Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
Sforza, duca di Milano, a fine che col mezzo d’esso duca il marchese Federigo di Mantova liberasse di prigione messer Leonello Marchese, che a requisizione de la signora Isabella Boschetta ne la ròcca d’Ostiglia aveva imprigionato. Il duca, conoscendo quanto di grazia e d’autorità voi, per le molte vostre rare doti e singolari, aveste appo il marchese, volle che voi veniste a Mantova e che con l’ingegno e destrezza vostra in nome suo diligentemente procuraste essa liberazione. Ora, venendo noi di compagnia a Mantova, passammo per Gazuolo, ove lo splendidissimo signor Pirro Gonzaga cortesissimamente ci raccolse e ci tenne un giorno, facendone tutte quelle amorevoli dimostrazioni che di suo costume suole agli amici suoi fare. Cenandosi adunque in ròcca ove eravamo alloggiati, avvenne non so come che si parlò de la reina Giovanna seconda di Napoli, sorella di Ladislao re, la quale a’ suoi dì, poco curando la fama e l’onor feminile, fece assai più nozze, e più uomini seco a giacere prese, che non provò Alathtiel figliuola di Meminedab, soldano di Babilonia, secondo che ne le sue piacevolissime novelle descrive il Boccaccio. E dicendosi che era pur gran cosa che alcune donne, massimamente di stato sublime e reale, avessero tenuto così poco conto de l’onestà loro, si raccontarono anco gli adulterii de la prima Giovanna, pure reina di Napoli, e di Buona di Savoia duchessa di Milano, e di molte altre grandi prencipesse. Era quivi messer Gifredo da San Digiero franzese, uomo d’arme, il quale lungo tempo era stato in Italia, venuto al tempo di Carlo ottavo re di Francia quando cacciò del regno di Napoli gli Aragonesi. Egli poi che buona pezza ebbe ascoltato ciò che si diceva senza mai far motto alcuno, ultimamente cominciando a parlare narrò una novella a proposito di ciò che si ragionava; la quale essendo a tutti piaciuta, prima che da Gazuolo partissimo, io così di grosso l’annotai. Avendola poi scritta, quella al nome vostro ho dedicata. Vi piacerà adunque, come tutte le cose mie solete, di leggerla ed accettarla, come mi rendo certo la vostra mercè che farete, a ciò che resti, appo quelli che dopo noi verranno, testimonio de l’amicizia nostra, e restino senza ammirazione quando talora intendono alcuna donna, oltra gli abbracciamenti del marito, averne voluto provar degli altri. State sano.