Monete del Piemonte inedite o rare - supplemento/Cortemiglia

Cortemiglia

../Cisterna ../Cuneo IncludiIntestazione 22 novembre 2023 75% Da definire

Cisterna Cuneo

[p. 24 modifica]

CORTEMIGLIA.


Quando nell’anno 1852, unitamente a varie altre monete antiche del Piemonte io pubblicava un tirolino di Manfredo del Carretto marchese di Cortemiglia, scriveva che per concessione del comune d’Asti doveva egli aver usato del privilegio della zecca. A ciò credere era allora indotto dall’opinar così un nostro eruditissimo critico qual fu Giulio Cordero di S. Quintino1, che illustrando un denaro imperiale del detto Manfredo, non dubitava di dire che il comune d’Asti, dal quale questi marchesi tenevano in feudo Cortemiglia per averlo ad esso nel 1309 venduto mediante che loro lo reinfeudasse, godendo di quella insigne prerogativa per concessione di Corrado II, non avrebbe operata cosa vietata ed insolita facendone partecipe per ragion di feudo questi suoi principalissimi vassalli. Aggiungasi che, oltre questo specioso ragionamento, già prima avevo veduto che il Gazzera2 pubblicando un grosso tornese ed un imperiale di Oddone padre dell’anzidetto marchese, battuti pare in Cortemiglia e da me comunicatigli, scriveva che a quello era venuta l’idea di istituirvi una zecca dallo scorgere come fosse fiorente quella d’Asti, dal qual comune detta terra teneva in feudo, e che in conseguenza adottò delle sue monete il tipo e la specie.

Avendo però io in seguito attentamente ponderate le opinioni di questi due autori, vidi che punto mi soddisfacevano, e meglio esaminata l’origine delle nostre zecche, non trovando che ne’ tempi di mezzo un comune o signore, il quale avesse avuto per concessione imperiale il diritto della moneta, acquistasse ciò mediante quello di farne partecipe altri, mi convinsi che diverso doveva esser l’origine di tal uso presso questi marchesi.

Per ciò scoprire cominciai dal cercare quando i signori di Cortemiglia battessero moneta, e riconobbi ciò essere stato nel principio del secolo XIV, ed in quanto alle specie coniate vidi le [p. 25 modifica]meno rare essere i denari imperiali. ludi notai come nell’istessa epoca aprirono zecca anche i marchesi di Saluzzo, Incisa e Ponzone, tutti ugualmente pretendenti discendere dal celebre Aleramo, e che quest’epoca coincideva esattamente con quella in cui Teodoro Paleologo, appena preso possesso del marchesato di Monferrato lasciato alla sua madre Violante dal fratello Giovanni ultimo di questi marchesi della stirpe aleramica, ne aperse una propria in Chivasso, sicuro di avere tal diritto per esser figliuolo dell’imperatore greco.

Constando poi dagli storici nostri antichi che i suddetti aleramici, e specialmente il saluzzese per esserne il più potente, subito che lo seppero stabilito nel nuovo stato gli si mostrarono ostili, pretendendo essi tal successione come della stessa stirpe degli antichi monferrini, e vedendo che senza averne l’autorizzazione dall’imperatore tedesco, il solo tra noi da cui in allora si riputava potersi ottenere tal prerogativa, Teodoro moneta propria coniava, dovettero credere che ugualmente loro fosse lecito di godere di quel privilegio, e che così ciò debba esser avvenuto si arguisce dalla grida di Enrico VII del 13103, pella quale fu proibito il corso specialmente degli imperiali battuti in Chivasso, Incisa, Ponzone e Cortemiglìa; e questa specie di moneta è precisamente quella che men raramente si trova uscita in quei pochi anni da tali zecche.

Che questo decreto imperiale abbia avuto effetto, ciò lo prova che non solamente tali officine, ad eccezione di quella di Chivasso come si vedrà, cessarono di lavorare le monete proibitevi, ma vennero totalmente chiuse, non trovandosi indi più segno alcuno della loro esistenza4.

Esposto questo affine di rettificare quanto prima avevo detto [p. 26 modifica]d’erroneo, passo a descrivere una nuova monetuccia di Cortemiglia esistente nel medagliere di S. M., e nella quale nessun nome di marchese leggesi, ma che scorgesi battnta a nome di tutti quelli del Carretto, che sopra tal feudo avevano diritto.

Questo pezzo, il più piccolo certamente che conoscasi nelle nostre serie monetarie, è un obolo, o metà dell’imperiale piccolo coniato nell’epoca stessa dell’intero, e fatto ad imitazione di quelli d’Asti nella disposizione delle lettere (T. IV, N° 35). Ha da una parte attorno al suo piccolo campo MARCHIO e nel centro NES, e dall’altra parte una croce patente con attorno CVRT... LIE. Pesa grani 5 pari a grammi 0.267, e pare alla bontà di denari 1, ossia millesimi 87, in conseguenza ben inferiore agli astigiani.

[p. 26 modifica]

  1. Discorsi sopra argomenti spettanti a monete coniate in Italia ne’ secoli XIV e XVII. Memorie dell’Accademia Reale delle Scienze di Torino. Serie II. Tom. X, pag. 409.
  2. Delle zecche e di alcune rare monete degli antichi marchesi di Ceva, Incisa e Del Carretto. Memorie come sopra. Serie I. Tom. 37, pag. 100.
  3. Monete del Piemonte inedite o rare. Torino 1852, pag.42.
  4. Credo di notare che, riguardo atta zecca d’Incisa, quantunque esista il privilegio par essa concesso a quei marchesi dall’imperatore Carlo IV nel 1364, tuttavia, come meglio dirò a suo luogo, non consta che di esso abbiano usato, e poi le monete che allora sarebbero state coniate nulla avrebbero di comune coi denari imperiali ora menzionali. In quanto ai marchesi di Saluzzo, sebbene nell’anzidetta grida i loro denari non siano nominali, tuttavia, come già dimostrai parlando della secca dei Paleologi, emisero essi pure in tale epoca dei suddetti imperiali, ed indi della loco zecca non trovasi più indizio sino al finir del secolo XV, quando, ad imitazione di altri di quel tempo, una ne aprirono in Carmagnola. Riguardo poi ai marchesi di Ceva, pure creduti aleramici, dalle monete che se ne conoscono pare che prima del 1310 non abbiano battuto, e che sole cominciassero dopo la morte di Nano nel 1324, e deve la loro zecca aver durato incirca una trentina d’anni, come appare da un documento del 1379. (Moriundus, Monumenta Aguensia. Taurini 1789. Tom. II, col. 493).