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stiana non era stata mai: solo, prima del dibattimento di Costantino, aveva fatto qualche voto, come quello di recarsi a piedi, scalza, coi capelli sciolti, fino ad una lontana chiesa di montagna; e se Costantino veniva assolto, di trascinarsi sulle ginocchia dal punto dove cominciava a vedersi la chiesa, fino alla chiesa stessa, vale a dire per due chilometri circa.

Adesso non pregava più, non parlava, non mangiava. Anche il bambino le era diventato quasi indifferente, e zia Bachisia doveva nutrirlo con latte e pane masticato per tenerlo su. Qualcuno diceva che Giovanna stava per impazzire, ed infatti, se ella usciva dalla sua atonia, durante la quale stava ore ed ore accoccolata in un canto cogli occhi vitrei fissi nel vuoto, era per dare in escandescenze, strapparsi i capelli, urlare parole insensate. Dopo il suo ultimo colloquio con Costantino, al quale era andata col bambino, non pensava ad altro che alla scena avvenuta, e la raccontava di continuo, con l’accento incosciente dei monomaniaci.

— Egli era là e rideva. Era livido e rideva. Dietro l’inferriata. Malthineddu si attaccò all’inferriata e lui gli strinse le manine. E rideva. Cuore mio! Cuore mio! Non ridere così, che mi fai male, tanto lo so, che il tuo riso è il riso dei morti. E i guardiani stavano lì come arpie. Prima erano buoni, questi guardiani di carne umana, ma dopo, dacchè Costantino è condannato, son diventati cattivi. Cattivi come cani.