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capitolo xxiii 327


sonaggio, con speditezza, facilità e precisione tali, che si sarebbe preso assolutamente per autore della commedia. Confesso, che non seppi in quel momento por freno nè alla gioia nè alla mia ammirazione. Terminata la lettura, tutti parvero contenti: ma era quello il soggiorno della bontà e della garbatezza, e non potevo incontrarvi che buone grazie.

CAPITOLO XXIII.

Matrimonio del conte d’Artois fratello del re. — Arrivo a Parigi del cavalier Giovanni Mocenigo, nuovo ambasciatore di Venezia. — Suo felice negoziato per la soppressione del diritto fiscale sulle eredità dei non nazionali. — Mie attenzioni per gl’Italiani. — Nuova edizione del Metastasio. — Incisori italiani che vi si sono resi chiari.

Nel mese di novembre dell’anno 1773 fu celebrato a Versailles il matrimonio del conte d’Artois fratello di Luigi XVI con Maria Teresa di Savoia, figlia del re di Sardegna, e sorella di Madama. Le feste ordinate per tale occasione furono eseguite con la solita pompa e magnificenza. Quanto la stagione fu contraria agli spettacoli campestri del parco, altrettanto riuscirono splendidi gli appartamenti per le diverse sale di ballo e di giuoco, come pure per la quantità di forestieri accorsi da ogni parte per ritrovarsi a queste nozze, e passar l’inverno a Parigi. Circa quel tempo, il cavaliere Giovanni Mocenigo venne in qualità d’ambasciatore di Venezia per subentrare al cavaliere Sebastiano Mocenigo suo fratello, che terminava i suoi quattro anni di ambasceria. Questo nuovo ministro della Repubblica era appunto uno dei miei antichi protettori; avevo infatti ricevuto da lui prove convincenti della sua benevolenza, essendosi compiaciuto di alloggiarmi nella sua propria casa per molto tempo, e con tutta la mia famiglia. Egli inoltre unitamente ai Balbi, Querini, Valier, Berengan e Barbarigo protesse la mia prima edizione di Firenze, facilitandone l’introduzione in Venezia, ad onta della crudele ed ostinata guerra che mi si faceva dai librai. Ma ecco qui una nuova e più significante conferma della sua bontà a mio riguardo. Nell’occorrenza del suo matrimonio con la nipote del doge Loredan, ebbe la degnazione di scrivermi il seguente biglietto: «Il serenissimo doge mi ha permesso d’invitare alle mie nozze alcuni de’ miei amici. Voi siete in questo numero: vi prego dunque d’intervenirci, chè vi sarà la vostra posata». Non mancai. Eravi una tavola di cento persone nella sala chiamata dei Banchetti, e ve n’era un’altra di ventiquattro, alla quale il nipote del doge faceva gli onori della casa. Io era appunto a quest’ultima: al secondo servito lasciammo tutti il nostro posto, e andammo nella gran sala, a fare il giro di quell’immenso convito, fermandoci or dietro gli uni, ordietro gli altri. Io specialmente godetti tutte le gentilezze che si profondevano a un autore che aveva la sorte di piacere.

Il signor cavaliere Giovanni Mecenigo, durante il corso della sua ambasciata, rese alla sua nazione un importante servigio. Trattò con la corte di Francia l’estinzione reciproca del diritto del fisco sui beni ereditari dei non nazionali, e vi riuscì. La notizia di tal successo fu per me di soddisfazione grandissima, e quantunque io non ci avessi molto interesse, non ritrovandomi nulla da lasciare