Novelle (Bandello, 1910)/Parte II/Novella XXX
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IL BANDELLO
a l’illustre signore
il signor
giano fregoso
Veggiamo tutto il di scoprirsi grandissima differenza tra gli uomini e le nature ed inclinazioni loro, cosí varie che ben sovente in tutte l’azioni loro si discorderanno. E come di rado si ritrovano dui che d’effigie e lineamenti del corpo s’assimiglino, cosí anco rare volte dui saranno in tutto d’un volere, di modo che se in una cosa converranno, in molte altre poi saranno di vari pareri. Colui in ogni azione od opera che sia per fare, quantunque ella sia facile e consueta facilmente a mettersi in essecuzione, sempre vi ritrova difficultá, e si con suoi argomenti innanzi agli occhi te la dipignerá, che ciò che è possibile ti fará parer impossibile e ti porrá in disperazione che il tuo desiderio debbia aver effetto. Quell’altro poi ha l’animo cosi fatto che niente si pensa esser impossibile, e quanto piú l’effetto che se gli ricerca è difficile a condursi a desiderato fine, tanto piú egli lo reputa facile, e d’argomento che in contrario tu gli faccia, punto non si sbigottisce, e bene spesso aiutato da la vivacitá ed acutezza d’un elevato ingegno, ciò che era da tutti stimato che riuscir non devesse giá mai, egli fa con non troppa difficultá venir ad effetto. Questi tali communemente son molto grati a’ gran maestri che sempre ricercano di far ciò che quasi far non si può, e piú grati anco al volgo che veggendo per mezzo loro condursi a fine un’opera creduta quasi impossibile di farsi, gli credono uomini piú che naturali; che se conoscessero la sottigliezza de l’ingegno de l’uomo, cessarebbe in loro l’ammirazione. Si ragionava di questa materia da alcuni gentiluomini di casa de la signora mia padrona, la 202 PARTE SECONDA signora Gostanza Rangona e Fregosa, avendoci prestato il soggetto Pittigliano sescalco, il quale di cosa che se gli domandi mai non dice di no, ben che rade volte segua l’effetto a le sue parole. Comandagli pur ciò che tu vuoi, egli sempre ti risponderà che sarà fatto, o sia possibile o impossibile quello che se gli ricerca. Onde in questi ragionamenti messer Stefano Coniolio canonaco agennense narrò una bella novelletta, la quale essendomi piacciuta scrissi e volli che sotto il vostro nome fosse dal publico veduta. Ella adunque sarà testimonio eternamente de la mia verso voi osservanza. State sano. NOVELLA XXX L’abbate di Begné fa una musica porcellina e prontamente risponde al suo re e si libera da una domanda. L’anno passato essendo io in Amboisa a la corte per gli affari di questo vescovado, sentii da un gentiluomo alvergnasco, che era molto vecchio e diceva esser stato paggio del re Lodovico undecimo, narrar molte cose memorabili d'esso Lodovico. E tra l’altre cose che diceva, narrava come era stato uomo che mirabilmente si dilettava di coloro che non trovavano cosa alcuna impossibile da esser messa in essecuzione, ancor che l'effetto alcuna volta non succedesse, e che sommamente gli piaceva che l'uomo vi si mettesse per approvar ciò che poteva riuscire. Onde disputando un giorno a la presenza d'esso re monsignor l’abbate di Begné, uomo di grandissimo ingegno e musico eccellentissimo, de le vertù de la musica e de la dolcezza de l’armonia, il re per burla gli domandò se egli, secondo che aveva trovato due o tre fogge d’instrumenti musicali non più a quella età veduti, averebbe saputo trovar un’armonia di porcelli, credendo che l’abbate devesse dir di no. L’abbate udendo la proposta del re, non restando punto smarrito e cadutogli in animo ciò che intendeva di fare, gli rispose molto allegramente: — Sire, se voi mi fate dar il danaio che bisognerà a far questa musica, a me dà l’animo di farvi sentir una mirabilissima armonia che risulterà da la voce di molti porcelli, NOVELLA XXX 203 che io regolatamente farò cantare. — Il re, desideroso di veder che fine averebbe cotal fatto, gli fece quel di medesimo da uno dei suoi tesorieri numerar quella somma di danari che egli domandò. Si meravigliava ciascuno de. l’impresa de l’abbate e dicevano ch’egli era stato folle a mettersi a quel rischio, perciò che il re s’era convenuto seco che non gli riuscendo questa musica porcellina, che gli pagasse altri tanti scudi quand n’aveva ricevuti dal tesoriero, e se riusciva, ogni cosa restava a l'abbate. Ma l’abbate diceva a tutti coloro, che erano uomini di poco spirito e che non sapevano far nulla, e che tutto quello che essi non sapevano fare si pensavano esser impossibile. Pigliò l’abbate termine un mese a fare questa musica e in quel tempo comperò trentadui porcelli di varia età, scegliendone otto per tenore, otto per il basso, otto per il sovrano e otto per l’alto. Di poi fece un instrumento con i suoi tasti a modo d’organo, con fili lunghi di rame in capo dei quali maestrevolmente erano alligati certi ferri di punta acutissima, i quali secondo che i tasti erano tócchi ferivano quei porcelli che egli voleva, onde ne resultava una meravigliosa armonia, avendo egli sotto un padiglione fatti legar i porcelli secondo l’ordine che si ricercava, e di modo che non poteva essere che al toccar dei tasti non fossero punti. Provò cinque o sei volte l’abbate la sua musica, e trovando che molto bene gli riusciva, innanzi al termine di quattro giorni invitò il re a sentir la musica porcellina. Era alora il re a Tours con tutta la corte, e bramoso di veder e sentire cotal armonia, andarono ne la badia di Ma- mostier che fondò san Martino, ove l’abbate aveva il tutto apparecchiato. E veggendo il padiglione teso e l’instrumento a foggia d’organo a quello attaccato, stavano tutti con meraviglia, non si sapendo imaginare che cosa si fosse e meno che ci era sotto il padiglione. Ciascuno si fermò, ed il re disse a l’abbate che facesse l’ufficio suo. L’abbate alora accostatosi al suo instrumento cominciò a toccar quei tasti comesi suona l’organo, con si fatta maniera che, grugnendo i porci secondo l’ordine che erano tócchi e trafitti, ne resultava una buona consonan- zia ed una musica non mai più sentita, ma meravigliosamente 204 PARTE SECONDA dilettevole a sentire, perciò che l’abbate, che era musico eccellentissimo, sonò alcune belle « ricercate » ed alcuni « mottetti » maestrevolmente composti, del che il re prese un grandissimo piacere. E non contento d’aver sentita la musica nuova una volta, volle che l'abbate due e tre volte gliela facesse sentire. Onde il re e tutti quei signori ed altri che erano stati presenti a la musica, giudicarono che l'abbate aveva perfettamente a la promessa sodisfatto, e molto ne restò commendato. Fece poi il re alzar il padiglione da una banda per poter veder l’ordine dei porcelli, e veggendo la maniera come erano legati e l’ordine de le fila di rame con quei ferri a modo d'ago acutissimi, forte si meravigliò e tra sé giudicò lo abbate esser uomo d’elevato ingegno e di grandissima invenzione, e gliene diede quelle lode che gli parve che cotal nuovo ordigno meritasse. Questo è quell’abbate, per dirvi un’altra cosa che di lui intesi, il quale con una prudente risposta seppe conservarsi e mantenersi abbate. Desiderava sommamente il detto re Lodovico undecimo gratificar un certo straniero e fargli aver una badia, e non ne vacando in quei di nessuna, chiamò a sé questo abbate e lo pregò che gli volesse rinunziar la badia, ché gli daria una pensione equivalente fin che ne vacasse alcun'altra. L’abbate sapendo ciò che teneva, subitamente, intesa la proposta del suo re, cosi gli rispose: — Sire, io ho travagliato quaranta anni prima che abbia potuto imparare « a, be »: io vi supplico che mi diate altro tanto tempo di poter imparar il resto che segue. — Intese il re la pronta e bella risposta de l'abbate, che voleva dire che di quaranta anni era stato fatto abbate e che desiderava di goder altro tanto tempo la badia, e che avendo una rendita certa, non voleva correr dietro ai tesorieri per riscuoter la pensione, che molte fiate è una passione. Piacque questa risposta al re e lo lasciò goder la sua badia, e a lo straniero fece provigione per altra via.