Necrologia del Professore Enrico Rodolfo Hertz
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NECROLOGIA
del professore
PISA
dalla tipografia pieraccini
diretta da P. Salvioni
1894.
Estratto dal “ NUOVO CIMENTO „ serie III, fascicolo di gennaio 1894.
Mir weningstens erscheinen die beschviebenen Versuche in hohem Grade geeignet, Zweifel an der Identität von Licht, strahlender Wärme und electrodynamischer Wellenbewegung zu beseitigen.
Hertz, Untersuchungen, p. 196.
Dire di Enrico Hertz, apprezzare la portata della sua opera scientifica pochi giorni dopo che il geniale uomo è sceso nella tomba può sembrare cosa prematura; avviene degli uomini come lui, come delle montagne alte che solo da lungi è possibile abbracciarne l’immensità: il tempo è all’occhio dello spirito quello che lo spazio all’occhio materiale.
Il compito è anche più grave nel caso che ci occupa per ciò che Hertz non si intende, come pensatore, isolato: è l’intera opera di Faraday e di Maxwell che trova per mano d’Hertz il suo compimento, costituendo quasi un gigantesco sillogismo di cui quei primi pongono come le premesse e il terzo deduce la mirabile conclusione.
Ad ogni modo è dato anche a noi suoi contemporanei riandare le sue scoperte ed intenderne l’importanza; di più è un pietoso dovere, per chi ebbe la fortuna di conoscerlo da vicino, ricordare che in lui la bontà dell’uomo non era minore del genio dello scienziato.
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Enrico Rodolfo Hertz nacque in Amburgo il 22 febbraio 1857 di ottima famiglia; il padre, che sopravvive al suo illustre figliuolo, fa presentemente parte del senato, suprema magistratura di quella repubblica. Trascorse Hertz i primi anni nella sua città natale e sostenne allo Johanneum l’esame di maturità; gli studi universitari compì negli anni 1876-80 in Monaco e Berlino, li chiuse laureandosi in quest’ultima università il 15 Marzo 1880. Il futuro grande sperimentatore presentava una tesi di interesse puramente teorico sulle correnti indotte nei conduttori che si muovono in presenza di magneti.
Dall’80 all’83 Hertz si trattenne a Berlino come assistente in quell’istituto di fisica e cominciò la sua carriera accademica a Kiel il 20 Aprile 1888 conseguendo la libera docenza.
Due anni dopo fu chiamato come professore ordinario alla scuola politecnica di Karlsruhe nel Baden e vi rimase dall’aprile 85 fino al principio dell’89: in Karlsruhe eseguì i suoi grandi lavori sulle oscillazioni elettriche.
Finalmente nel Gennaio 89 venne a Bonn, successore di Clausius.
Nei primi mesi dell’anno scorso egli infermò gravemente, la malattia era pericolosissima, un tumore all’orecchio: fu operato con esito felice e appena potè alzarsi di letto andò in Italia per ristabilirsi pienamente; stette qualche tempo in Liguria a Santa Margherita.
Nel semestre d’estate fece regolarmente le sue lezioni, e regolarmente le aveva ripigliate in autunno; pareva in buona salute, quando ai primi di Dicembre, si osservò in laboratorio che il professore discorrendo o lavorando portava spesso la mano dietro l’orecchio sinistro, dove era stato operato, il male si riproduceva.
Si mise a letto verso la metà del mese e per qualche giorno il suo stato parve stazionario, solo andava poco a poco perdendo le forze; a un tratto peggiorò, pare che l’infezione si fosse diffusa a tutta la massa del sangue: il primo giorno di quest’anno verso le quattro spirava.
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Non è il caso di rammentare qui nemmeno di volo i lavori che occuparono Hertz fino all’87, quando cominciò quella splendida rapida serie di pubblicazioni a cui resterà legato il suo nome.
Ad una sola memoria del nostro autore voglio accennare, dell’84, e perchè fece al tempo suo un certo rumore e per l’interesse psicologico che vi è nel riconoscere come già da allora la direzione dei suoi studi fosse rivolta a quella teoria di cui le sue ricerche ulteriori dovevano esser la conferma trionfale.
Una calamita sposta una corrente mobile e reciprocamente una corrente tende a muovere un magnete: se ne può dedurre che due correnti agiranno l’una sull’altra, ma in realtà la conclusione non segue immediatamente dalle premesse, è implicita l’ipotesi che vi sia «una sola specie di forza magnetica»; l’esperienza verifica la conclusione e quindi l’ipotesi da cui essa dipende.
Dalla forza magnetica passiamo all’elettrica; questa può avere un’origine elettrica, ma può anche nascere da una variazione di magnetizzazione (da una corrente di polarizzazione magnetica), le sue proprietà saranno nei due casi le stesse? Hertz studia la questione teoricamente e trattando un esempio opportuno dimostra che la sola teoria di Maxwell prevede «l’unità della forza elettrica».
È in questa nota che egli pubblicò per la prima volta le equazioni del campo elettromagnetico sotto una forma nuova, che impiegò sempre nei suoi lavori teorici, miracolo di eleganza e di simmetria.
Nell’autunno del 1886 in Karlsruhe, disponendo per impiegarle in lezione due spirali di Knochenhauer gli cadde casualmente sott’occhio il fatto delle scintille secondarie (Nebenfunken); era quello, come si esprime egli stesso, il tenue filo da cui doveva dipendere la riuscita della sua intrapresa.
In un primo lavoro egli mostrava come fosse possibile produrre delle oscillazioni elettriche molto più rapide di quelle ottenute prima di lui con la scarica dei condensatori (T = 1,26 centomilionesimi di secondo); faceva vedere come si potessero tali oscillazioni comodamente osservare, descrivere infine i primi fenomeni di risonanza.
Nell’eseguire queste esperienze gli venne fatto di riconoscere l’azione mutua di due scintille, che egli seppe ricondurre ad un’influenza dei raggi ultravioletti, argomento studiato poi accuratamente da altri fisici, in Italia dal prof. Righi.
Intraprese quindi per mezzo di un «risonatore» lo studio del campo prodotto da una corrente oscillante rettilinea; è un caso che egli trattò teoricamente in un lavoro successivo: qui dava una prima prova del fatto che la velocità di propagazione della forza elettrica nell’aria è finita.
Ora la teoria di Maxwell assegna appunto alle forze elettromagnetiche una velocità di propagazione finita, quella della luce, la stessa teoria fa dipendere l’esistenza della forza elettrica nei dielettrici da particolari distribuzioni di elettricità a cui assegna le stesse azioni induttrici delle correnti di condizione. È possibile provare l’esistenza di tali correnti di polarizzazione? Hertz rispose a questa domanda con esperienze semplici e decisive, mostrando come in opportune condizioni l’azione di una massa sottoposta ad induzione è la stessa, sia la sostanza dielettrica o conduttrice.
Provata così l’ipotesi fondamentale della teoria e quindi rinforzata la probabilità di una velocità di propagazione finita, resta a determinare questa velocità. Ciò fece Hertz producendo delle oscillazioni in un filo conduttore, e studiando i fenomeni d’interferenza dovuti alla sovrapposizione delle perturbazioni che si trasmettono lungo il filo a quelle che vanno direttamente attraverso l’aria: la velocità trovata è 280.000 chilometri per secondo, estremamente prossima a quella della luce.
Data la velocità finita e data la durata di vibrazione dei circuiti primarii di Hertz si intravede la possibilità di ottenere delle vere onde nell’aria, analoghe a quelle che costituiscono la luce.
Ancora una volta Hertz seppe mostrare che la teoria aveva preveduto esattamente i fatti. Egli produsse delle onde stazionarie facendo riflettere normalmente le perturbazioni dovute al suo eccitatore da una parete metallica; ne pose in luce i nodi e i ventri trasportando in differenti posizioni un risonatore; dedusse dalle sue osservazioni la lunghezza d’onda (9,6 metri).
Sono esperienze che avevano nell’acustica il loro analogo in alcune vecchie ricerche di Savart, ed hanno trovato recentemente una riproduzione nell’ottica, nel bel lavoro di Otto Wiener «Über stehende Lichlwellen». Le onde elettriche secondo Maxwell sono accompagnate da onde magnetiche; se l’onda è progressiva la forza magnetica è in massimo dove e quando la forza elettrica lo è, se l’onda è stazionaria le due forze si comportano in modo differente: i nodi elettrici sono ventri magnetici e reciprocamente. Hertz pensò di collocare il risonatore in modo che l’azione della forza elettrica fosse nulla, quella della forza magnetica no; trovò che i nodi adesso stavano dove prima aveva osservato i ventri e viceversa.
Le onde usate fin qui erano troppo lunghe perchè fosse possibile tentare con esse le più comuni esperienze dell’ottica; ma la teoria indica il mezzo di ottenere delle onde più brevi: si riducano le dimensioni dell’eccitatore, si riduce la sua durata di vibrazione e quindi l’onda che è prodotta nell’aria; circuiti di dimensioni molecolari darebbero origine ad onde di lunghezza comparabile con quella delle onde visibili. In pratica però non tutte le forme di primario sono appropriate, perchè è facile andare incontro all’inconveniente che lo smorzamento dell’oscillazione cresce enormemente.
Pure ad Hertz riuscì di trovare una forma di primario per la quale è piccolo lo smorzamento e l’onda è di 66 cm.
Con questo apparecchio eseguì le esperienze che son descritte nella memoria «Über Strahlen electrischer Kraff», la conclusione ne è che fra un raggio di forza elettrica quale egli l’ottenne e un raggio di luce polarizzata rettilinea la differenza non è che quantitativa, dovuta alla lunghezza d’onda che per la luce è tanto più piccola.
L’impressione che queste esperienze produssero, il plauso che esse ottennero fu immenso, bisogna per trovare qualche cosa di simile nella storia della scienza, tornare in dietro di 90 anni, ai tempi in cui Volta creava la prima corrente elettrica.
I risultati ottenuti, il loro significato e la loro importanza riassunse Hertz in una comunicazione «Sulle relazioni fra luce ed elettricità» da lui fatta alla società dei medici e naturalisti tedeschi in Heidelberg.
La straordinaria attività nello sperimentare da lui spiegata negli anni 1887-88 non lo distolse dai suoi prediletti studi teorici, ne sono una prova il lavoro pubblicato nel frattempo sulla teoria delle oscillazioni e quelli dedicati ad una nuova esposizione delle idee di Maxwell.
Di questi ultimi è netevole il procedimento, in certo modo inverso a quello del Maxwell; Hertz assume per definizione le equazioni del campo e l’espressione dell’energia, e con opportune convenzioni ne deduce le leggi principali dell’elettricità e dell’ottica.
Di Hertz si pubblicherà in breve un lavoro postumo di cui è facile prevedere l’importanza, risultato dell’attività di questi ultimi anni e forse delle meditazioni di tutta la sua vita: si intitolerà: «Die Prinzipien der Mechanik». Saranno all’incirca venti fogli di stampa, un volume come quello delle Untersuchungen a un dipresso.
Pochi giorni prima di mettersi a letto aveva inviato il manoscritto completo all’editore A. Barth di Lipsia; durante la sua malattia, (sapeva di morire), ebbe frequenti lunghe conferenze col suo assistente attuale dott. F. Lenard, a cui ha lasciato l’incarico di curare la stampa; il libro verrà pubblicato a marzo probabilmente.
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Pochi uomini hanno riunito come Hertz la perfetta conoscenza della teoria all’abilità nello sperimentare, pochi hanno inteso come lui che se il concetto teorico può guidare la ricerca, l’ultima parola deve in ogni caso restare all’esperienza.
Egli stesso in quella sua mirabile ricostruzione della teoria di Maxwell faceva risaltare la necessità di condurre le formole quanto più possibile vicine ai fatti, e dava come principale vantaggio della sua esposizione l’avere introdotto nelle equazioni la forza elettrica invece del potenziale vettore, vale a dire qualche cosa di misurabile, di fisico in luogo di un’astrazione puramente matematica.
Discepolo di Helmholtz gli espresse in più luoghi delle Untersuchungen la sua riconoscenza e intitolò a lui il suo libro, che del lungo studio fatto dall’autore dei lavori dell’Helmholtz offre tante traccie.
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Fu Enrico Hertz di non alta statura, di aspetto gracile, quasi sofferente; avea barba foltissima rossastra e la portava intera, bello il naso, un po’ grande, altissima la fronte.
Parlava rapidissimamente con voce bella ma monotona.
Inclinato per natura allo scherzo la sua conversazione e spesso le sue lezioni erano uno scoppiettio continuo di frizzi.
Chi ha avuto occasione di parlargli o anche solamente di scrivergli sa quanta fosse la bontà e la modestia di quest’uomo; non è meraviglia quindi che dai conoscenti e dai suoi studenti fosse idolatrato.
Sulla sua tomba si è preconizzata l’immortalità all’opera sua, si è parlato degli onori che egli ricevette, delle Accademie che lo elessero socio, dei premi che gli furono conferiti; a me il vecchio meccanico dell’istituto di fisica di Bonn diceva piangendo che non aveva conosciuto un uomo migliore.
A. Garbasso.
Bonn am Rhein, 18 gennaio 1894.