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Naja Tripudians 181


fronte bianca, dall’altro gli cadevano inanellati e lucenti sul sopracciglio.

Neri, grandi e tinti erano gli occhi, occhi lunghi e languidi ch’egli teneva quasi sempre abbassati; ma quando d’un tratto alzava le palpebre l’effetto dello sguardo era impressionante.

— E Weisz? Dov’è rimasto? — Chiese Milady.

— Verrà più tardi, — disse il giovane, guardandosi intorno e sfiorando appena collo sguardo le due figurette sedute in fondo alla sala.

— Più tardi? — esclamò Milady, in tono di rammarico.

— Sì, sì. Molto più tardi, — disse il giovane.

Traversò a lunghi passi la sala andando verso il pianoforte dove sedeva Totò. A lui pose una mano — una mano lattea ed ingemmata — sulla spalla; poi, come Totò continuava imperturbato a suonare l’aria di «Mèlisande», il nuovo arrivato aprì la rossa bocca e cantò: cantò, con una voce di soprano delicata e vibrante, prendendo gli acuti con una strana e dolce morbidezza.

Sì, sì; certo era una donna! pensò Myosotis meravigliata. Ma non appena se l’era detto,