Monarchia/Libro I/Capitolo VII

Libro I - Capitolo VII

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Dante Alighieri - Monarchia (1312)
Traduzione dal latino di Marsilio Ficino (1468)
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Se al bene essere del mondo la tenporale monarchia è ordinata.

Risummendo quello che da prencipio dicemo, tre cose massimamente si dubitano circha la monarchia tenporale, laquale per comune vocabolo si chiama `inperio’; e di queste cose col prencipio assegnato et hordine dato vogliamo tractare. La prima quistione è questa: se al bene essere del mondo la tenporale monarchia è necessaria. Questo, non ostante alcuna forza di rag[i]one o d’alturità, con potentissimi et validissimi argumenti si può mostrare; el prencipio de’ quali si può asummere nella Politicha d’Aristotile; hove e’ dicie che quando più cose a uno sono hordinate, conviene che una di loro regoli et reggha, et l’altre cose sieno regholate et rette. A questa sentenzia dà fede non solamente l’autorità dello autore, ma etiandio la rag[i]one per c[i]aschedune cose discorente. Considera questo nello huomo, nel quale tutte le forze sue sono alla felicità hordinate, et la forza intellettuale di tutte l’altre è regulatrice et regina: altrimenti non potrebbe alla felicità pervenire. Ancora, nella casa el fine è preparare la famiglia al bene vivere. Huno bisognia che vi sia che reguli et regha, el quale padre di famiglia si chiama; hovero bisognia che in luogho suo sia hun altro, secondo la sententia d’Aristotile: «Hogni chasa è dal più antico governata»; l’uficio del quale, secondo Homero, è dare reghola agli altri et leggie. Di qui è huno proverbio che quasi bestemmiando dicie: «Abbi pari in chasa». Se noi consideriamo un borgho di case, el fine del quale è hun comodo soccorso di cose et di persone, conviene che uno vi sia regolatore degli altri, o preposto ivi da altri, o, con loro consentimento, come più preeminente eletto. Altrimenti non solo a quella mutua sufficientia non si perviene, ma alcuna volta, contendendo molti di soprastare, la vicinanza tutta si perverte. Similemente inn–una ciptà, della quale è fine bene et sufficientemente vivere, bisogna che ·ssia uno reggimento, e questo bisognia non solo nel governo diritto, ma etiandio nel perverso; et se questo non si fa, non solamente non si conseguita el fine della vita, ma etiandio la ciptà non è più quello ch’ell’era. Etiandio el regno partichulare, el fine del quale è tutto huno con quello della ciptà con mag[i]ore fidanza di sua tranquilità, conviene che ·ssia huno re che regha et governi; altrimenti e subditi nonn–aquisterebbono el debito fine et il regnio perirebbe, secondo che ·lla inneffabile Verità dicie: «Hogni regnio in sé medesimo diviso sarà disolato». In questo medesimo modo in tutte le cose che a uno si dirizano si debbe g[i]udicare. E perch’egli è manifesto che tutta la generatione humana è ordinata a uno, come sopra è mostro, bisognia che ·ssia uno che reguli et regha, et costui si debba chiamare ’monarcha’ et ’inperadore’. Così è chiaro che al bene essere del mondo è necessario che la monarchia e lo ’nperio sia.