Memorie di Carlo Goldoni/Parte terza/XXII

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Carlo Goldoni - Memorie (1787)
Traduzione dal francese di Francesco Costero (1888)
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CAPITOLO XXII.

Seguito dei due capitoli precedenti. — Aneddoti riguardanti L’Avaro fastoso.

La persona cui feci vedere prima d’ogni altro la mia composizione quando la credetti in istato di poter comparire al pubblico, fu il signor Préville, a cui appunto avevo destinato la parte del marchese. Gradivo di sapere il suo sentimento riguardo a questo personaggio, e al complesso di questa mia commedia.

A me parve contento dell’uno e dell’altra. Gli feci osservare la difficoltà di sostenere al naturale la parte di cui era per incaricarsi: — Conosco (mi rispose) un così bel carattere in natura. — In conseguenza dell’incoraggiamento di questo attore stimabile, feci fare la lettura della mia commedia all’assemblea del Teatro francese, la quale ebbe viglietti pro e contro; in somma, venne accettata, salvo correzione. Io non era assuefatto a questa sorta di accoglienza; ciò non ostante, dissi a me stesso: non mostriamo orgoglio, nè ostinazione. Indi ripreso sott’occhio il mio scritto, tolgo qualche cosa, ne aggiungo qualche altra, correggo, pulisco, lo rendo migliore; se ne fa una seconda lettura, ella è bene accolta, ella è inclusa nel repertorio fissato per la villeggiatura di Fontainebleau. Doveva appunto esser recitata una delle prime al teatro della corte; ma che! il signore Préville si ammala l’istesso giorno dell’arrivo, ed è obbligato a stare in letto per un mese, nè migliora che verso al fine della villeggiatura; ed ecco L’Avaro fastoso destinato pel giorno antecedente alla partenza del re.

Allora tutti i ministri, tutti i forestieri, tutti gl’impiegati erano già partiti; oltre di ciò i comici erano affaticati, e non avevano gran voglia d’imparare, e meno poi di provare. Conoscendo adunque la condizione critica in cui trovavasi la mia commedia, dimando rispettosamente se fosse stato possibile sospenderne l’esecuzione; ma siccome nel repertorio non ve ne erano altre, mi si fece credere indispensabile il rappresentarla. Vo adunque alla prima recita, e mi metto nel solito posto del teatro, cioè dietro alla tenda. Eravi in platea sì poca gente, che non poteva in alcun modo rilevarsi il buono o cattivo effetto della composizione: in somma, ella terminò senza alcun segno di approvazione nè di [p. 326 modifica] disapprovazione. Torno a casa senza veder persona, tutti erano occupati a fare i loro fagotti, io pure faccio i miei; tutti partono, parto ancor io.

Ebbi tutto il tempo di fare per istrada le mie considerazioni. La freddezza glaciale con cui era stata ascoltata la mia commedia poteva benissimo derivare, sia dalla scarsità degli spettatori, come dal momento in cui fu rappresentata! ma conobbi, che anche qualche attore si era ingannato nell’esecuzione della sua parte. La signora Drouin, attrice eccellente per le parti caricate, rappresentò quella di Araminta da nobile matrona; ma è tutta mia la colpa: si rammenti il lettore quella scena, nella quale la signora Araminta, alla presenza del visconte, compie quel grand’atto di generosità; ebbene, fondandosi su questo, l’attrice si figurò che la sua parte dovesse esser grave e sostenuta. L’onoratezza, la beneficenza e la generosità possono trovarsi in tutti i ceti egualmente. Una donna di mercato che fa una bell’azione, lascia ella per questo di essere una rivendugliola? La signora Araminta ne fa una proporzionata alle sue facoltà, ma non lascia anche essa per questo di essere una madre austera, ed un’amica petulante. La sua parte adunque poteva essere importante per incidenza, e comica poi per carattere. Il signor Bellecour recitò l’Avaro fastoso, quasi all’eroica, sostenendo le scene di fasto a maraviglia, ed essendo impacciatissimo in quelle dell’avarizia. Qui pure la colpa è mia: avrei dovuto assegnare questa parte ad un attore capace di rappresentare i personaggi veramente gravi e le parti caricate. Riguardo al signor Préville non ho per verità nulla a dire poichè la sua parte era di una difficoltà straordinaria, nè aveva avuto tempo di rendersi famigliari tutte quelle espressioni tronche, che esigevano un’infinita destrezza, per far comprendere ciò che l’attore non finiva di pronunziare. Lo sbaglio fu tutto mio: poichè dovevo fare le mie rimostranze, e ricorrere alle mie protezioni, affinchè la mia commedia non fosse rappresentata a Fontainebleau; in somma, recapitolando le inavvertenze da me commesse in tale affare, giunto appena a Parigi scrissi ai comici, e ritirai la mia composizione nell’istante. Gli amici erano impazienti di vedere esposto sul teatro di Parigi L’Avare fastueux, e a loro dispiacque molto la notizia che l’avevo ritirato. Mi rimproveravano, erano meco in collera, mi tormentavano perchè ne permettessi la rappresentazione; e per incoraggirmi, mi dicevano che molte composizioni cadute nella prima rappresentazione, erano poi salite in credito. Non avevan forse torto, ed io di buon animo avrei secondato i loro consigli ed appagati i loro desiderii, ogni qual volta i comici avessero dimostrato una determinata volontà di tornare a recitarla; ma essi ne saranno forse stati scontenti al pari di me. Questa composizione era nata sotto cattiva costellazione; bisognava dunque temerne le sinistre influenze, bisognava condannarla all’oblio, e il mio rigore andò tant’oltre, che arrivai perfino a negarla a parecchie persone, che me la richiedevano per leggere soltanto. Per altro non fu possibile opporsi alla richiesta d’uno dei più gran signori del regno, le cui preghiere sono comandi. Recatomi a fargli omaggio della mia commedia, una rispettabìle signora s’incaricò delle lettura, che adempì con quella grazia e facilità, che a lei erano tanto naturali: ma alla prima entrata del marchese fu stupita della singolarità della parte di cui non era avvisata. Allora il signor *** afferrò l’originale e lesse egli stesso questa scena come tutte le altre riguardanti questo [p. 327 modifica] personaggio, con speditezza, facilità e precisione tali, che si sarebbe preso assolutamente per autore della commedia. Confesso, che non seppi in quel momento por freno nè alla gioia nè alla mia ammirazione. Terminata la lettura, tutti parvero contenti: ma era quello il soggiorno della bontà e della garbatezza, e non potevo incontrarvi che buone grazie.