Novelle (Bandello, 1853, III)/Parte II/Novella LVI

Novella LVI - Infelicissimo amore di due dame reali, e di due giovini cavalieri, che miseramente furono morti
Parte II - Novella LV Parte II - Novella LVII

[p. 325 modifica]commilitoni miei, e voi di fatica e me di fastidio intendo liberare. Per me solamente voglio il reame dal mare a l’Eufrate; di tutto il resto la signoria dono a mio figliuolo Antioco, al quale per moglie ho data la mia Stratonica. A voi deve piacere ciò che a me n’è piacciuto. – E narrato l’amore e l’infermità del figliuolo e la discreta aita del fisico gentile, a la presenza di tutto l’essercito fece sposar Stratonica ad Antioco. Incoronò poi l’uno e l’altra per regi de l’Asia, e con pompa grandissima gli fece far le tanto da Antioco desiate nozze. L’essercito, udendo e vedendo queste cose, sommamente la pietà del padre verso il figliuolo commendò. Antioco poi con la diletta sposa in gioia e in pace continovamente stando, in lunga e grandissima felicità seco visse. Nè fu questi quello che ebbe per le cose d’Egitto guerra con romani, come pare che il nostro divino poeta nel Trionfo d’Amore accenni. Questi solamente ebbe guerra con i gallati che d’Europa erano in Asia passati, i quali cacciò e vinse. Di lui e di Stratonica nacque un altro Antioco; di questo nacque Seleuco, il quale fu padre d’Antioco chiamato «magno». E questi fu che ebbe guerra grandissima con romani, non il suo bisavolo Antioco che la matrigna sposò; il che assai chiaramente vederà chiunque con diligenza le antiche istorie rivolgerà. E ciò che il divino poeta disse si deve intendere come noi siamo detti figliuoli d’Adamo. Così questo Antioco fu figliuolo per dritta successione del nostro Antioco, del quale la novella v’ho narrata. Facendo adunque fine, dico che in dare Seleuco la moglie al figliuolo fece un atto mirabilissimo e degno nel vero d’eterna memoria, e che merita di questo esser molto più lodato che di quante mai vittorie egli avesse dei nemici, chè non è vittoria al mondo maggiore che vincer se stesso e le sue passioni. Nè si deve dubitare che Seleuco non vincesse gli appetiti suoi e se stesso, privandosi de la carissima moglie.


Il Bandello al magnifico ed eccellente dottor di leggi messer Benedetto Tonso


Venni, questo verno prossimamente passato, per commessione di madama Isabella da Este marchesana di Mantova, a Lodi, a parlare a l’illustrissimo ed eccellentissimo signor Francesco [p. 326 modifica]Sforza, duca di Milano, a fine che col mezzo d’esso duca il marchese Federigo di Mantova liberasse di prigione messer Leonello Marchese, che a requisizione de la signora Isabella Boschetta ne la ròcca d’Ostiglia aveva imprigionato. Il duca, conoscendo quanto di grazia e d’autorità voi, per le molte vostre rare doti e singolari, aveste appo il marchese, volle che voi veniste a Mantova e che con l’ingegno e destrezza vostra in nome suo diligentemente procuraste essa liberazione. Ora, venendo noi di compagnia a Mantova, passammo per Gazuolo, ove lo splendidissimo signor Pirro Gonzaga cortesissimamente ci raccolse e ci tenne un giorno, facendone tutte quelle amorevoli dimostrazioni che di suo costume suole agli amici suoi fare. Cenandosi adunque in ròcca ove eravamo alloggiati, avvenne non so come che si parlò de la reina Giovanna seconda di Napoli, sorella di Ladislao re, la quale a’ suoi dì, poco curando la fama e l’onor feminile, fece assai più nozze, e più uomini seco a giacere prese, che non provò Alathtiel figliuola di Meminedab, soldano di Babilonia, secondo che ne le sue piacevolissime novelle descrive il Boccaccio. E dicendosi che era pur gran cosa che alcune donne, massimamente di stato sublime e reale, avessero tenuto così poco conto de l’onestà loro, si raccontarono anco gli adulterii de la prima Giovanna, pure reina di Napoli, e di Buona di Savoia duchessa di Milano, e di molte altre grandi prencipesse. Era quivi messer Gifredo da San Digiero franzese, uomo d’arme, il quale lungo tempo era stato in Italia, venuto al tempo di Carlo ottavo re di Francia quando cacciò del regno di Napoli gli Aragonesi. Egli poi che buona pezza ebbe ascoltato ciò che si diceva senza mai far motto alcuno, ultimamente cominciando a parlare narrò una novella a proposito di ciò che si ragionava; la quale essendo a tutti piaciuta, prima che da Gazuolo partissimo, io così di grosso l’annotai. Avendola poi scritta, quella al nome vostro ho dedicata. Vi piacerà adunque, come tutte le cose mie solete, di leggerla ed accettarla, come mi rendo certo la vostra mercè che farete, a ciò che resti, appo quelli che dopo noi verranno, testimonio de l’amicizia nostra, e restino senza ammirazione quando talora intendono alcuna donna, oltra gli abbracciamenti del marito, averne voluto provar degli altri. State sano. [p. 327 modifica]

Infelicissimo amore di due dame reali e di dui giovini cavalieri che miseramente furono morti.


Egli mi pare, signori miei, che tutti siate pieni di meraviglia che queste reine e nobilissime donne, che ricordate avete, abbiano aperto il petto a le fiamme amorose, essendo in così alto grado poste come erano, quasi che elle non fossero di carne e d’ossa come le donne di bassa condizione sono, e in loro non devesse destarsi il concupiscibile appetito come ne l’altre. Ma se bene considerate, ci parrà certamente che l’ammirazion vostra non meriti titolo di meraviglia, perciò che quanto più la donna è nodrita dilicatamente, quanto più si pasce di cibi nobili e preziosi, e quanto più si dà a l’ozio, a le lascivie, a le delicatezze, e morbidamente dorme, e tutto il dì vive in canti, suoni e balli, e di continovo di cose amorose ragiona ed ascolta volentieri chi ne parla, tanto più sia facile ad irretirsi nei lacci amorosi che non sono quelle il cui stato è basso, e bisogna che pensino al governo de la casa e come ne la strettezza dei beni de la fortuna onoratamente vivano e mettano i figliuoli a l’onore del mondo. Chè in vero, se voi levate l’ozio a le donne, indarno in quelle l’amorose saette s’avventano, perchè, spuntate, non hanno forza accendere in quelle fiamma alcuna; ove per lo contrario le morbide, delicate e gran donne, nodrite di lascivia e d’ozio, in un subito s’accendono e s’invischiano. È ben vero che un solo freno hanno queste donne di stato, che è che, essendo negli occhi de l’universale, il peccato loro è più manifesto e chiaro che de le donne di bassa condizione. Ma questo freno molto di leggero da loro si sfrena e rompe, facendosi elle a credere che nessuno veggia i loro errori o debba esser oso quelli mordere o publicare. Del che elle meravigliosamente restano ingannate, avendo sempre il peccato che si fa maggior enormità e più macchia in sè quanto colui che pecca è di stato più sublime e grande. Ed a questo proposito mi sovviene d’aver letto ne le croniche nostre di Francia di due grandissime donne di stato reale, le quali, rotto il freno de l’onore, precipitarono ne l’abisso de la morte, come ascoltandomi intenderete. Dico adunque che Filippo il Bello re di Francia ebbe tra gli altri tre figliuoli maschi, che tutti l’uno dopo l’altro furono regi, ma nessuno di loro tre ebbe figliuoli maschi; di modo che la corona pervenne poi ne le mani di Filippo di Valois, [p. 328 modifica]di cui il legnaggio oggidì ancora regna. Questi figliuoli di Filippo Bello furono molto mal avventurati ne le mogli loro, perchè due furono provate adultere e punite, e la terza accusata, ma, non si provando l’adulterio, fu assolta. Era il primo dei figliuoli Luigi re di Navarra, sovranominato Utino, il quale ebbe per moglie Margarita figliuola di Roberto di Borgogna. Il secondo, chiamato Filippo il Lungo, fu marito di Giovanna figliuola d’Ottone conte di Borgogna e di Matelda d’Artois, e fu esso Filippo fatto conte di Poiterì e di Tolosa. Il terzo, che si chiamò Carlo, anco egli ebbe il cognome di Bello e fu conte de la Marca a d’Angolesme. A costui fu data per moglie Bianca figliuola del sovradetto Ottone. Ebbe Filippo, padre di questi tre, dura ed aspra guerra con Edovardo re d’Inghilterra, figliuolo di Enrico quarto, e contra Guido conte di Fiandra, e diverse volte vennero a le mani facendo fatto d’arme, ove morirono uomini assai, così de l’una parte come de l’altra, avendo perciò per lo più i fiamengi il peggiore. Durò, mentre che Filippo visse, la guerra, e morendo la lasciò ereditaria a Luigi primogenito e a tutti gli altri suoi figliuoli. Essendo adunque il padre con tre figliuoli in campo, e guerreggiando in un medesimo tempo contra gli inglesi e fiammenghi, che erano insieme collegati a la destruzione de la Francia, avvenne che la reina di Navarra Margarita e Bianca, moglie, come s’è detto, di Carlo, essendo un giorno insieme e lamentandosi de la lontananza dei mariti che erano ne' 'l’oste, dissero che non cercavano già che quelli si stessero con le mani a la cintola, ma che portavano ferma openione che devessero darsi buonissimo tempo e prendersi piacere con ogni donna che loro venisse a le mani. E di questo più e più volte ragionando tra loro, la reina di Navarra, che era alquanto più baldanzosa de la cognata, disse: – Signora cognata e sorella, noi tutto il dì non facciamo che dire de le parole, e i nostri mariti fanno de’ fatti. Io so bene ciò che mi vien detto da chi viene da l’oste. Pensate pure, se bene sono su la guerra, che attendono ai diletti e trastulli, e non mancano loro femine con cui menano vita chiara; e di noi che qui siamo nulla loro sovviene, anzi quando hanno alcuna bella figliuola dicono che noi niente vagliamo a pari di quelle che si godono. Ma io so bene ciò che, per l’anima mia! meritarebbero. Non so mò quello che a voi ne paia, che quando a voi ne paresse ciò che a me ne pare, mi darebbe l’animo che noi faremmo che qual dà l’asino in parete, tal ricevesse. Essi non si curano di noi, e noi deveremmo render loro pane per ischiacciata, e meno curarsi di [p. 329 modifica]ciò che si facciano. Eglino fanno pur tutto quello che gli piace, o ne pigliamo dispiacere o no. E certamente che sarebbe lor fatto il dovere che, poi che essi risparmiano quello di casa, noi con aita d’altrui lo logorassimo. Che ne dite voi, signora cognata? Parv’egli che noi in questa nostra fiorita giovanezza debbiamo esser trattate di questa maniera? – Madama Bianca, udendo così ragionare la reina di Navarra, essendo anco ella desiderosa di giocare a le braccia con un gentiluomo che ella amava, disse: – In buona fè, madama, che voi dite il vero, ed io più e più volte ci ho pensato, ma non ci veggio modo che possiamo far le cose nostre che non si sappiano, avendo tanti occhi a torno. E se mai si risapesse o ne venisse indizio ai nostri mariti, noi saremmo arse. – La reina, sentendo la disposizione di madama Bianca, e per innanzi avendo già pensato ciò che fosse da fare e che modo tener si devesse che il fatto non si scoprisse, lo narrò a la cognata, la quale, trovatolo buono, deliberarono non dar indugio a metterlo ad essecuzione. Erano in corte dui giovini cavalieri, dei quali l’uno era quello che a madama Bianca molto piaceva, che era chiamato Gualtieri di Dannoi, ed aveva un suo compagno e parente che aveva nome Filippo di Dannoi, i quali di continovo praticavano insieme e tutti dui erano assai belli e di costumi e grate maniere ornati. Come la reina intese Gualtieri piacer a la cognata, conoscendolo molto bene, pose l’animo al compagno, e le parve, al modo che pensato aveva, che questi dui verrebbero troppo bene a proposito. Consigliatesi adunque tutte due, cominciarono ogni volta che vedevano i cavalieri, che tutto il giorno gli vedevano, a far loro grate accoglienze e lietissimo viso. Nè guari in lungo andò la bisogna che i dui compagni, che non erano punto melensi, s’accorsero de l’amore de le due dame, e, mostrando di questo esser lietissimi, si sforzavano quanto loro era possibile di fare ogni cosa che loro conoscessero esser a grado. Aveva la reina di Navarra un suo fidatissimo usciero, col quale parlando, lo instrusse a pieno di ciò che voleva che facesse. Egli, desideroso di sodisfare a la sua padrona, trovati i dui cavalieri insieme, gli manifestò l’intenzione de le due dame, e tali diede loro contrasegni che eglino s’assicurarono del fatto; del che reputandosi i più aventurosi uomini del mondo, attendevano ciò che loro le dame comandassero. E perchè ove le parti sono in tutto d’un volere non si dà molto indugio a condurre la cosa al desiderato fine, col mezzo de l’usciero si trovarono i novelli e lieti amanti in una camera, ove tutte due le dame senz’altra compagnia, piene di gioia [p. 330 modifica]ed allegrezza infinita, gli aspettavano. Le accoglienze furono gioiose e piene d’amorevolezze, e da quelle si venne ai baci ed amorosi abbracciamenti ed ultimamente a dar compimento ai loro disii con grandissima contentezza di tutte le parti.' 'Quivi più e più volte giocando amorosamente a le braccia, con tutti quei dolci scherzi che sogliono costumarsi, e toccando di continovo a le dame a restar di sotto, si diedero buona pezza grandissimo piacere. Cercavano esse dame di ristorar il perduto tempo, a cui i giovani fieramente di quelle accesi non mancavano, essendo di duro e forte nerbo. Perseverarono in questi loro felici amori alcuni mesi, ed ogni volta che commodamente potevano si ritrovavano insieme. E così andò la bisogna che mai nessuno se n’avvide, nè sospetto alcuno in corte nacque. Ritornavano talora i mariti loro a casa e vi dimoravano otto o dieci giorni; poi se n’andavano in campo. In quel tempo si guardavano gli innamorati di far cenno o atto nessuno che potesse dar sospetto dei casi loro. Ora la Fortuna invidiosa del bene altrui, e che non suol permettere che alcuno lungo tempo in felicità viva, ma sempre s’ingegna ne l’altrui felicità mischiare disgrazie ed infortunii, e un dolce stato per lo più de le volte con suoi veleni amareggia ed avvelena, fece che del godimento dei quattro innamorati si cominciò non so come in corte a bucinarsi e nascerne alcune parole. Onde d’uno in un altro andando il romore, ed aprendo molti cortegiani gli occhi che prima non vi mettevano fantasia, diligentemente, parte per onor mossi de la casa reale e parte stimolati da maligna invidia, spiando le azioni e movimenti de le donne e dei cavalieri, s’accorsero troppo bene come il fatto stava. Il perchè segretissimamente diedero avviso ai mariti de le dame, minutamente di quanto spiato e veduto avevano rendendogli consapevoli. Di così tristo e vituperoso annunzio i dui fratelli fuor di modo restarono dolenti e pieni di mal talento e fellone animo contra le mogli e i dui cavalieri, veggendosi esser passati senza barca il mare ed acquistato il vituperoso stato di Cornovaglia. E comunicato il tutto col re Filippo loro padre, ed insieme conchiuso ciò che far si devesse, posero gli agguati agli adulteri, di maniera che il primo giorno di maggio mille trecento tredici, ne la badia di Malbusson presso Pontoisa, gli amanti, amorosamente insieme prendendo piacere, furono dal prevosto de la magione del re tutti quattro a man salva presi, e insieme con loro l’usciero col cui mezzo i dui amanti le due dame si godevano. Il romoreggiar di questo fatto per la corte e per tutto fu grande e la meraviglia grandissima. La reina di Navarra e la cognata furono prigioniere, [p. 331 modifica]per comandamento del re, condotte subito a Castello Gagliardo d’Andelì, ove, lungo tempo de la prigionia e dal duro vivere e altri disagi che soffrivano, si morirono in miseria grandissima, e senza onore alcuno di sepoltura furono poveramente interrate. In quel medesimo tempo che l’adulterio de le due dame si scoperse, a ciò che parte nessuna de la casa reale non restasse senza biasimo, fu Giovanna di Borgogna, moglie di Filippo Lungo, anco ella accusata d’adulterio e nel castello Dourdan imprigionata; ma essendo innocente, fu giuridicamente dal parlamento di Parigi assoluta e giudicata donna onesta e d’onore. I dui altri adulteri, Gualtieri e Filippo di Dannoi, formato il processo loro dai signori de la corte del parlamento parigino, avendo senza tormento alcuno l’adulterio confessato, furono per finale sentenzia condannati che publicamente fussero loro i membri genitali tagliati via e le persone loro da capo a piedi scorticate, di modo che tutta la pelle se gli levasse: il che dal manigoldo fu subito publicamente, con grandissimo dolore dei dui giovini, essequito. Furono poi vituperosamente condutti ad una forca e quivi per la gola impiccati. L’usciero medesimamente che agli adulteri teneva mano fu anco egli impiccato. Morta che fu in carcere Margarita, Luigi Utino prese ne le seconde nozze Clemenza, figliuola di Carlo Martello, primogenito di Carlo secondo re di Sicilia. Medesimamente Carlo, morendo Bianca, sposò per sua moglie Maria, figliuola di Giovanni di Lucemborgo, figliuolo d’Enrico imperadore.


Il Bandello a l’illustre signor Enea Pio da Carpi


Sì come tutto il dì veggiamo per prova avvenire che tutti quei fanciulli, che sono dai parenti loro mandati a le scole per imparare grammatica, non riescono tutti buoni grammatici, anzi il più di loro restano ignoranti e a pena sanno talora legger una lettera che loro sia da alcuno amico scritta, e meno sanno riscrivere e sottoscrivere il nome proprio e bisogna che ad altrui facciano scrivere; così anco avviene di quei giovini che a Pavia, a Padova, a Bologna od altrove vanno per farsi filosofi o de la ragione civile o pontificia o di medicina dottori. Chè se tutti, che negli Studii