Naufraghi in porto/Capitolo V

Capitolo V

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V.

Quindici giorni dopo, una domenica mattina, tutti i nostri personaggi si trovavano riuniti alla Messa celebrata dal parroco.

Mancava solo Giovanna, e mancava per due ragioni: perchè la sua sventura le imponeva un certo lutto che la costringeva a non mostrarsi fuori di casa, tranne che per il bisogno di lavorare; e sopratutto perchè era caduta in una specie di atonia che le impediva di muoversi, di uscire, di lavorare, di pregare. Buona [p. 52 modifica]cristiana non era stata mai: solo, prima del dibattimento di Costantino, aveva fatto qualche voto, come quello di recarsi a piedi, scalza, coi capelli sciolti, fino ad una lontana chiesa di montagna; e se Costantino veniva assolto, di trascinarsi sulle ginocchia dal punto dove cominciava a vedersi la chiesa, fino alla chiesa stessa, vale a dire per due chilometri circa.

Adesso non pregava più, non parlava, non mangiava. Anche il bambino le era diventato quasi indifferente, e zia Bachisia doveva nutrirlo con latte e pane masticato per tenerlo su. Qualcuno diceva che Giovanna stava per impazzire, ed infatti, se ella usciva dalla sua atonia, durante la quale stava ore ed ore accoccolata in un canto cogli occhi vitrei fissi nel vuoto, era per dare in escandescenze, strapparsi i capelli, urlare parole insensate. Dopo il suo ultimo colloquio con Costantino, al quale era andata col bambino, non pensava ad altro che alla scena avvenuta, e la raccontava di continuo, con l’accento incosciente dei monomaniaci.

— Egli era là e rideva. Era livido e rideva. Dietro l’inferriata. Malthineddu si attaccò all’inferriata e lui gli strinse le manine. E rideva. Cuore mio! Cuore mio! Non ridere così, che mi fai male, tanto lo so, che il tuo riso è il riso dei morti. E i guardiani stavano lì come arpie. Prima erano buoni, questi guardiani di carne umana, ma dopo, dacchè Costantino è condannato, son diventati cattivi. Cattivi come cani. [p. 53 modifica]Malthinu nel vederli aveva paura e piangeva. E il padre rideva, capite? Il bambino, la creatura innocente, piangeva: capiva che suo padre era condannato e piangeva. Cuore mio! Cuore mio!

Zia Bachisia sbuffava, non ne poteva più.

— In verità mia, tu sembri una creatura di due anni, Giovanna, anima mia. Ha più giudizio tuo figlio di te, sciocca.

E minacciava persino di bastonarla; ma tutto, preghiere, conforti, minaccie, tutto riusciva inutile.

Intanto da Nuoro giunse notizia che in attesa dell’appello Costantino era stato trasferito alle carceri giudiziarie di Cagliari; poi venne una sua lettera breve e triste. Diceva d’aver fatto buon viaggio, ma che a Cagliari si soffocava per il caldo, e che certi insetti rossi ed altri di vario colore lo tormentavano notte e giorno. Mandava un bacio al bambino, pregando Giovanna di allevare Martineddu nel santo timor di Dio. E salutava anche il suo amico Isidoro.

Finita la Messa, zia Bachisia attese che il povero pescatore terminasse di cantare con la sua voce sonora le laudi sacre, per dargli i saluti di Costantino.

Prete Elias rimase inginocchiato sui gradini dell’altare, pregando, col volto pallido estasiato; Isidoro continuava a cantare, ma la gente cominciò ad andarsene.

Davanti a zia Bachisia passò zia Martina col suo passo fiero di cavalla vecchia ma ancora [p. 54 modifica]indomita: passò Brontu col vestito nuovo, coi capelli lucidi di grasso; passò Giacobbe, con un paio di calzoni di tela nuova, rude, non lavata, che puzzavano ancora di bottega.

Isidoro continuava a cantare.

La chiesa finì col restare quasi deserta ed egli cantava ancora: la sua voce sonora risonava fra le bianche pareti polverose, sotto il soffitto di travi e di canne, fra gli altari umili, coperti di rozze tovaglie, adorni di fiori di carta, sui quali guardavano melanconici santi di legno, colorato.

Quando finì di cantare non c’era più nessuno, tranne il sacerdote e un ragazzo che smorzava i lumi, zia Bachisia e un vecchio cieco: quindi dovette ripetere da solo il ritornello delle laudi, poi si alzò e depose il campanello del quale si serviva per segnare le poste del rosario. Zia Bachisia l’aspettava vicino alla porta; uscirono assieme ed ella gli diede i saluti di Costantino, poi gli domandò un favore; di pregare prete Elias perchè si degnasse d’andare a trovar Giovanna e farle una predica onde distoglierla dalla sua disperazione.

Egli promise e zia Bachisia si allontanò; nello stradale fu raggiunta da Giacobbe Dejas.

— Come state? — domandò il servo.

— Ah, Dio mio, stiamo male senza esser malate! E tu come ti trovi coi nuovi padroni?

— Ah, ve l’ho già detto! Son caduto dalla padella nella brace. La vecchia è avara come il diavolo; vorrebbe che mi cascassero le viscere [p. 55 modifica]a furia di lavorare, e mi permette di tornare in paese appena per ascoltar la Messa, ogni quindici giorni.

— E il padrone?

— Ah, il piccolo padrone? È un animale, ecco tutto!

— Cosa dici, Giacobbe?

— Ecco, dico la verità, uccellino di primavera. Egli si arrabbia come un cane per ogni piccola cosa, si ubriaca, ed è bugiardo come il tempo. Ecco, anzi Isidoro Pane vi avrà detto...

Tacque incerto, e zia Bachisia lo fissò coi suoi occhietti verdi, pensando che se egli parlava tanto male del padrone aveva uno scopo.

— Ecco, — egli riprese, — Isidoro Pane vi avrà detto... sì certo, ve lo avrà detto... che Brontu era ubriaco quella sera. Qui, ecco, proprio qui, egli s’è messo a gridare: «Dirai a Giovanna Era che se fa divorzio, io la sposo!». Una bestia! Proprio una bestia! Egli beve l’acquavite a barili.

Di tutto questo zia Bachisia capì soltanto che Brontu aveva detto: «se Giovanna Era fa divorzio la sposo». I suoi occhietti verdi scintillarono. E disse con fierezza:

— E tu, Giacobbe, tu non vorresti?

— Io? Che importa a me, uccellino di primavera? Ma voi dovreste vergognarvi di dire simili cose, zia nibbio, appena dopo due settimane...

— Io non sono un nibbio... — strillò la vecchia, offesa.

E l’altro rise, ma di rabbia. [p. 56 modifica]

— Aspettate almeno che arrivi la sentenza d’appello, e poi divorate Costantino come si divora l’agnello immacolato; divoratelo pure, ma Giovanna sposerà una botte di acquavite e voi, finchè vivrà Martina Dejas, morrete di fame peggio di prima...

— Ah, cocuzzolo pelato... — cominciò a gridare zia Bachisia; ma il servo si allontanò rapidamente, ed ella dovette contentarsi di borbottargli dietro un mondo di vituperi.

Nonchè ella pensasse al modo di far divorziare la figlia, Dio ne liberi, mentre il povero Costantino era ancora sotto appello, chiuso in una fornace ardente, divorato da immondi insetti, no... ma perchè quel vile servo parlava così? che importava a lui del padrone? Piuttosto, forse Giovanna piaceva a quel vecchio corvo pelato... e con questi maliziosi pensieri ella rientrò a casa.

Voleva raccontare ogni cosa a Giovanna, ma per la prima volta, dopo quindici giorni, la vide a lavarsi e pettinarsi i lunghi capelli scarmigliati, che le cadevano in gran quantità, e non osò dirle niente.