Capitolo V

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Capitolo V.

Delle opere di plastica e degli altri lavori fatti in Castelli.



Gl’idoli di terra cotta trovati in vari luoghi della provincia di Teramo, mostrano l’antichità dell’arte plastica appresso di noi. Come prova della buona maniera di modellare usata un dì da’ nostri figuli, conservo una testa a basso rilievo, che dalla qualità della creta si conosce esser lavoro di Castelli: essa sembra l’effigie di un antico filosofo all’aria del volto ed al fregio che ha sulla fronte; col quale gli antichi scultori solevano ornare la testa di Virgilio, e di altri uomini illustri.

Venuti i tempi cristiani, i nostri artefici si posero a lavorare stature di Madonne e di Santi: delle quali varie si veggono tuttora in diverse Chiese così in Castelli, come ne’ paesi vicini. Antiche sono le statue della B. Vergine esistenti in S. Maria a Ronzano e nella Cappella del castello di Pagliara: di antico lavoro era parimenti, e molto accurato, un S. Antonio Abate poco minore del vero, che con grande divozione si venerava nella nostra Chiesa di S. Pietro: la quale cadendo il seppellì sotto le sue rovine.

[p. 42 modifica]Dopo l’utilissimo trovato di Luca della Robbia, i Castellani incominciarono a coprire di smalto le opere di plastica, ad imitazione di quelle dello scultore fiorentino: di cui ebbero agio di ammirare una stupenda opera in una vicina città, alla quale spesso traevano a vendere le loro manifatture1. Il più antico lavoro a stecca delle fabbriche castellane, ch’io abbia visto, è l’arme che sta in su la porta di Castagna, Comune limitrofo a Castelli: essa è ornata di bassi rilievi variamente colorati, ed appiè ha la seguente iscrizione:

federicus sabastiani fieri fecit 1568.

Son opere del seicento alcuni quadretti a rilievo rappresentanti la Vergine col Bambino: ed anche di quel tempo son certe statuette di Angeli di varia grandezza destinati all’ufficio di candellieri.

Nel secolo passato i nostri artisti essendosi rivolti con grande amore allo studio del disegno, le due arti sorelle, la pittura e la scultura si videro egualmente tornare in fiore. Vero è che pochi, anzi pochissimi si diedero alla plastica, perchè loro non apriva largo campo al guadagno: ma quei pochi lasciarono prove sufficienti del loro valore, dappoichè oltre ai bassi rilievi, dei quali ornavano i diversi lavori di maiolica secondo il costume di quel tempo, ci rimangono ancora talune pregiate opere di scultura.

In prima è da ricordare Saverio Grue, che entra [p. 43 modifica]innanzi a tutti per la eccellenza del modellare. Egli essendo assai valente nelle arti del disegno, molte opere scolpì in porcellana con molta finitezza ed eleganza: le quali lavorò mentre dirigeva la R. fabbrica di Napoli. Vorrei che ignoto non mi fosse il nome di un altro artista, di cui abbiamo in Castelli il Cristo morto della grandezza naturale. La difficoltà di siffatta opera non sta solo nello scolpire una statua tutta ignuda: ma nell’esprimere quel tanto difficile misto d’aria, cioè la Divinità congiunta all’umana natura: onde ben diceva il Cellini, che assunto pur troppo difficile è il ritrarre in marmo l’effigie di Gesù crocifisso. Il nostro artefice non si sgomentò di metter mano ad un subbietto trattato da molti, e ci diede un lavoro stimato pregevole dagli intendenti. Semplice e naturale è l’attitudine, in che ha posto a giacere il morto Gesù: la testa è mollemente piegata verso la spalla destra, il volto ha tanta maestà e tale una dolcezza, che lascia intravvedere lo spirito divino che resse quelle membra. Il resto del corpo è alquanto delicato ed asciutto, ed in ciò l’artista con fino accorgimento si è dilungato da quelli, che diedero al Cristo morto forme troppo tondeggianti: il che non sembra naturale al Divin Redentore, che come uomo assai e lungamente patì. È da dolere però che questa bell’opera sia stata un pò guasta da moderne restaurazioni.

Vuolsi inoltre far qui menzione di Candeloro Cappelletti, il quale oltre che fu buon pittore di paese, fu felice eziandio nel lavorare di stecca. Conservasi nella mia famiglia, in memoria di questo artista, la statua di S. Giuseppe, di cui sono di non spregevole lavoro la [p. 44 modifica]testa e le mani. Da ultimo non si dee porre in dimenticanza Raffaele Fuina, il quale quantunque morisse troppo immaturamente, son circa cinquant’anni, pure è ancora vivo il desiderio di lui per la sua valentia nel modellare, come ne fa fede il S. Rocco che lasciò in ricordo alla sua patria.

In questa terra ferace di nobili ingegni non mancano al presente giovinetti, che educati all’arte del disegno, riuscirebbero valenti ne’ lavori di plastica. Ci ha qualcuno che, ignorante affatto delle regole di proporzione, lavora con pochi errori: e, che sommamente importa, sa dare alla creta l’espressione e la vita, in che sta appunto il più gran secreto dell’arte, che non s’impara, ma la natura istessa rivela a pochissimi.

Abbiamo parlato abbastanza della plastica; veniamo ora a toccare degli altri lavoro usciti da queste officine. Negli antichi tempi erano assai lodate le nostre anfore, delle quali talune se ne rinvengono di straordinaria grandezza. Quando s’incominciò ad usare lo smalto, si fecero certe scodelle smaltate e variamente colorate, da servire, come si è detto avanti, per ornamento delle facciate delle Chiese, e dei campanili. Appresso si lavorarono pavimenti di maiolica bellissimi, e ne fanno testimonianza quelli che ancora rimangono; fra’ quali ce ne ha certi composti di pezza di vari forma congiunti insieme con molto artificio. In tempi a noi più vicini i Castellani si resero così obbedienti alla mano la creta, che la condussero a qualunque difficile lavoro. Fecero cornici per quadri, lucerne e candellieri, scatole da tabacco, vasi per farmacie, piatti d’ogni grandezza, [p. 45 modifica]insino a palmi sette e mezzo di circonferenza, tazze, guantiere, sottocoppe, e tanti altri oggetti da tavola. Il museo Pasolini, tra le opere di Castelli, presenta allo sguardo del curioso osservatore sei posate complete di metallo dorato con manico di maiolica verde di bellissimo effetto, col cucchiaio tutto di maiolica2; ma il lavoro che più sorprende, e che merita in questo luogo particolar menzione, si è l’organo di maiolica, Opera del secolo XVIII, del dottor Giulio Cristofari. Venuto a questo medico un così ardito pensiero, si pose egli stesso a lavorar le canne di creta a simiglianza di quelle di piombo: e con tanta maestria le fece, che un artefice di sapere e di mano eccellente meglio non avrebbe potuto. Dopo smaltate e cotte, e ben accordate tra loro, le dispose con regola; ed aggiungendovi la tastiera anche di maiolica, riuscì felicemente a formare l’organo propostosi; il quale non so se parve più maraviglioso per la materia ond’era composto, o per la dolcezza del suono. Sventuratamente quest’opera impareggiabile cadde nella mani di persona, che non conoscendone i pregi, diedela per trastullo ai fanciulletti, che fra pochi dì la distrussero. Ricordo appena che udii suonare quest’organo nella mia fanciullezza; e mi sovviene con dolore che anch’io ebbi parte in quella distruzione; dalla quale non so come rimase salva una canna, che ora conservo come testimonio di questo singolare monumento dell’arte ceramica.

Note

  1. Nella Chiesa di S. Bernandino di Aquila esiste la Risurrezione, lavoro in plastica di Luca della Robbia.
  2. V. Frati — Descrizione del museo Pasolini in Faenza, pag. 33 — Bologna 1852.