Novelle (Bandello, 1910)/Parte III/Novella LXV
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IL BANDELLO
al gentilissimo
messer galeazzo valle
vicentino
La novella che questi di fu narrata ne l’amenissimo giardino dei nostri signori Attellani dal piacevolissimo soldato Uomobuono, che da tutti è chiamato Cristo da Cremona, ci fece assai ridere, si perché ella ha in sé non poco di risibile ed altresi perché il modo e i gesti che Uomobuono faceva, e il suo puro e nativo parlar cremonese ci incitavano forte al riso. E voi, tra gli altri che quivi si trovarono ad udirla, rideste la parte vostra assai saporitamente. Io, partito che fui dal giardino, subito la scrissi, e pensando a cui donar la devessi, voi subitamente mi occorreste, parendomi che udendola narrare se tanto e si di core rideste, che descritta e al nome vostro intitolata non vi debbia dispiacere. Ché veramente cotesti animali sono di natura loro molto ridicoli e fanno mille atti piacevoli; ma talora sono malvagi e fastidiosi, come avvenne questi anni passati qui in Milano ad un povero contadino, che forse in vita sua non deveva aver veduto simie giá mai. Aveva il signor Antonio Landriano, che fu tesoriero de lo sfortunato duca Lodovico Sforza, un simione grossissimo, di volto piú degli altri simile a l’uomo, e lo teneva per l’ordinario vestito con un saione indosso, fatto di panni di diversi colori, e legato nel cortile del palazzo suo. Avvenne che un contadino, venuto da le possessioni del signor tesoriero, non ci veggendo persona se non il simione, pensò che egli fosse alcuno dei servidori de la casa. Era il contadino uomo grossolano e goffo, con un viso il piú 43 PARTE TERZA contrafatto, che pareva proprio un Esopo. Accostatosi adunque al simione, lo domandò ove era il fattore del messere. Il si- mione, veggendo questo nuovo Squasimodeo, se gli avventò a dosso e lo cominciò con denti ed unghie senza pettine a car- mignare. Il povero uomo gli usci pure da le mani, e pensando tuttavia che egli fusse uomo, gli diceva in loquela ambrosiana: — Al corpo del vermecan, voi potreste ben esser gentiluomo, ma gli atti vostri sono da un ghiottone! Ed ora me n’accorgo, che vi veggio incatenato, ché se me ne fossi prima accorto, 10 non vi veniva già appresso. — Ma tornando a la novella, voi, in cambio di questa, mi canterete un di con la vostra ci- tara a l’improviso di quel soggetto che io vi proporrò, essendo oggidì voi in Italia nel cantare a l'improviso da esser annoverato tra i primi, così séte facondo, copioso, dolce e presto al cantare. Un’altra parte avete che a me pare mirabilissima: che da ogni tempo e in ogni luogo sempre séte pronto a dire, non sofferendo d’esser pregato. State sano. NOVELLA LXV Una simia, essendo portata una donna a sepellire, si veste a modo de la donna quando era inferma e fa fuggire quelli di casa. Al tempo che lo sfortunato duca Lodovico Sforza governava 11 ducato di Milano, per quanto già mi narrò mio padre, che era capo di squadra ne la guardia del castello de la città di Milano, era in detto castello una simia molto grossa che, per esser piacevole, ridicola e non far mai danno a nessuno, non si teneva legata, ma, lasciata in libertà, andava per tutto il castello. E non solamente in castello, ma usciva fuori e ne le case de le contrade Maine, di Cusano e di San Giovanni sul muro conversava molto spesso. Ciascuno le faceva carezze e le dava de le frutte ed altre cose a mangiare, si per rispetto del duca, come anco perché era piacevolissima e faceva mille cose e giuochi da ridere, senza far male né morder persona. Ora tra l’altre case ove frequentava più, era la casa d’una vecchia gentildonna, che aveva l’abitazione ne la contrada de la parrocchia NOVELLA LXV 49 di San Giovanni sul muro. Aveva la buona donna dui figliuoli, dei quali il primo era maritato, e molto volentieri vedeva la simia andar per casa e sempre le dava alcuna cosa da mangiare, e si prendeva grandissimo piacere de le sciocchezze che la simia faceva, e scherzava sovente seco come con un cagnolino ave- rebbe fatto. I figliuoli, che vedevano la vecchia madre loro, che quasi era decrepita, tanto volentieri trastullarsi con quella bestiola, ne prendevano somma contentezza, come buoni ed amorevoli figliuoli ch’erano; e se essa simia fosse stata d’altri che del signor duca, l'averiano più che volentieri per ricreazione de la madre comperata. Onde comandarono in casa a tutti che nessuno avesse ardire di batter né molestare la buona simia, ma che tutti le facessero carezze e le dessero da mangiare. Per questo la simia frequentava più la casa de la vecchia che l’altre dei vicini, perché in quella era meglio trattata e vi ritrovava miglior pastura. Ogni sera però ella tornava in castello al suo consueto albergo e covile. Ora avvenne che la buona vecchia, consumata dagli anni ed anco inferma, cominciò a non uscire di letto. I figliuoli facevano attender a la madre con ogni diligenza, e di medici, medicine e cose ristorative non le mancavano in conto alcuno. La simia secondo il suo solito frequentava la casa, e fu menata ne la camera ove l’inferma giaceva, la quale mostrava d’aver gran piacere di veder essa simia e cominciò a darle di molti confetti. Sapete naturalmente coteste bestiole esser fortemente ghiotte de le cose dolci, e massima- mente amar le confetture. Il perché monna simia era quasi di continovo al letto de la buona vecchia e mangiava assai più confetto che non faceva l’inferma; la quale, essendo fieramente da la infermità aggravata e dagli anni consunta, dopo Tessersi confessata e riceuti i santi sagramenti de la Chiesa, la commu- nione e l’estrema unzione, passò a meglior vita. Ora, mentre che la pompa de le essequie si preparava, secondo la consuetudine di Milano, le donne lavarono il corpo de la morta e con la cuffia e bende le abbigliarono il capo come ella era solita, e poi la vestirono. Stette sempre monna simia presente al tutto. Come il corpo fu vestito, fu ne la funebre bara deposto; né M. Bandello, Novelle. 4 PARTE TERZA guari si stette che la chieresia invitata venne e con le solite ambrosiane cerimonie a torno ad essa bara si celebrò l’officio, e poi levato il corpo, fu portato a la parrocchia non molto lontana. Mentre queste cose si facevano, monna bertuccia attese a votar le scatole e gli alberelli che erano su la tavola. E poi che a suo bell’agio s'ebbe empito il corpo, le montò uno strano capriccio in capo, come le suole sovente avvenire de le cose che simil bestie sogliano veder fare. Aveva ella, come v’ ho detto, veduto acconciar il capo a la morta vecchia, quando la volevano metter ne la bara. Il perché la buona simia, presa quella cuffia e quelle bende sucide che sovra il letto erano rimase, avendo con quelle di bucato le donne acconcia la vecchia, ella cominciò ad abbigliarsi con le restate bende e cuffia il suo capo, come avevano le donne fatto a la morta, di modo che pareva che cento anni avesse fatto quel mestiero. Indi si corcò nel letto e con si bel garbo vi si mise, coprendosi, che pareva a punto la madonna che in letto riposasse. Vennero le fantesche di sopra per nettar la camera e dar ordine a le cose che dentro v’erano; ma come videro la bertuccia in letto, parve loro senza dubio veruno veder la vecchia morta. Il perché fieramente turbate e spaventate, dando grandissimi gridi, con gran fretta scesero a basso e dissero la donna morta esser in letto e stare come prima soleva. Erano di poco ritornati da la chiesa i dui fratelli e seco si trovavano alcuni loro parenti. Di brigata adunque salirono le scale ed entrarono in camera; ed ancora che avessero grand’animo per esser in compagnia, nondimeno a tutti se gli arricciarono i capelli in capo di paura, e subito, stupidi e pieni di grandissimo spavento, discesero a basso. E poi che alquanto la paura cessò, mandarono a chiamar il loro parrocchiano, facendogli intender il caso che era intervenuto. Il buon prete, che era persona da bene e divota, fece dal chierico suo pigliar la croce e l’acqua santa, ed egli con la cotta e la stola al collo se ne venne, cominciando a dir i sette salmi con varie orazioni. Come fu entrato in casa, confortò i fratelli, essortandogli a non temere, perché conosceva molto bene la madre loro già lungo tempo, e che l’aveva confessata infinite NOVELLA LXV volte e che certamente era donna da bene. Disse loro poi che se in camera avevano veduto cosa alcuna, o che s'erano ingannati nel vedere, come spesso avviene, o che per avventura erano illusioni diaboliche; ma che stessero di buon animo, ché egli benediria tutta la casa e con gli essorcismi costringeria, con l’aiuto di nostro signore Dio, gli spiriti e gli faria andar altrove. Cominciando poi a dire sue orazioni, prese l’aspersorio e con l'acqua santa andava aspergendo per tutto. Cosi col chierico suo sali in alto, non ci essendo persona che volesse o, per dir meglio, osasse accompagnarlo. Come egli fu in camera e vide monna bertuccia che se ne stava in un gran contegno, se gli rappresentò la vecchia morta e seppelita, ed ebbe pure un poco di paura; nondimeno, fatto buon animo, s’accostò assai vicino al letto e, avendo l’aspersorio, cominciò a dire: —Asperges me, Domiile — e gettar de l’acqua a dosso a la simia. Ella, come vide il prete dimenar l’aspersorio quasi in forma di volerla battere, cominciò a digrignare i denti e battergli insieme. Il che veggendo il domine e fermamente credendo esser alcuno spirito, ebbe grandissima paura e, lasciato cascar l’aspersorio, si mise a fuggire. Ma prima di lui il suo chierico, gettata per terra la croce e l’acqua santa, se ne fuggi giù per la scala con tanta fretta che, cadendo, andò giù a gambe riverse, ed il prete dietro a lui, di tal maniera che anco egli cadette a dosso al suo chierico, e andarono tornando a l’ingiù, come fanno le glo- merate anguille nel lago di Garda, dagli antichi chiamato Be- naco, quando esse, come dicono i paesani, « vanno in amore ». Teneva pur detto messer lo prete: — Iesus, fesus.' Domine, adiuva me. — AI romore che i dui caduti giù per la scala facevano, corsero i dui fratelli con gli altri che in casa erano, ed aggiunsero in- quella che essi, mezzo sciancati, erano al fondo tombati. Gli dimandavano i dui fratelli che cosa fosse questa e ciò che gli era accaduto. Pareva il prete col suo chierico, a guardarlo in viso, che fosse stato tratto alor alora fuor di sepoltura, si era pallido e smarrito; di modo che stette buona pezza che mai non puoté formar parola. Medesimamente il chierico pareva spiritato ed aveva rotto il viso in più di tre luoghi. 52 PARTE TERZA A la fine il buon prete, che si sentiva rotta tutta la persona, tratto un grandissimo sospiro, disse tremando: — Oimè, i miei figliuoli, ché io ho visto il demonio in forma di madonna vostra madre! —Monna bertuccia, che era uscita fuori del letto, s’era messa a visitar le scatole dei confetti, e saltellando scese giù da la scala in quello che il domine aveva cominciato a parlare. Ella aveva in capo la cuffia e bende de la vecchia ed involte al corpo alquante pezze di tela. Come fu in fondo de la scala, ella saltò nel mezzo di quelli che quivi erano e fu quasi per farli fuggir di paura, perciò che in effetto in viso rassem- brava a la morta vecchia. Ma riconosciuta da uno dei fratelli, fu cagione che la paura degli astanti si convertisse in riso, e tanto più gli faceva ridere, che ella in quell’abito cominciò a trescare e saltellare or qua or là, facendo i più strani atti del mondo. Né contenta d’aver trastullato quelli che prima aveva spaventato, ella, saltellando né si volendo a nessuno lasciar prendere, facendo mille moresche se n’usci di casa e con quell’abito a torno se ne corse in castello, facendo molto ridere tutti quelli che la videro. E secondo che in casa dei dui fratelli si deveva star di mala voglia, come loro si rappresentava la bertuccia con quegli atti ridicoli, erano tutti sforzati a ridere, gabbandosi l’uno e l’altro de la paura che avuta avevano.