Monarchia/Libro I/Capitolo IV

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Dante Alighieri - Monarchia (1312)
Traduzione dal latino di Marsilio Ficino (1468)
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Dichiara quale è l’ultimo fine della civiltà.

Abbiàno a dichiarare qual sia della civilità el fine hultimo, et, veduto questo, secondo il Filosopho nella Eticha, sarà più che ’l mezo della hopera adenpiuto. Alla dichiaratione di questo che si cerca, si debba considerare che ·ccome è alcuno fine al quale la natura produce un dito della mano, et altrofine al quale produce tutta la mano, et altro al quale el braccio, et altro al quale tutto lo huomo; così è altro fine al quale ella producie huno huomo, et altro al quale ella hordina la famiglia, altro al quale la vicinanza, altro al quale la ciptà, et altro al quale el regnio, et finalmente huno hultimo fine al quale Iddio eterno coll’arte sua, che è la natura, produce inn–essere la generatione humana. Et questo qui si cercha come prencipio che dirizi tutta questa nostra inquisitione. In prima si vuole intendere che Dio et la natura nulla fanno hotioso, ma ciò che producono inn–essere è a qualche hoperatione hordinato.

Perché nonn–è quella essentia creata l’ultimo fine della intentione del creante in quanto egli è creatore, ma la propia hoperatione della essentia. Di qui nasce che la hoperatione propia non è a ·ffine della essentia, ma la essentia è a ·ffine della propia hoperatione. è adunque alcuna propia hoperatione della humana huniversità, alla quale tutta questa università è in tanta moltitudine hordinata, alla quale hoperatione né uno huomo, né una casa, né una vicinanza, né una ciptà, né uno regnio particulare può pervenire. Qual sia questa hoperatione sarà manifesto se la ultima potenza di tutta la umanità apparirà. Dico adunque che nessuna forza participata da più, diversi inn–ispetie, è di potenza d’alcuna di quelle, inperò che quella sarebbe con più spetie specificata; e questo è inpossibile. Non è adunque l’ultima forza nello huomo l’essere, semplicemente preso, perché così sunto è ancora agli elementi comune; né anche l’essere conpressionato, perché questo ancora nelle cose naturali si truova; né l’essere aprensivo, perché questo è ancora ne’ bruti; ma essere aprensivo per lo intelletto possibile, el quale essere non si conviene ad alcuna cosa o supperiore o inferiore altro che allo huomo. E benché sieno altre essentie che participano intelletto, nientedimeno lo intelletto loro non si dice intelletto possibile come quello dello huomo; perché tali essentie sono certe spetie intellettuali et none altro, e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbonoeterne. Per questo è manifesto che l’ultimo della potentia humana è potentia ho virtù intellettiva. E perché questa potenza per uno huomo o per alcuna particulare congregatione di huomini tutta non può essere inn–atto ridotta, è necessario che sia moltitudine nella humana generatione per la quale tutta la potenza sua in uno atto si riduca; così ancora è necessario che sia nelle cose che ·ss’ingenerano moltitudine, acciò che tutta la potentia della materia prima sotto l’atto senpre sia, altrimenti sarebbe una potentia dall’atto separata, la qual cosa è inpossibile. In questa sententia fu Averois nel comento Della Anima. Certamente la potenza intellectiva della quale io parlo non solo si dirizza alle forme universali et alla spetie, ma etiandio alle particulari per una certa extensione, c[i]oè distendimento; honde si suole dire che ·llo intelletto speculativo per estensione diventa intelletto pratico, el fine del quale è tractare et fare. Tractare, dicho, prudentemente le cose civili, et fare con arte le cose mecchaniche; le quali cose tutte servono a lo huomo contemplante, come a hottimo stato al quale la prima bontà inn–essere produsse la generatione humana. Per questo g[i]à è manifesto quello che nella Politicha d’Aristotile si dicie, che quegli huomini che sopra gli altri hanno vigore d’intelletto sono degli altri per natura signiori.