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soavemente aprì la finestra. Fra Francesco che stava in guisa di gatta che al buco se ne stia per gremir il topo, come vide il balcone aperto e già il giovine su quello, con due mani gagliardissimamente gli tirò un colpo di spiedo e colselo diritto ne la gola sotto il mento e passollo di banda in banda dietro ne la coppa. Cadette il misero giovine morto sovra il compagno e quello seco a terra fe’ cadere, che si ruppe sovra il mattonato de la callisella una coscia. Fra Francesco sentito i nemici esser a terra rovinati, al letto s’accostò ove ancora Cassandra dormiva, e con un rasoio che recato aveva, le tagliò via il naso, e poi le fece un lavoro a la moresca col rasoio sul volto, e lei gridante mercè mezza morta e difformata lasciò. Uscito poi di camera, di casa si partì, e quella notte medesima di Vinegia, lasciando i nemici suoi chi morto ed altri peggio che morti. E questi, signori miei, sono dei guadagni che si fanno amando simili donne. E questa povera Cassandra per le ricevute ferite in tre giorni se ne morì.
Essendosi questa state, per fuggir gli intensi caldi che in Mantova a sì fatta stagione per lo stagnar de l’acque si sentono, la gloriosa eroina nostra commune padrona, la signora Isabella da Este marchesa di Mantova, ritratta ne la ròcca de la Cavriana ove suole la state esser la stanza fredda non che fresca, ed ivi diportandosi come è suo costume, ora leggendo, ora disputando, ora sentendo dolcissimi musici cantar e sonare, ed ora altri piacevoli ed onesti giuochi facendo, il nobilissimo ed in ogni sorte di lettere dottissimo, il nostro messer Paris Ceresaro un giorno vi si ritrovò, ed a la presenza di tutti narrò un pietoso e fiero caso a Roma avvenuto in quei dì; il quale da voi udito, fu cagione che voi componeste e gentilmente ventilaste molte belle questioni amorose e in un libretto in prosa volgare riduceste. Il caso a Roma occorso ho io puntualmente scritto, avendolo due e tre volte dal detto messer Paris sentito narrare. Pensando poi a cui dar lo devessi, voi mi sète occorso a cui meritevolmente si deve, essendo egli stato cagione di farvi sì