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Non è il caso di rammentare qui nemmeno di volo i lavori che occuparono Hertz fino all’87, quando cominciò quella splendida rapida serie di pubblicazioni a cui resterà legato il suo nome.
Ad una sola memoria del nostro autore voglio accennare, dell’84, e perchè fece al tempo suo un certo rumore e per l’interesse psicologico che vi è nel riconoscere come già da allora la direzione dei suoi studi fosse rivolta a quella teoria di cui le sue ricerche ulteriori dovevano esser la conferma trionfale.
Una calamita sposta una corrente mobile e reciprocamente una corrente tende a muovere un magnete: se ne può dedurre che due correnti agiranno l’una sull’altra, ma in realtà la conclusione non segue immediatamente dalle premesse, è implicita l’ipotesi che vi sia «una sola specie di forza magnetica»; l’esperienza verifica la conclusione e quindi l’ipotesi da cui essa dipende.
Dalla forza magnetica passiamo all’elettrica; questa può avere un’origine elettrica, ma può anche nascere da una variazione di magnetizzazione (da una corrente di polarizzazione magnetica), le sue proprietà saranno nei due casi le stesse? Hertz studia la questione teoricamente e trattando un esempio opportuno dimostra che la sola teoria di Maxwell prevede «l’unità della forza elettrica».
È in questa nota che egli pubblicò per la prima volta le equazioni del campo elettromagnetico sotto una forma nuova, che impiegò sempre nei suoi lavori teorici, miracolo di eleganza e di simmetria.
Nell’autunno del 1886 in Karlsruhe, disponendo per impiegarle in lezione due spirali di Knochenhauer gli cadde casualmente sott’occhio il fatto delle scintille secondarie (Nebenfunken); era quello, come si esprime egli stesso, il tenue filo da cui doveva dipendere la riuscita della sua intrapresa.
In un primo lavoro egli mostrava come fosse possibile produrre delle oscillazioni elettriche molto più rapide di quelle ottenute prima di lui con la scarica dei condensatori (T = 1,26