Novelle (Bandello, 1853, II)/Parte II/Novella IV
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Quanto s’ingannino tutti quegli uomini che s’innamorano e fanno servitù con quelle donne che per prezzo dànno ogni dì il corpo loro a chi le ricerca, infinite volte s’è veduto, per ciò che in così fatto amore quasi non mai o di rado reciprocazione si truova. Ma il più è che non sofferendo nè potendo amor sofferir compagnia, se ami una di queste ti converrà aver tanti rivali quanti quella goderanno, il che in amore si riputa peggio che morte. E certo ne l’animo mio non può cadere come sia possibile che un gentiluomo possa piegarsi in modo alcuno ad amar donna che egli sappia esser sempre presta di sottomettersi a chiunque le dà danari e, come si fa in Vinegia, pattuirà con dui e tre che ciascun di loro abbia il suo determinato giorno da giacersi seco, parendo a me che qualunque ama qual donna si sia e sappia quella aver di sè fatto copia ad altrui o aver animo di farlo, debbia subito quell’amoroso fuoco ammorzare e lasciarla a colui a cui s’è data o vuol dar in preda. Tuttavia si trovano molti che per amor di queste così fatte donne fanno di molte pazzie; le quali come s’avvedeno che un giovine sia del lor amor tócco sul vivo, fanno le ritrose e mille arti usano per più irretirlo ed invescarlo, e la notte sugli occhi suoi introducono chi più lor piace in camera a giacersi seco, e lui lasciano miseramente dinanzi la porta su la nuda terra languire. Potrei mille altre taccarelle circa queste donne da vettura, – chè così chiamar si ponno, – dire, ma per onor degli uomini mi vergogno a raccontarle. Si ragionava di questa materia ne la ròcca di Castiglione de le Stiviere a la presenza del molto illustre ed ingegnoso signore il signor Aloise marchese di Gonzaga, ove erano uomini molto dotti e nobili, tra i quali messer Emilio degli Emilii, gentiluomo bresciano e persona dottrinata e piacevole, narrò una novella di nuovo a Vinegia accaduta, per la quale egli ci mostrò che il più de le volte con simili donne l’uomo càpita male. Onde avendo io la novella scritta, quella vi mando avendola al nome vostro intitolata, che appo voi sarà pegno del mio, verso voi e tutta casa vostra, amore. State sano.
Venne, non sono ancora dieci anni, a Vinegia un povero compagno candiotto, il quale di sua moglie aveva una bellissima figliuola senza più, che si chiamava Cassandra, la quale era di sedeci in dicesette anni, tanto avvenente ed accorta che dir più non si potrebbe. Il padre non la maritava per non aver il modo; e la madre di lei che era greca e fuggiva volentieri il disagio, cominciò ad ammaestrarla e prestarla a nolo a chi più danari le dava e con le fatiche di quella vivevano assai agiatamente. Ora avvenne che non essendo ancora compìto l’anno che il candiotto era in Vinegia, un frate di san Domenico conventuale che stava fuor de l’ordine, essendo maestro di grammatica dei nepoti del serenissimo prencipe il signor Andrea Griti duce di Vinegia, vide Cassandra, e parendogli la più bella giovane che mai veduta avesse, deliberò far ogni cosa' 'per averla in suo potere. Egli aveva grossa provigione dal duce ed anco onesta entrata del patrimonio, non avendo se non un nipote, figliuolo d’un suo fratello che già era morto; ed egli governava il tutto. Investigato adunque chi fosse il padre de la veduta fanciulla, seco e con la madre di lei lungamente parlò, e conoscendogli poveri promise loro di mantenergli di tutto quello che bisogna, mentre gli dessero la figliola ed avessero cura che gli altri non la potesse godere. Il padre e la madre che forse mille volte avevano venduta la figliuola e con quel guadagno s’erano mantenuti, pattuirono col frate tutto ciò ch’egli volle, e la notte seguente per pulcella gliela posero a lato. Ella seppe sì bene quella notte macinare, e tante carezze fece al nuovo amante, che egli sì fattamente se n’innamorò che senza quella viver non poteva; il perchè ordinariamente seco ogni notte si giaceva. Il padre e la madre che dal frate traevano gran profitto, essortavano la figliuola a fargli carezze e saperlo intertenere. Cassandra lo faceva volentieri, sì perchè il frate le scoteva gagliardamente il pelliccione ed altresì perchè oggi una cosa e dimane un’altra ne cavava. Egli la mise in ordine molto bene di vestimenti e le apparò una camera con spalliere assai belle ed altri ornamenti, e le trovò una fanticella che la serviva. Era il frate grande de la persona e di viso delicato, ed essendo senza fine de la giovane innamorato e quasi mai da lei non partendo, se ne viveva molto allegramente e a la casa non lasciava mancar cosa alcuna. Da l’altra banda Cassandra da ogn’altra pratica distolta, attendeva al suo frate facendogli ogni dì più carezze. Ma la fortuna che di raro può sofferire di lasciar una persona in prosperità, recò nuovo impedimento al piacer de l’amante. Aveva veduto un giovine gentiluomo veneziano un dì Cassandra che era a la finestra, e giudicando quella essere bellissima, fece domandare chi ella fosse, e del tutto certificato, si propose far ogni cosa per acquistar la grazia de la giovane. Onde mandò a chiamar il padre di Cassandra e dettogli di molte buone parole e promessogli di fargli aver certo ufficio che gli darebbe fin che vivesse da vivere, il pregò affettuosissimamente che volesse fare che egli potesse giacersi con la figliuola, e che le provederia assai più largamente che non faceva il frate. Parlò anco con la madre, e tanto disse e tante proferte fece che ella promise far ogni cosa a ciò che la figliuola lasciasse il frate. Devete sapere che in Vinegia i gentiluomini son senza fine rispettati, ed un popolare quantunque sia ricchissimo, a paro d’un gentiluomo non è da metter in conto alcuno, perciò che il corpo de la Signoria non si fa se non di gentiluomini, e tutti gli ufficii così di Terraferma come de l’isola si dànno ordinariamente a loro; i quali quando vanno fuori per pretori, capitani, camerlenghi, castellani, proveditori o per altro magistrato, conducono seco qualche povero compagno e se lo faranno far contestabile di qualche porta de la città, provigionato in castello e simili ufficetti. Il candiotto sperando d’aver in vita una di queste provigioni, cominciò, – ed altro tanto fece la madre, – a persuader a la figliuola che volesse con qualche bel modo distorsi da la pratica del frate, perciò che v’era un gentiluomo di Vinegia, giovine e molto ricco, che le voleva tutto il suo bene. Cassandra che gran desiderio aveva di cangiar pasto, rispose loro che farebbe tutto ciò che volessero. La fante che sentì questa pratica, per meglio a la giornata intender come il fatto anderebbe, mostrò anch’ella di dire che era ben fatto e che dal frate poco più si poteva sperare; di modo che da lei in conto alcuno non si guardavano. Ella il tutto al frate, che in quei dì era alquanto infermo, disse; il che egli intendendo, la ringraziò pur assai, ed empitele le mani di moneta, la pregò a star avvista e che non perderebbe le sue fatiche avvisandolo del tutto. Il male del frate, che non usciva di casa, fu cagione che il gentiluomo alcune notti si giacque con Cassandra, ed anco v’andò di giorno parecchie volte, ed altro da lei' 'non ricercava se non che per l’avvenire ella desse licenza al frate. Ella promise di trovar occasione di far questo. Ora essendo frate Francesco, – chè così egli aveva nome, – sanato del suo male, di primo volo uscendo di casa andò a trovar Cassandra, ed ancor che sapesse tutto ciò che ella fatto aveva, non ne fece dimostrazione alcuna e seco amorosamente una volta prendendo piacere, a casa poi se ne ritornò. Il veneziano che ciò seppe, entrò in gelosia che il frate, avendo ripresa la possessione dei suoi beni antichi, non perseverasse in mantenerla come prima; onde deliberò, consigliatosi con un suo compagno, d’ammazzar esso frate e levarsi questo sospetto dinanzi agli occhi. E per meglio coglierlo a la rete, aprì il suo concetto a Cassandra, volendo che ella il tenesse seco una notte, e quando dormiva ammazzarlo. Cassandra disse di farlo, ma che egli bene avvertisse che il frate chiavava le porte e teneva le chiavi sotto il capezzale. – Per questo non si resterà, – disse il veneziano, – io verrò per la finestra de la camera che risponde verso la via, la quale tu non fermerai. – La fante intese il tutto e n’avvisò fra Francesco, il quale sentendo che Cassandra consentiva a la morte di lui, rivoltò il fervente amore in crudel odio e deliberò prenderne fiera vendetta. Provisto adunque a le cose sue e di suo nipote, andò a trovar Cassandra e le disse come la seguente notte voleva seco giacersi; di che ella si mostrò contenta ed al veneziano lo fe’ sapere, avvisandolo che venisse di due ore innanzi dì, perchè in quell’ora il frate soleva dormire. Andò fra Francesco armato con uno spiedo, e fattosi menar da una gondola per canale, entrò in casa tra le quattro e cinque ore di notte. Egli con la Cassandra prese quel piacere che volle, avendo sempre l’occhio a la finestra. Come gli parve che fosse l’ora che il veneziano devesse venire, egli si levò ed armossi. Cassandra sentendo questo, gli disse: – Oimè, perchè volete voi ora partirvi? voi non ci avete dormito già è più di un mese, e volete andarvene? Io veggio bene che non mi amate. – Sta cheta, – disse il frate, – e non parlare se non vuoi ch’io ti rompa il capo. Dormi e non mi dar noia. – Ella che ancora dormito non aveva e che sentì che fra Francesco così armato si corcò, vinta dal sonno e stracca dal macinare s’addormentò. Come il frate la sentì dormire, chetamente si levò e preso lo spiedo si mise a rimpetto del balcone. Venne il veneziano col compagno ed una scala, e giunti a la casa, l’amante salì a la finestra quanto più puotè senza far strepito. Stette un poco fermo al balcone a spiare se niente sentiva, e nulla sentendo, fece dopo sè su la scala salir il compagno e soavemente aprì la finestra. Fra Francesco che stava in guisa di gatta che al buco se ne stia per gremir il topo, come vide il balcone aperto e già il giovine su quello, con due mani gagliardissimamente gli tirò un colpo di spiedo e colselo diritto ne la gola sotto il mento e passollo di banda in banda dietro ne la coppa. Cadette il misero giovine morto sovra il compagno e quello seco a terra fe’ cadere, che si ruppe sovra il mattonato de la callisella una coscia. Fra Francesco sentito i nemici esser a terra rovinati, al letto s’accostò ove ancora Cassandra dormiva, e con un rasoio che recato aveva, le tagliò via il naso, e poi le fece un lavoro a la moresca col rasoio sul volto, e lei gridante mercè mezza morta e difformata lasciò. Uscito poi di camera, di casa si partì, e quella notte medesima di Vinegia, lasciando i nemici suoi chi morto ed altri peggio che morti. E questi, signori miei, sono dei guadagni che si fanno amando simili donne. E questa povera Cassandra per le ricevute ferite in tre giorni se ne morì.
Essendosi questa state, per fuggir gli intensi caldi che in Mantova a sì fatta stagione per lo stagnar de l’acque si sentono, la gloriosa eroina nostra commune padrona, la signora Isabella da Este marchesa di Mantova, ritratta ne la ròcca de la Cavriana ove suole la state esser la stanza fredda non che fresca, ed ivi diportandosi come è suo costume, ora leggendo, ora disputando, ora sentendo dolcissimi musici cantar e sonare, ed ora altri piacevoli ed onesti giuochi facendo, il nobilissimo ed in ogni sorte di lettere dottissimo, il nostro messer Paris Ceresaro un giorno vi si ritrovò, ed a la presenza di tutti narrò un pietoso e fiero caso a Roma avvenuto in quei dì; il quale da voi udito, fu cagione che voi componeste e gentilmente ventilaste molte belle questioni amorose e in un libretto in prosa volgare riduceste. Il caso a Roma occorso ho io puntualmente scritto, avendolo due e tre volte dal detto messer Paris sentito narrare. Pensando poi a cui dar lo devessi, voi mi sète occorso a cui meritevolmente si deve, essendo egli stato cagione di farvi sì