Novelle (Bandello, 1853, IV)/Parte IV/Novella XIV

Novella XIV - Bella astuzia del duca Galeazzo Sforza a ingannare uno de’suoi consiglieri, di cui godeva amorosamente la moglie
Parte IV - Novella XIII Parte IV - Novella XV

[p. 321 modifica]con l’aiuto del suocero re de l’Armenia e del re di Georgia, venne con grossissima gente contra Melesain soldano di Egitto, e con mortalità grande di sarraceni lo cacciò de l’Egitto, liberò Gierusalem dagl’infedeli e devotissimamente visitò il santo sepolcro; e mandò una onorevole ambasciaria al papa e al re di Francia, chè mandassero gente in Soria a guardare quelli paesi, perchè egli non poteva lungamente colà dimorare, essendoli mossa guerra in Tartaria. Ma papa Bonifacio attendeva con ogni sforzo cacciare Colonnesi e tutti li gibellini fora del mondo, e Filippo Bello re di Francia, iscommunicato da esso Bonifacio, facea ogni cosa per levarlo dal papato. Morì Bonifacio e li successe Benedetto undecimo, ma campò sì pochi mesi, che non puotè, come avea deliberato, fare l’impresa de la Terra Santa; di modo che poi, tornato Cassano in Tartaria, li saraceni ricuperarono tutti li luoghi perduti con vituperio eterno del nome cristiano.


Il Bandello al molto magnifico e dotto messer


Francesco Peto Fondano salute


Quello giorno che voi a la presenza de la nuova Saffo, la signora Camilla Scalampa e Guidobuona, in casa sua recitaste l’arguto vostro epigramma fatto in lode de le maniglie de la incomparabile eroina la signora Ippolita Sforza e Bentivoglia, il nostro messer Antonio Tilesio molto quello commendò. Onde io, per l’amicizia che seco ho, lo pregai che anco egli volesse alcuno de li suoi poemi recitare. Egli, che è gentilissimo, non sostenne essere troppo pregato, ma con quella soavissima sua prononzia recitò il suo Pomo punico, o vero, come volgarmente si dice, granato, di modo che il vostro e suo poema mirabilmente a tutti piacque. Tutti dui poi, non contenti di averli recitati, di vostra mano scritti me li deste. Indi ragionandosi di varie cose, la signora Camilla pregò il Tilesio che con alcuna novella ci volesse alquanto intertenere. Il che egli graziosamente fece, narrandoci una non molto lunga novelletta, che a tutti fu grata. Quella, avendola io descritta, ho voluto che al nome vostro resti dedicata. Io, prima che mai vi vedessi, sommamente vi amai e desiderai conoscervi, a ciò incitato da l’ [p. 322 modifica]autorità del magno Pontano, che ne li suoi dottissimi scritti molto onoratamente vi ha collocato. Quando poi, già molti anni sono, passai per Fondi e feci riverenza al generoso e magnanimo eroe, il gran Colonnese, il signor Prospero, egli fece che noi dui insieme parlassimo. Quivi cominciò l’amicizia nostra, che sempre poi si è mantenuta di bene in meglio. In testimonio adunque de la nostra mutua benevolenza, questo mio picciolo dono accetterete. State sano.

NOVELLA XIII


Bella astuzia del duca Galeazzo Sforza a ingannare


uno de li suoi consilieri, di cui godeva amorosamente la moglie.


Ogni cosa averei io, signora Camilla, e voi signori miei, creduto che avenire mi devesse, eccetto che di narrare a la presenza vostra novelle. Ma poi che voi, sinora Camilla, me lo commandate, come posso io non ubidirvi? Adunque devete sapere che al principio che io fui condutto in questa città con publico e onorato salario per isponere poeti e oratori a la nobilissima gioventù milanese, mi trovai uno giorno di brigata con alcuni uomini da bene, tra li quali era il dotto e integerrimo patricio di questa città messer Catellano Cotta. E, ragionandosi de li numerosi figliuoli del duca Galeazzo Sforza, che da varie gentildonne avuti aveva, così mascoli come femine, ci narrò una breve istorietta, che sempre rimasa mi è ne la memoria, e quella intendo io ora narrarvi. Fu Galeazzo Sforza, duca di Milano, molto generoso e liberale prencipe, ma troppo dedito a l’amore de le donne, chè, oltre la moglie, non si contentava di una o due gentildonne, ma sempre ne aveva cinque e sei. Onde avenne che, carnalmente mescolandosi con tutte, da quelle ebbe molti figliuoli e figliuole, de li quali alcuni ancora viveno. Amò egli tra l’altre la moglie di uno suo consigliero, che era molto piacevole e forte bella, e con quella più volte si trovò a prendersi di notte amoroso piacere. Soleva il consigliero starsi per l’ordinario il più del tempo nel suo studio, che era ne l’intrata de la casa in una camera terrena, per più commodità di dare audienza a li suoi clientuli. Tutta la famiglia de la casa, così uomini come ancor le donne, sapevano la prattica che la padrona aveva col duca. Per questo esso duca avea grandissima comodità di godere quando voleva la sua innamorata; e nessuno ardiva avertirne il marito, anzi tenevano mano con lei per accommodar il duca. Avenne una sera d’inverno, che tardi [p. 323 modifica]si cena, che il duca poco dapoi l’avemaria era intrato in casa del consigliero e con la donna lungamente si era amorosamente trastullato. Volendo poi partirsi, chè già era l’ora de la cena, discese le scale, e in quello che egli passava per iscontro l’uscio de lo studio, messer lo consigliero uscì de lo studio. Non si poteva nascondere il duca, ma da subito consiglio aiutato, fatto buono viso salutò il dottore. È costume in Milano che la gran porta de la casa, massimamente quella de li grandi gentiluomini, non si ferma la sera se non quando si vuole cenare. Ora messere lo dottore, conosciuto il duca, che con la spada ignuda in mano e la rotella era, disse: – Signor mio, che andate voi a questa ora facendo così solo? – E subito gridò a li servitori che allumassero de li torchi. Il duca in quello li rispose che era venuto a quella estraordinaria ora a parlar seco per cosa di grandissima importanza. Si agitava nel segreto consiglio tra dui de li primi e più riguardevoli gentiluomini di Milano una lite di grandissima importanza, perchè si piativa la rendita tra loro di più di diece millia ducati di oro ogni anno, nè mai si erano potuti amichevolmente accordare, perchè ciascuno di loro pretendeva avere ragioni da vendere. E tuttavia vi si erano intromessi parenti de l’una parte e l’altra e persone religiose di autorità per acquetarli, ma il tutto era stato indarno. Il duca, poi che tutti dui non mediocremente amava, e averebbe voluto vedere una onesta composizione tra quelli, prese occasione da cotesta lite di scusarsi se a così fatta ora attorno se ne andava tutto solo. Presolo adunque per la mano, con quello intrò dentro lo studio; e fatto lasciare in quello uno torchietto acceso, poi che si furono assisi, in questo modo il duca al consigliero disse: – So che voi sapete quanto io desideri che la lite si componga che tra li tali dui patricii miei feudatarii si litiga già molti mesi sono. E perchè io ugualmente l’uno e l’altro amo, mi duole che in cotale litigio si consumino. Pertanto, sapendo io quanta sia la reputazione de la dottrina vostra, e quanto sète abondevole di partiti in ogni cosa, di quale importanza si sia, sono a questa ora qui venuto e pregarvi che per amore mio vogliate usare ogni ingegno e ritrovare alcuno ispediente e valevole mezzo a componere questa lite, e far di modo che non si prononzii la determinata sentenzia. E di questo vi assicuro io che maggior piacere fare non mi potete. Io averei bene mandato uno de li miei camerieri a parlarvi; ma, passando per la contrada per alcuni miei affari, mi è paruto essere più ispediente che io in propria persona facessi questo ufficio. Sì che avete intesa la intenzione mia. – Messere lo consigliero, non pensando più oltre, si [p. 324 modifica]reputò esserli fatto uno segnalato favore, che il duca a tal ora fosse degnato sì domesticamente andargli a casa; e ringraziato quello di tanta umanità, li promise far ogni cosa possibile acciò che conseguisse il suo intento. E così il duca di essere a quella ora trovato in casa, con apparente ragione al suo consigliere, avendo prima a la moglie di lui soddisfatto, a lui anco ottimamente soddisfece. Del che più volte poi, con la donna tenendone proposito insieme, gioiosamente ne risero.


_________


Il Bandello

alla illustre e gentilissima eroina

la signora

Clara Visconti e Pusterla


Venne non è molto da Roma a Milano il dotto messer Marco Antonio Casanuova, per andare a Como a vedere i suoi propinqui; perciocchè, sebbene egli nacque in Roma e fu creato della magnanima casa Colonna, il padre suo nondimeno era cittadino comasco. Egli in Milano fu molto accarezzato da tutti quei che delle buone lettere si dilettavano, per l’arguzia e soavità de' suoi epigrammi. Ma fra gli altri che di continovo li tenne compagnia fu il nostro dotto messer Geronimo Cittadino. Egli uno giorno lo condusse in casa vostra a visitarvi. Voi, che già per chiara fama lo conoscevate, lo raccoglieste con quella singolare umanità con cui siete solita, tutti che a voi vengono, ricevere, ma sovra tutti, i virtuosi e alle muse consacrati. Si ritrovò allora con voi il gentilissimo e di ogni sorta di scienza adornato messer Marco Antonio della Torre, gentiluomo veronese, ma per antica origine disceso dalla nobilissima famiglia de' Torriani, che lungo tempo con gli avi vostri Visconti del principato di questa città e di tutta Lombardia combatterono, seguendo tra loro alcune sanguinose battaglie. Ora, dopo le accoglienze da voi e dal Torre a esso Casanuova fatte, dopo molti ragionamenti fatti si entrò a parlare di una mischia fatta dagli scolari in Pavia contra gli sbirri del podestà; e dalla commessa questione, che il Torre, come seguisse, senza troppi proemi narrò, egli disse una piacevole novella avvenuta in Pavia a uno scolare. Essendo dopo io, secondo il mio consueto, venuto a visitarvi, voi il tutto puntualmente mi diceste,