cuore. Egli godè quivi lungo tempo deila grazia e dei favori di Pirro Gonzaga e di Camilla Bentivoglia, genitori di Lucrezia. Era uomo non solamente dotto ed amico dei letterati e degli uomini più illustri dei suoi tempi, ma anche abile e destro nelle cose politiche e secolari; e perciò di lui si servirono alcuni principi e gran signori nel maneggio d’alcuni affari. Con tale occasione andò ammassando quante dissertazioni e notizie istoriche e letterarie potè mai per gli studi suoi, di molte delle quali si servì per comporre le sue novelle, quando una grave disgrazia interruppe moltissimo i detti studi. Ardeva allora, cioè intorno al 1525, la guerra tra gli Spagnuoli e i Francesi, ed egli, insieme con suo padre, a questi ultimi aderiva. Fatti padroni di Milano gli Spagnuoli, abbruciarono la sua casa paterna, confiscarono i suoi beni, e posero a sacco la camera dove aveva i suoi manoscritti: e intanto egli, mutato abito e abbandonato Milano, fu costretto ad andar qua e là vagando, come profugo, di città in città per salvare la vita. Finalmente ritornato in Milano, e trovate le cose sue letterarie per sì fatto modo andate a male, attediato di tante disgrazie sue e della patria, giudicò forse allora di ritenere quell’abito che gli aveva servito di maschera nella fuga. Si pose in corte di Cesare Fregoso, già generale de’ Veneziani, e di Costanza Rangoni sua moglie, e con essi si ritirò in Francia, appresso i quali dimorò in Bassen, loro castello vicino ad Agen nell’Aquitania, per qualche tempo, retribuendo egli elogi e buoni augurii per le loro generosità. Quivi avendo ricuperata una parte dei suoi manoscritti, mercè d’un amico che dagli Spagnuoli glieli aveva ottenuti, e parte riavutala dagli amici a cui gli aveva prima indirizzati, si diede con tranquillità a porli insieme e a ripulirli. In questo tempo il detto Cesare Fregoso, mentre andava a Venezia ambasciatore del re Francesco I, fu ucciso per ordine del marchese del Vasto, governatore di Milano, a’ 2 di luglio del 1541; onde il Bandello si vide privo del principale suo appoggio. Non andò molto però che il re Enrico II, successore di Francesco I, volendo rimunerare la famiglia del Fregoso, nominò il nostro Matteo al vescovado di Agen, rimasto allora vacante per la morte di Giovanni di Lorena, seguita ai 10 di maggio del 1550, riserbata però la metà della rendita di quel vescovado ad Ettore Fregoso cherico, figliuolo di Cesare: il