valendo, si ridusseno a giucare a scacchi, a dadi et allo smiglieri a dadi; e quine si davano piacere con giocare e poga e gran somma. Messer Bioccolo, che i giuochi di prima avea fatti vietar’e più, perché lui non era omo da neuno piacere volea che altri come lui fusse di sollazzo netto, sentendo che al giuoco delli scacchi e de’ smilieri ora la gente si trastulava, pensò tal diletto via levare. E rimandato bando che a neuno giuoco dove dadi s’adoperasseno giocare non si potesse, li gentilotti, mormorando di tanti comandamenti, tra loro diceano: «Lo podestà dé essere di quelli di santa Lucchisenna, che non volendo né sapendosi pigliar piacere non vorrè’ che altri se ne prendesse». Et avendo tanti comandamenti a dosso, diliberonno darsi piacere a scacchi et a smiglieri senza dadi, dicendo tra loro: «Omai messer Bioccolo ci lasserà stare». E tal giuoco giocavano d’assai e di pogo.

La maladetta invidia del podestà, non potendo patire che altri si desse piacere, fe’ divieto che né a scacchi né a smiglieri giocar non si possa. Li gentilotti con mormoramento diceano al [p. 461 modifica]podestà: «Perché ci volete tener sì stretti che alcuno piacere prendere possiamo? Or come, sono li omini di Lucca della vostra condizione, che non potendosi dare alcuno piacere non vogliano che altri se ne dia?» Lo podestà disse: «Sì, e però non vo’ che a tali giuochi di che ho mandato il bando si giuochi». Li gentilotti, udendo sì tristamente parlare il podestà della sua terra, l’ebbero spacciato per una zucca vota, diliberando nondimeno osservare li suoi bandi ma per altro modo prender piacere. E comincionno a giucare alle nocciore, e poi alla piastrella et alla palla et a cotali giuochi d’ossa e di trottole come li fanciulli fare sogliono, con mettere denari assai e poghi secondo che di loro piacere era.

Lo podestà, che crepa d’invidia che vede che altri si prende piacere ora a un modo ora a un altro, deliberò tali giuochi divietare: e mandando il bando che i giuochi nuovamente cominciati far non si possano, li gentilotti disseno: «Ormai ci converrà filare come le femine, poi che tutti i diletti che li omini pigliar sogliono questo nostro montone maremmano di podestà ora ci ha dilevati».

E non potendo più darsi piacere, uno gentiluomo allegro disse a li altri: «Poi che tutti i giuochi che fatti abbiamo ci sono tolti, et io ve ne vo’ dare uno che ’l podestà tollere non ci potrà»; dicendo: «Chi ha voglia di giucare vegna fuori meco e quine vi mosterò il modo che giocar potrete senza pena; e tal giuoco molti giocar potrano». Udito li altri quello che quel gentile uomo avea ditto, di furia più di c si mossero e dirieto a tale n’andaro. E come funno fuori andati, a una meta di paglia s’acostarono, dicendo: «Ognuno che giucar vuole metta quello li piace che egualmente si metta». Di che acordati più di loro a metter iiii grossi per uno, lo gentile uomo disse: «Qualunca trae magior paglia di quella meta con ii dita, guadagni tutti questi denari». Acordati, cominciarono, e quello che magiore paglia traeva, vincea. Piacendo a tutti il giuoco, si divisero, e per tutta quella contrada eran moltissimi che a tal giuoco giocavano.

Lo podestà, che hae veduto andare molte persone in fretta di fuori, pensò che tali fusseno iti per prendere piacere, poi che giocare non poteano. Con intenzione tale piacer levare lor via, e comandato ad alquanti suoi famigli che a vedere andassero, [p. 462 modifica]li famigli giunti dove i gentilotti erano a giocare alla paglia, vedendo molte brigate e non potendo loro niente dire, tornoro al podestà narrando il piacere che quelli si davano e il bel giuoco. Il podestà ciò udendo, non potendo più sostenere, fe’ comandamento che a neun modo giocar si possa, che colle mani e co’ piedi neuna cosa che a giuoco apartegna toccar si possa. Li gentilotti, che tutto hanno perduto, disseno: «Omai ci sotteriamo vivi poi che tutto c’è stato dilevato nostro diletto».

E stato per tal modo, un gentiluomo voluntaroso di piacere disse: «Noi possiamo giocare senza pena e non toccheremo niente: il modo si è questo, che tu dichi: — Primo mio a un fiorino — ; e l’altro dica: — Io son contento — ; et andiamo per la via. E ’l primo che noi troviamo dimandisi del nome se cognoscer non si può per noi, e tal nome sia di tali che ha ditto “primo mio”; e poi il secondo che si trova, sia tal nome del secondo; et allora, chi li pare aver miglior nome inviti a rinviti: e qual prima sia <venuto quello vincerà>». Subito andando per la terra giocavano con tanto piacere che parca che tutta l’allegrezza fusse in loro quando scontravano li nomi e dell’uno e dell’altro.

Messer Bioccolo, che sente ora in una contrada ridere ora innell’altra, volse sapere il perché: come di mal sangue pensò quel diletto dilevare e divetare. <Vedendo> che tutto il piacere era tolto per invidia, dispuoseno que’ gentilotti andare a messer Mastino, che a ciò prendesse riparo.

E giunti dinanti da lui, dispuoseno quello che messer Bioccolo avea fatto innell’officio a lui dato. Cognoscendo che per invidia del bene che ad altri vedea tali leggi fatte avea, messer Mastino come savio cognove il podestà esser da pogo: lo dilevò dell’officio né mai da lui officio potéo avere; et a que’ gentilotti diè licenzia che piacere si prendesseno non faccendo ad altri oltragio, sempre adoperando innel giuoco discrezione.

E ritornati si denno buon tempo, e messer Bioccolo colla invidia si steo e con quella tristamente morìo.

Ex.º cv.