Novelle (Bandello, 1853, II)/Parte I/Novella LVII

Novella LVII - Una cortesia usata da Mansor re e pontefice maomettano di Marocco ad un povero pescatore suo soggetto
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[p. 173 modifica]possa prevalermi. E basciandovi le dilicatissime mani, ne la buona grazia del valoroso vostro consorte, il signor Rodolfo Gonzaga marchese, e vostra, inchinevolmente mi raccomando. State sana.


NOVELLA XLVII
Una cortesia usata da Mansor re e pontefice maomettano di Marocco ad un povero pescatore suo soggetto.


Non accade, signori miei, usar meco queste preghiere con tanta cortesia ed umanità a ciò che io alcuna cosa notabile di quelle che in Affrica ho vedute vi narri, oltra quelle che già da me udite avete, chè cose pur assai d’essi affricani e dei costumi loro e de la varietà de le lor religioni v’ho dette. Essendo adunque io prontissimo di farvi cosa grata, vi dico che quando io era fanciullo, non passando ancora quindeci anni, mi partii da Genova mia nobile e famosa patria ed in compagnia di messer Niccolò Cattanio gran mercadante navigai in Barbaria, e seco arrivai nel regno e città d’Orano posta sul mare Mediterraneo, ove praticano assai i nostri genovesi e v’è una contrada nomata da tutti la «loggia dei genovesi». Era il Cattanio in grandissimo credito in quella città e molto accetto al re di quella, ed aveva molti privilegii ed immunità ottenute da lui, il perchè mercadantava e maneggiava gli affari suoi con grandissimi avantaggi. Quivi io molti anni dimorai ed appresi benissimo la lingua loro e medesimamente i lor costumi, onde insieme con alcuni mercadanti oranesi, uomini affabili ed umani, essendo a quelli per mezzo del Cattanio raccomandato dal re, mi disposi andar negoziando per l’altre provincie de l’Affrica. E passai per diversi paesi e vidi molte grandi cittadi assai popolose e civili, in molte de le quali ci sono collegii per scolari ove sono i lor lettori di varie scienze che dal commune sono salariati. Ci sono ancora diversi spedali dove i poveri che vanno mendicando sono con una gran carità ricevuti e provisti del vivere, estimando essi acquistar grazia infinita appo Dio de le elemosine che fanno. Io veramente assai fiate ho ritrovato più carità e cortesia in molti di loro che talora non ho fatto tra i nostri cristiani. Fui in una gran città, edificata, per quanto mi dissero alcuni cittadini di quella, al tempo del re Mansor che anco era pontefice di Marocco. Essi mi mostrarono una lor cronica, perchè son molto diligenti in scrivere e tener memoria di tutte le [p. 174 modifica]cose che a la giornata accadeno, ed usano i caratteri arabici dei quali io assai ho notizia, perchè nel principio che fui in Affrica mi diedi agli studii di quella lingua. Narrano adunque le croniche loro che il re Mansor si dilettava molto de la caccia; onde essendo un giorno fuor per quelle contrade, levossi un oscuro e turbulentissimo temporale con una guazzosa pioggia e soffiamenti d’impetuosi e fierissimi venti, di tal maniera che cercando i cortegiani di salvarsi al coperto, il re Mansor si smarrì e perse la compagnia, ed errando in qua e in là nè sapendo ove s’andasse, fu sovragiunto da una oscura e tempestosa notte, convenendogli in tutto alloggiare a la campagna. Del che molto si trovò di mala voglia, tanto più che non ardiva muover il cavallo, perchè dubitava per l’oscurità de la notte non s’affogare in alcuna di quelle paludi che colà d’intorno stagnavano. Il perchè afermatosi ed aguzzando gli occhi e stendendo gli orecchi per spiare se vedeva o sentiva persona, vide assai vicino un lume che da una finestrella dava splendore; onde pensando, come era, che vi fosse alcuna abitazione, diede una gran voce chiamando chi colà dentro fosse. Abitava in quella povera casa un pescatore, il cui costume era, già lungo tempo, in quei paduli pescar anguille de le quali erano quell’acque abondevoli. Egli udita la voce del chiamante re, ancor che nol conoscesse ma stimasse esser alcun viandante che per quei luoghi smarrito si fosse, incontinente uscì di casa e disse: – Chi chiama? – Il re accostatosi lo domandò dicendo: – Buon uomo, mi saperesti tu insegnar la via che mi conducesse ove il nostro re dimora? – L’alloggiamento del re, – rispose il pescatore, – è lontano di qui diece buone miglia. – Adunque ti piaccia, – soggiunse il re, – farmi la guida fin là, chè io ti pagherò molto cortesemente de la tua fatica e te ne resterò con obligo. – Se vi fosse il re Mansor in persona, – disse il buon pescatore, – e mi richiedesse di questo, io non presumerei condurlo a quest’ora a salvamento a la sua stanza, temendo tuttavia che egli in queste paludi non pericolasse. – Udendo ciò il re disse: – E che! appartiene a te prenderti cura de la vita del nostro re? che hai tu a far seco? – Oh, – rispose il buon uomo, – il re da me amato è vie più che io non amo me stesso. – Seguitò alora il re: – Adunque t’ha egli fatto alcun grandissimo beneficio poi che tanto l’ami? Ma io ti veggio così poveramente in arnese e sì ma alloggiato che non so ciò che me ne dica. – Alora gli replicò il pescatore: – Ditemi, gentiluomo, di grazia: qual più ricco bene e maggior beneficio posso io ricever dal mio re in questo mio povero stato, che il bene ed utile de la [p. 175 modifica]giustizia e de la gran bontà ed amorevolezza che egli usa nel governo di questi suoi popoli, e la unione e pace in che gli conserva, e tutti ci diffende da le incursioni degli arabi e da altri che cercassero molestarne e farci danno? Sotto l’ombra e protezione del nostro re, io povero pescatore insieme con mia moglie e mia povera famigliuola mi godo la mia povertà in pace, e attendendo senza paura a la pescagione de l’anguille, e le porto a le propinque ville a vendere e del guadagno me e i miei mantengo; e di notte e di giorno esco de la mia capanna e vi ritorno quando me ne vien voglia, nè fra queste valli e luoghi selvaggi ci è mai stato chi m’abbia offeso; il che riconosco io dal mio re e ogni dì prego Iddio e il suo gran profeta Maomà che conservino esso re. Ma voi, gentiluomo, che tutto sète molle da la passata pioggia, venite, se egli vi piace, a pigliar alloggiamento in questo mio albergo per questa notte, e domatina io vi guiderò ove il re dimora o dove più v’aggradirà d’andare. – Accettò Mansor molto volentieri l’invito, e smontato da cavallo entrò in casa. Fu il cavallo provisto d’orzo e fieno in una capanetta ove il buon pescator teneva un suo asinello. Il re, acceso buon fuoco, attese ad asciugarsi, e la moglie del pescatore acconciò per cena de l’anguille le quali pose innanzi al re. Egli svogliato e non gli piacendo pesce, domandò se ci era carne. Il pescatore disse che aveva una capra che lattava un capretto e che stimava gran ventura di darlo per èsca a tal gentiluomo quale egli gli pareva. E così l’ammazzò e ne fece cucinar quelle parti che il re volle, il quale dopo cena si corcò e prese riposo fino al levar del sole. Venuta l’ora, il re montò a cavallo e con la guida del cortese oste si mise in viaggio. Nè ancora erano fuor dei paduli che trovarono molti de la corte che andavano cercando il re per quei luoghi, gridando e chiamandolo. Tutti, come il videro, si rallegrarono meravigliosamente. Il re alora rivolto al pescatore gli disse che era Mansor e che in breve gli farebbe conoscere che la di lui cortesia non gli saria uscita di mente. Aveva di già il re in quelle campagne fatto edificar alcuni palazzi per la comodità de la caccia, e v’erano anco alcun’altre abitazioni fatte fare da’ suoi cortegiani. Onde deliberato il re di rimeritare il pescatore de la sua cena e de l’albergo, fece in poco di tempo asciugar quei paduli e cinger di mura le case e i palagi di già edificati, dando loro il circuito d’una gran città, e diede di molte immunità a chi v’andava ad abitare; di modo che in breve la città divenne popolosa e di bellissimi edificii piena, e volle il re che si chiamasse [p. 176 modifica]Cesar Elcabir, cioè «il gran palazzo». Ridotta dunque la città in buonissimo essere, di quella ne fece cortese dono al povero pescatore e a’ suoi figliuoli e successori, i quali per lunga successione l’hanno posseduta, accrescendo sempre la bellezza e bontà del luogo. Quando io ci era, la vidi tutta piena d’artegiani e di mercadanti. Aveva molte belle moschee ed un collegio di scolari ed uno spedale. Vi sono molte cisterne, non si possendo cavar buoni pozzi. Gli abitatori di quella sono uomini buoni e liberali e più tosto semplici che altrimenti, e vestono bene ed usano assai tele bambagine. Fuor de la città sono molti giardini con bonissimi frutti, ed ogni lunedì si fa ne la campagna un grossissimo mercato da le terre circonvicine. È lontana da Azella, che noi chiamiamo Arzilla, che ora è in mano dei portogallesi, non più che diciotto miglia. Così adunque si conosce che a tutti si deve usar cortesia ancor che non si conoscano, perchè si fa ufficio d’uomo da bene e a la fine le cortesie sono rimeritate, come nel nostro povero pescatore s’è veduto.


Il Bandello a la molto illustre e vertuosa eroina la signora Ginevra Rangona e Gonzaga


Esser sempre stata la vertù in ogni secolo ed appo tutte le genti d’ogni parte del mondo in grandissima stima, e i vertuosi uomini così ne la dottrina de le lingue come de la filosofia e in ogni altra arte eccellenti esser stati da’ grandissimi prencipi e da le bene institute republiche sempre onorati, tenuti cari, essaltati e largamente premiati, tanto per le memorie che se n’hanno e per quello che tutto il dì si vede è chiaro che di prova alcuna non ha bisogno. Erano in Milano al tempo di Lodovico Sforza Vesconte duca di Milano alcuni gentiluomini nel monastero de le Grazie dei frati di san Domenico, e nel refettorio cheti se ne stavano a contemplar il miracoloso e famosissimo cenacolo di Cristo con i suoi discepoli che alora l’eccellente pittore Leonardo Vinci fiorentino dipingeva; il quale aveva molto caro che ciascuno veggendo le sue pitture, liberamente dicesse sovra quelle il suo parere. Soleva anco spesso, ed io più volte l’ho veduto e considerato, andar la matina a buon’