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nanzi a tutti per la eccellenza del modellare. Egli essendo assai valente nelle arti del disegno, molte opere scolpì in porcellana con molta finitezza ed eleganza: le quali lavorò mentre dirigeva la R. fabbrica di Napoli. Vorrei che ignoto non mi fosse il nome di un altro artista, di cui abbiamo in Castelli il Cristo morto della grandezza naturale. La difficoltà di siffatta opera non sta solo nello scolpire una statua tutta ignuda: ma nell’esprimere quel tanto difficile misto d’aria, cioè la Divinità congiunta all’umana natura: onde ben diceva il Cellini, che assunto pur troppo difficile è il ritrarre in marmo l’effigie di Gesù crocifisso. Il nostro artefice non si sgomentò di metter mano ad un subbietto trattato da molti, e ci diede un lavoro stimato pregevole dagli intendenti. Semplice e naturale è l’attitudine, in che ha posto a giacere il morto Gesù: la testa è mollemente piegata verso la spalla destra, il volto ha tanta maestà e tale una dolcezza, che lascia intravvedere lo spirito divino che resse quelle membra. Il resto del corpo è alquanto delicato ed asciutto, ed in ciò l’artista con fino accorgimento si è dilungato da quelli, che diedero al Cristo morto forme troppo tondeggianti: il che non sembra naturale al Divin Redentore, che come uomo assai e lungamente patì. É da dolere però che questa bell’opera sia stata un pò guasta da moderne restaurazioni.

Vuolsi inoltre far qui menzione di Candeloro Cappelletti, il quale oltre che fu buon pittore di paese, fu felice eziandio nel lavorare di stecca. Conservasi nella mia famiglia, in memoria di questo artista, la statua di S. Giuseppe, di cui sono di non spregevole lavoro la