Novelle (Bandello, 1853, III)/Parte III/Novella VI

Novella VI - In Parigi un servitore si giace con la padrona; e scopertosi il fatto, gli e tagliato il capo
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[p. 383 modifica]loro non si movesse alquanto ad avergli compassione. Megistona dopoi tutte due insieme fece seppellire. Oh quanto sarebbero state queste due sirocchie di vie più gran lode celebrate, se di così scelerato padre non fossero state figliuole! Ma non deverebbero le macchie paterne in cosa che si sia denigrare le vertuose e buone opere dei loro discendenti.


Il Bandello al magnifico dottor di leggi messer Francesco Taverna


Si suole proverbialmente dire che il consiglio de le donne preso a l’improvviso è salubre e buono, e che ciò che fanno senza pensarvi su si ritruova per l’ordinario ottimamente fatto. E di cotali azioni se ne dànno infiniti esempi. Ma degli uomini dicono avvenire il contrario, con ciò sia che se l’uomo è per negoziare una cosa, che quella negoziazione tanto più sempre riuscirà meglio a debito fine condotta, quanto che più lungamente sarà pensata e sovra quella discorso tutto quello che indi ne può nascere. Ed io certamente porto ferma opinione che tutte l’opere così speculative come pratiche tanto sortiranno più nobile e lodevole effetto, o siano discorse e messe in opera da le donne o dagli uomini, quanto che più volte, prima che si facciano, saranno maturamente crivellate e fattovi sopra i convenevoli discorsi che se gli ricercano. Ci sono poi di quelli che sono di parer contrario, e loro a modo veruno non piace che a l’improviso ed impensatamente sia possibile che si operi cosa buona, dicendo che la natura ci ha dato l’anima razionale con le sue divine e meravigliose potenze, a ciò che possiamo, sovra ciò che far intendiamo, pensatamente e con il lume de la ragione discorrere il bene e il male che da tale operazione potrà pervenire. Onde non consentono che il conseglio de le donne, dato senza i debiti discorsi del pro e del contra, possa esser buono. Dicono anco di più: che assai sovente avverrà che un uomo discorrerà con varii argomenti sopra una cosa, e nondimeno, prendendo talora per fondamento vero alcuna proposizione che in effetto vera non è, inavertentemente nel consegliare, o nel disporsi ad operare, gravemente errerà. Di queste openioni ragionandosi non è molto in una bella compagnia, messer Antonio Sbarroia, mercadante [p. 384 modifica]genovese, volendo mostrare il conseglio de le donne preso a l’improviso non esser per l’ordinario buono, narrò una novella avvenuta a Parigi, secondo che egli diceva, non è molto di tempo. Io, che presente ci era, la scrissi e al vostro nome intitolai in testimonio a la posterità de la nostra cambievole benevoglienza. Vi piacerà, quando talora stracco vi troverete da le frequenti consultazioni de le liti dei clientuli, leggerla e dar giudizio se la donna di cui ne la novella si parla prese buon conseglio o no. Ed a voi mi raccomando. State sano.

In Parigi un servitore si giace con la padrona e, scopertosi il fatto, gli è tagliato il capo.


Giovami credere, signori miei, che a la fine le cose d’alcuna importanza fatte a l’improvviso possano di rado sortir a buon fine, e che sempre non ci nasca qualche intrigo che poi ci apporti o danno o vergogna. E di questo ne veggiamo tutto il dì chiarissimi essempi. Onde mi pare che si debbia imitare la bella sentenza del prencipe degli oratori greci,' 'usurpata dapoi dal nostro istorico romano, la quale è: che prima che noi diamo principio ad una cosa, è necessario consegliarla, e poi che s’è consegliata maturamente, metterla in essecuzione. Il che se tutti facessero, non si commetteriano tanti errori quanti si fanno tutto il dì. Ci è poi questo: che l’operazioni fatte col conseglio, se per caso non le segue il fine che si desidera, sono almeno di minor colpa riprensibili. Che per lo contrario, quando una cosa senza conseglio strabocchevolmente si fa, tutto ’l mondo, non avendo buon fine, la condanna e vitupera. Ora per venire al proposito degli effetti che senza pensarci su talora le donne fanno, e che loro ne succede vergogna e danno, io vi vo’ narrare una pazzia che fece una donna. Vi dico adunque che ne la grande e ricca città di Parigi fu, e forse ancora è, un cittadino dei beni de la fortuna ben dotato, il quale aveva una bellissima moglie. Egli viveva in casa molto splendidamente e teneva di molti servidori e si dilettava forte del giuoco. Tra i servidori ce ne fu uno assai appariscente, il quale, a tutte l’ore veggendo la bellezza de la moglie del suo padrone, se ne invaghì di modo che in breve tempo s’accorse d’aver perduta la sua cara libertà. Pensando poi in qual maniera potesse pervenire al suo desiderato fine, e molte vie e modi minutamente tra sè ravvolgendo, nè gli [p. 385 modifica]parendo di trovar ispediente veruno buono per goder del suo amore, miseramente ne le cocenti fiamme del suo sì fervente amore si consumava. Non ardiva l’impaniato giovine a communicar questa sua acerba passione con persona, e meno era oso di scoprirsi a la sua donna; il che fuor di misura accresceva la sua pena, non la potendo a modo veruno sfogare. E quanto meno sperava, tanto più il desio cresceva. Deliberò adunque la sua donna, in quanto poteva, servire, altra consolazione o conforto non sentendo che pascer gli occhi de l’amata vista. Così attendeva a servirla con quella diligenza e prestezza che sapeva la maggiore. La donna, che lo vedeva sì pronto e assiduo al suo servigio, l’aveva molto più caro che altro servidore che in casa fosse, più oltre perciò non pensando. Onde come voleva servigio alcuno, a lui sempre lo commetteva, trovandosi molto meglio da quello sodisfatta che da nessun altro. Egli, che si accorgeva di cotali favori, mirabilmente se ne contentava. Il marito de la donna, come già v’ho detto, si dilettava molto del giuoco e spesso i suoi compagni teneva seco a mangiare e da loro anco era banchettato, e soleva bene spesso, quando fuor di casa cenava, non ritornare sino dopo mezza notte e talora più tardi assai. La moglie alcuna volta l’attendeva e talora, quando si sentiva sonno, si corcava. Avvenne una sera che il marito fu a cena altrove, come era suo consueto. La donna, poi che ella ebbe cenato, non istette molto che vinta da la gravezza del sonno s’andò a dormire e nel letto si corcò. L’innamorato servitore, che in casa era e la donna aveva a la camera accompagnata, sapendo che il padrone non torneria così tosto, perchè al banchetto ove era ito si recitavano alcune farse, cominciò a pensare sovra il suo fervente amore, e gli parve che se gli offerisse la commodità di poter goder la donna. Sapeva egli in camera di quella non ci esser persona, ed aveva più volte veduto, quando il padrone la notte tornava a casa e trovava la moglie esser a letto, che con minor strepito che fosse possibile, trovata sempre la camera non fermata, entrava dentro e, per non isvegliarla, chetissimamente se le corcava a lato. Su questo pensiero l’innamorato giovine farneticando e mille cose ne l’animo ravvolgendo, a la fine si determinò di non perder questa occasione. Spoliatosi adunque ne l’anticamera, entrò poi in quella de la donna, e, sapendo come era situata, senza romore a lato a la donna, entrando nel letto, si mise e sentì che quella punto non era desta, ma che quetamente dormiva. Stette un pochetto sovra di sè; dapoi fatto bonissimo animo, cominciò a basciarla [p. 386 modifica]amorosamente ed abbracciarla. La donna si destò e, credendo' 'aver il marito appresso, riabbracciava e con mille saporiti baci a la mutola festeggiava il suo amante. Egli, che in uno amplissimo e profondo mare di gioia si trovava, cominciò amorosamente di lei a prender piacere. E trovando molto miglior pastura di quello che imaginato s’era, in poco di tempo cinque volte con la sua donna con gran piacere diede la farina al suo cavallo. E non si sapendo levar da lato a lei, fu cagione di esser, dopo, morto. Poteva egli dopo che buona pezza s’era trastullato, fingendo d’aver alcun bisogno, levarsi e andar via; ma accecato da la grandezza del diletto non si sapeva partire. La donna a cui pareva pur di strano giocare a la mutola tanti giuochi e che in simili abbracciamenti soleva col marito scherzando favoleggiare, o che le paresse che colui che seco era avesse seco fatta più gagliarda giacitura che il marito non era uso di fare, disse a l’amante: – Monsignor mio, che cosa è questa, che voi non dice nulla? Come è stato il banchetto bello? e la farsa come è riuscita bene? Parlate. Sète voi sì tosto divenuto mutolo? – Il giovine non sapeva cosa che dirsi. A la fine, stimolato da la donna, disse chi egli fosse. E volendo narrarle il suo fervente amore, entrò la donna in tanta rabbia e tanto furore che pareva che innanzi agli occhi ella avesse il marito e i figlioli tagliati a pezzi. Vinta da la còlera saltò, gridando, fuor del letto e, mal consegliata, aperse la finestra de la camera che rispondeva suso una strada publica, e cominciò come forsennata quanto più poteva a gridare e chiamar i vicini e far levar quelli di casa. Il giovine, in sì fatto laberinto trovandosi, subito si vestì. Ed avendo di già le serventi de la casa per comandamento de la padrona aperta la porta, entrarono alcuni de la contrada con lumi in casa, e, montando la scala, incontrarono il giovine che a basso discendeva e gli domandarono che romore fosse quello. Egli disse loro che la madonna aveva trovato un ladrone; e disceso a basso, se n’andò errando da mezza notte per Parigi ove i piedi lo menavano. E stracco da la soverchia fatica durata, vicino al palazzo di Parigi si pose a sedere sovra un pancone di quelle botteghe che vicine al palazzo sono, e quivi vinto dal sonno s’addormentò. Erano in casa de la donna entrati molti vicini e le domandavano che cosa avesse. Ella piena di tanta stizza, di còlera e di sdegno che non vedeva lume, miseramente piangendo, lacerandosi la cuffia del capo, sterpandosi i capegli e furiosamente dibattendo le mani, scoperse fuori di proposito a tutti la sua vergogna, a disse loro come il fatto del ribaldo servidore [p. 387 modifica]era successo. Parve a tutti la cosa molto strana, e mentre che attendevano a consolarla sovravenne di lei il marito, il quale, trovata aperta la porta a quell’ora, e sentito il romore che in casa era, forte si meravigliò. Entrato dentro e montata la scala, udì da la pazza moglie cosa che di udire non aspettava già mai. Qual fosse il dolore che egli a così brutto annonzio sentì, pensilo chi moglie aver si trova, se simil vergogna di lei sentisse. Domandò ove il manegoldo fosse ito, e non gli sapendo nessuno dire che camino avesse tenuto se non che era uscito di casa, fece che gli altri servidori ed alcuni dei vicini domestici lo seguirono, e si mise andar per Parigi cercando lo sciagurato servidore. Andando il padrone or qua or là, si abbattè a punto a la bottega ove il misero servidore sul pancone dormiva e, riconosciutolo, lo fece prendere e di buon matino lo presentò a la giustizia, accusandolo com’ispugnatore de l’altrui pudicizia e adultero. Essaminato, secondo che ebbe ardire di far il misfatto che fece, non ebbe animo di negarlo; onde seguì che dal senato fu giudicato che gli fosse mózzo il capo publicamente. Il che fu messo ad essecuzione, di modo che per un poco di carnale diletto perdette la vita, essendogli tagliata la testa. Ora che diremo noi di questa pazza femina? Dico pazza veramente, perciò che volle a l’improviso seguire la volgata openione: che il conseglio de le donne senza pensarvi su sia meglio di quello che su vi si pensa. Se' 'avesse considerato che già il servidore aveva preso di lei amoroso piacere, e che ciò che fatto era non era possibile che non fosse fatto, ella averia taciuto il suo errore e non si saria a tutto Parigi fatta publicare del modo che fece, con periglio che il marito sempre di lei avesse sospetto e sempre per l’avvenire poco conto ne tenesse, dubitando che, una volta avendo provato un altro uomo che lui, non le venisse voglia d’isperimentarne qualche altro, come molte sovente fanno.


Il Bandello al gentilissimo messer Sigismondo Olivo


Chi con dritto pensiero considera l’instabilità de le cose mondane conoscerà di leggero che l’uomo di rado ha piacer alcuno che lungamente duri, e non è dolce alcuno in questa nostra vita ove fortuna avversa non meschi de l’amarezze, che