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d’Italia, furono feriti settemila; vennero prigionieri in poter del vincitore circa ottomila. Mancarono dei francesi tremila uccisi, quattromila feriti, pochi restarono cattivi, perche i più, quando fu vinta improvvisamente la giornata, furono liberati dai compagni.»

Quattro giorni dopo, cioè li 18 giugno, giunse in Ceva l’ordine al comandante austriaco Schmelzem di rimettere la fortezza ai francesi.

All’indomani giunse pure un distaccamento francese, comandato dal capitano Ferrier, incaricato del comando della città e della fortezza.

Presi i necessarii concerti col comandante Schmelzem, si evacuò da questi il forte, e vi entrò la guarnigione francese.

Non tardò molto ad arrivare l’ordine di Napoleone d’ismantellare questa fortezza, che non si potè mai espugnare dalle schiere repubblicane.

S’impiegarono sei mesi nel preparar le mine, ed in pochi giorni vide Ceva a saltar in aria i forti baluardi, le caserme, il palazzo del governatore e quanti edifizii si chiudevano in quella piazza. Non restò in piedi che una torre di forma rotonda, che trovasi a metà della chiesa che guarda mezzanotte vicino alla strada che conduce alla Pedagera.

Le rovine di questo forte formano tuttora un oggetto di curiosità pei forestieri. Oltre la chiesa dell’Addolorata e le sue stanze attigue tutte intagliate nella rupe arenaria, si vedono due ampie e profonde casamatte, che servono di alloggio ad un vignaiuolo e di ricovero al bestiame.

Vi sono ancora i resti delle prigioni di Stato in cui furon confinati illustri personaggi, fra i quali la contessa di S. Sebastiano, moglie di Vittorio Amedeo II, la quale per l’ambizione di diventare regina, aveva sollecitato il re abdicatario suo marito a riprendere la corona, il che fu causa di gravi turbolenze, per le quali Vittorio Amedeo II fu chiuso prigioniero nel castello di Rivoli, e la S. Sebastiano in questo