Novelle - Novella XXIX - Carlo Savonaro fa una beffa allo zio, e fassi consigliere di Tolosa con i danari del zio. Matteo BandelloBandello - Novelle, Laterza 1911, IV.djvu
[p. 197modifica]IL BANDELLO
a l'eccellente dottor di medicina
messer
ATANASIO DEGLI ATANASI
Suole la vecchiezza apportar molti e vari disagi a colui che
diventa vecchio, e non solamente ne apporta, ma ella stessa,
come saggiamente disse il « Comico », è una corruzione di tutte
le membra del corpo, oltra che anco genera mille mali ne
l’animo umano. Ma lasciamo da parte tutti gli altri disagi e
tanti vizi suoi, quando il vecchio non è d’animo ben regolato
e generoso e si lascia trasportar da le passioni del corpo, ché
una lunga iliade se ne potrebbe comporre; e parliamo solamente del morbo de l’ambizione quando egli s’appicca in un
vecchio, e massimamente se egli è stato povero e ne la vecchiezza si ritruovi aver accumulato qualche somma di danari.
Il misero, che mai non si rivolge a dietro né pensa quanto
abbia vivuto, riguarda solo a l’avvenire, e credendosi alora
esser sul fiorir degli anni suoi, mille castella e mille chimere
ne l’aria va fabricando; e come se devesse viver altro tanto
quanto è visso, o si mette a fabricar superbi palagi e crede
godergli lungo tempo; o vero vuol pigliar moglie ed essendo
egli di sessanta anni vorrà che ella sia di quindici, e non s'accorge che se fosse messo sotto un torchio e gravissimamente
premuto, che non si cavarebbe un’oncia di succo da le sue carni ;
0 vero essendo con un piede ne la fossa, vuol comperare de-
gnità ed uffici, e prima che possa godergli se ne more e perde
1 danari ed insiememente la vita. Cosi il povero vecchio, essendo rimbambito, si pensa esser Solomone, di modo che a lui
interviene come a l’asino che per l’orecchie lunghe che aveva,
credendo che fossero duo gran corna, si tenne esser cervo, ma
al saltar del fosso dando nel fondo, s’avvide pure che era asino.
Ora ragionandosi di cotai vecchi insensati a la presenza di [p. 198modifica]198
PARTE SECONDA
madama nostra la signora Gostanza Rangona e Fregosa mia
padrona, monsignor Alano di Frigemont de la casa di Monpesat
che spesso suol venir a visitar madama, narrò una piacevo!
novella, la quale parendomi degna di memoria, fu da me subito
scritta. Volendola poi metter al numero de l’altre mie, ho voluto che sotto il nome vostro sempre sia letta e veduta come
segno de l’amor mio verso voi ed anco a fine che, come disse
monsignor Alano — ché cosi ha nome il narratore — l'uomo si
guardi d’entrar in questi rimbellì fuor di proposito. State sano.
NOVELLA XXIX
Carlo Savonaro fa una beffa a lo zio e fassi consegliero di Tolosa
con i danari del zio.
Seguitando adunque il proposito di che s’è parlato, vi dico
che in Tolosa, città antichissima e molto piena di popolo, ancora non è guari fu un prete, dottore di ragion canonica, assai
ricco di benefici, che si chiamava messer Antonio Savonaro; il
quale era di tanta grandezza di corpo che in tutto quel paese
non si trovava uomo cosi grande che egli da le spalle in su
non soperchiasse, di modo che da tutti era per la grandezza
sua conosciuto e guardato sempre per meraviglia. Egli fu fatto
ufficiale de l’arcivescovo, onde, essendo molto ruvido e severo
più che il devere non richiedeva, s’acquistò per tutta la contrada generalmente questo nome, che ciascuno lo nomava « il
gran villano da le trenta coste ». Il che essendogli pervenuto a
¡’orecchie, meravigliosamente se ne turbò e di tanta còlerà s’accese che in maniera alcuna noi voleva sofferire. Pensò più e
più fiate che modo devesse tener a levarsi questo nome, e quanto
più si mostrava di questo corucciato, tanto più per Tolosa se
ne canzonava e i fanciulli ed altri andavano per le strade cantando: « Il gran villano da le trenta coste»; di che il povero
uomo ne fu per impazzire. E insomma dopo che assai ne smaniò,
fece publicar una scommunica per tutta la diocesi tolosana, che
fosse scommunicato e maledetto da Dio e dai santi qualunque
ardisse più nominar monsignor l’ufficiale «il gran villano da le [p. 199modifica]NOVELLA XXIX
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trenta coste ». Adirata per questa scommunica, la gente, più
tosto che smarrita né emendata, altro non faceva di e notte che
cantare : « Il gran villano da le ventinove coste e mezza ». Ora
questo fu la secure che tagliò il collo al Savonaro. E’ voleva
disperarsi veggendo che non si poteva levare cosi brutto nome
da le orecchie: onde pensando e ripensando che via devesse
tenere a torsi questa seccaggine, non potendo andar in luogo
alcuno che non si sentisse rinfacciar la disonesta canzone, pensò,
se si poteva far consigliero del parlamento, che più nessuno
ardirebbe dirgli cotal nome. Fatto questo pensiero, chiamò a sé
un suo nipote detto Carlo, ch’era fatto dottor di leggi non molto
innanzi, e gli disse : — Nipote, tu senti tutto il di le vituperose
parole che di me si dicono, le quali ormai io non posso più
sofferire. Io mi trovo quattro milia lire di tornesi in contanti
con le quali, andando a la corte, io comperrò un luogo di senatore e mi leverò questo brutto nome da dosso. — Il nipote
veggendo lo zio entrato in questo farnetico, che d'età passava
settanta anni ed era poco più per vivere, gli rispose: — Monsignore, voi sete vecchio e devete pensare più a la morte che
al vivere. Attendete a l’ufficio che voi avete, e non andate a morire e buttar via i danari. — Come- il vecchio si senti dir queste
parole, entrò ne la maggior còlerà del mondo, e diede del
« tristo » e del « ghiotto » per il capo al suo nipote; e non volendo altrimenti esser consegliato, si mise in camino per andar
a Parigi, ove alora era la corte. Carlo, sapendo questo, gli tenne
dietro, mezza giornata sempre da lui lontano, di modo che per
l’ordinario ove il vecchio cenava Carlo il di seguente desinava.
Giunto a Parigi, andò il vecchio ad alloggiar al « Castello di
Milano ». Il che saputo da Carlo, che il seguente di v’arrivò,
andò ad un altro albergo, e fra duo giorni contrasse amicizia
con un arderò del re che gli parve atto a far quanto desiderava. Con questo arciero Carlo si convenne col prezzo di quattro
scudi. Ed essendo a pieno informato di ciò che deveva fare,
andò Tarderò a l’osteria del « Castello di Milano», ed inteso
che il vecchio era in camera, là si condusse e picchiò a l’uscio.
Ed essendogli risposto: — Chi è là? chi picchia? — egli rispose: [p. 200modifica]
PARTE SECONDA
— Io son un arciero che vengo da parte del re a parlar a
monsignore l’ufficiale de l’arcivescovo di Tolosa. — Il vecchio
come senti questo, se gli fece incontro e disse mezzo smarrito
e con tremante voce: — Che volete voi? — L’arciero gli disse:
— Il re vi saluta. Seguitatemi! — E si mise per uscir di camera,
dicendo tuttavia con parlar arrogante: — Seguitatemi, seguitatemi! — Il povero vecchio piú morto che vivo — Aspettate — diceva, — aspettate. E che vuol il re da me? — L'arciero con
mal viso teneva pur detto: — Orsú, andiamo. Monsignor, speditevi. — Deh, di grazia — disse il vecchio, — sapete voi ciò che
voglia? — Basta! — rispose l’arciero. — Andiamo, andiamo, e
non mi fate piú aspettare. — E pregando tuttavia il vecchio che
cosa era, egli gli disse: — Io ve lo dirò, ma tenetemi celato. Il re
vuol far la compagnia dei suoi arcieri dei piú grandi uomini di
Francia, e gli è stato detto di voi, che in vero séte un bell’uomo e farete un bellissimo vedere con una alabarda in spalla.
Orsú via, andiamo. — Il vecchio, che voleva pagare di calcagni,
gli disse: — Andate, che io verrò a corte. — No no — rispose
l'arciero, — egli conviene che io v’accompagni. — Ora dissero
molte parole, e insomma l’arciero ebbe dieci ducati ché non lo
conducesse. Parti l’arciero ed il Savonaro, fatto sellar i cavalli,
se ne ritornò con gran prestezza verso Tolosa, dicendo tuttavia:
— Que te calè, Antoyne Savonieres? que te calè? Tu eres officiaci et estaves pian. Que te calè? Certes un vieit d'use per pois. —
Queste sono parole de la lingua nostra guascona che in italiano
dicono: — Che ti mancava, Antonio Savonaro? che ti mancava? Tu eri ufficiale e stavi agiatamente. Che ti mancava?
Certamente la verga de l’asino per lo mostaccio. — E giunto
in Tolosa infermò e con queste parole se ne mori. Onde Carlo
suo nipote ereditò le quattro mila lire ed altre robe assai, e
comprò un luogo di consegliero; ed oggi vive senatore del parlamento di Tolosa, avendo col suo avviso saputo far che lo
zio non buttasse via i danari, essendo da la vecchiezza consumato com'era.