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a furia di lavorare, e mi permette di tornare in paese appena per ascoltar la Messa, ogni quindici giorni.
— E il padrone?
— Ah, il piccolo padrone? È un animale, ecco tutto!
— Cosa dici, Giacobbe?
— Ecco, dico la verità, uccellino di primavera. Egli si arrabbia come un cane per ogni piccola cosa, si ubriaca, ed è bugiardo come il tempo. Ecco, anzi Isidoro Pane vi avrà detto...
Tacque incerto, e zia Bachisia lo fissò coi suoi occhietti verdi, pensando che se egli parlava tanto male del padrone aveva uno scopo.
— Ecco, — egli riprese, — Isidoro Pane vi avrà detto... sì certo, ve lo avrà detto... che Brontu era ubriaco quella sera. Qui, ecco, proprio qui, egli s’è messo a gridare: «Dirai a Giovanna Era che se fa divorzio, io la sposo!». Una bestia! Proprio una bestia! Egli beve l’acquavite a barili.
Di tutto questo zia Bachisia capì soltanto che Brontu aveva detto: «se Giovanna Era fa divorzio la sposo». I suoi occhietti verdi scintillarono. E disse con fierezza:
— E tu, Giacobbe, tu non vorresti?
— Io? Che importa a me, uccellino di primavera? Ma voi dovreste vergognarvi di dire simili cose, zia nibbio, appena dopo due settimane...
— Io non sono un nibbio... — strillò la vecchia, offesa.
E l’altro rise, ma di rabbia.