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si cena, che il duca poco dapoi l’avemaria era intrato in casa del consigliero e con la donna lungamente si era amorosamente trastullato. Volendo poi partirsi, chè già era l’ora de la cena, discese le scale, e in quello che egli passava per iscontro l’uscio de lo studio, messer lo consigliero uscì de lo studio. Non si poteva nascondere il duca, ma da subito consiglio aiutato, fatto buono viso salutò il dottore. È costume in Milano che la gran porta de la casa, massimamente quella de li grandi gentiluomini, non si ferma la sera se non quando si vuole cenare. Ora messere lo dottore, conosciuto il duca, che con la spada ignuda in mano e la rotella era, disse: – Signor mio, che andate voi a questa ora facendo così solo? – E subito gridò a li servitori che allumassero de li torchi. Il duca in quello li rispose che era venuto a quella estraordinaria ora a parlar seco per cosa di grandissima importanza. Si agitava nel segreto consiglio tra dui de li primi e più riguardevoli gentiluomini di Milano una lite di grandissima importanza, perchè si piativa la rendita tra loro di più di diece millia ducati di oro ogni anno, nè mai si erano potuti amichevolmente accordare, perchè ciascuno di loro pretendeva avere ragioni da vendere. E tuttavia vi si erano intromessi parenti de l’una parte e l’altra e persone religiose di autorità per acquetarli, ma il tutto era stato indarno. Il duca, poi che tutti dui non mediocremente amava, e averebbe voluto vedere una onesta composizione tra quelli, prese occasione da cotesta lite di scusarsi se a così fatta ora attorno se ne andava tutto solo. Presolo adunque per la mano, con quello intrò dentro lo studio; e fatto lasciare in quello uno torchietto acceso, poi che si furono assisi, in questo modo il duca al consigliero disse: – So che voi sapete quanto io desideri che la lite si componga che tra li tali dui patricii miei feudatarii si litiga già molti mesi sono. E perchè io ugualmente l’uno e l’altro amo, mi duole che in cotale litigio si consumino. Pertanto, sapendo io quanta sia la reputazione de la dottrina vostra, e quanto sète abondevole di partiti in ogni cosa, di quale importanza si sia, sono a questa ora qui venuto e pregarvi che per amore mio vogliate usare ogni ingegno e ritrovare alcuno ispediente e valevole mezzo a componere questa lite, e far di modo che non si prononzii la determinata sentenzia. E di questo vi assicuro io che maggior piacere fare non mi potete. Io averei bene mandato uno de li miei camerieri a parlarvi; ma, passando per la contrada per alcuni miei affari, mi è paruto essere più ispediente che io in propria persona facessi questo ufficio. Sì che avete intesa la intenzione mia. – Messere lo consigliero, non pensando più oltre, si