Memorie di Carlo Goldoni/Parte seconda/XXXIII

XXXIII

../XXXII ../XXXIV IncludiIntestazione 2 dicembre 2019 100% Da definire

Carlo Goldoni - Memorie (1787)
Traduzione dal francese di Francesco Costero (1888)
XXXIII
Parte seconda - XXXII Parte seconda - XXXIV

[p. 235 modifica]

CAPITOLO XXXIII.

Avvertimento sulla data delle mie Commedie. — L’Egoista, commedia di cinque atti in versi. — Qualche parola su questa commedia. — La bella Selvaggia, commedia di cinque atti in versi. — Il Campiello, commedia di cinque atti in versi liberi. — Suo magnifico successo. — La buona Famiglia, commedia di tre atti in prosa. — Suo mediocre incontro.

Continuando a render conto delle mie commedie dell’anno 1755, trovo che L’amante di sè stesso appartiene a quest’epoca; quantunque in una edizione straniera porti la data dell’anno 1747, tempo, nel quale scrivevo per il teatro Sant’Angelo, e tre anni avanti che incominciassi a fare uso del verso nelle mie commedie. In quest’occasione avverto il lettore di non prestar fede alle date delle mie Opere stampate, essendo quasi tutte false. Parlo adunque adesso dell’Egoista. Il conte dell’Isola, protagonista della commedia, apre la scena con il signor Alberto; prendono la cioccolata, insieme, e ciarlando, fanno conoscere il carattere di detto conte.

Questi è un giovane di qualità, che ha ingegno, e che ama tutto quello che il mondo ha di amabile, procurando però di goderne senza verun suo disturbo e senza prender decisa passione a veruna cosa. Agisce infatti nella commedia in conseguenza de’ suoi principii. È alloggiato in casa di un suo amico in campagna, ove sono alcune signore, trattando le quali ora fa la corte a questa, ora a quella; ma per poco che egli vedasi compromesso o inquietato, si ritira da qualunque impegno nel momento istesso. Il conte è unico nella sua famiglia, ed è ricco; si vorrebbe perciò dargli moglie: egli non ha avversione al matrimonio, ma si propone di essere o buon marito, o buon amico; e siccome non sarà molesto alla moglie, così non vuole che la moglie sia tale in alcun modo a lui. Havvi nel castello di Monte Rotondo, ove segue la scena, una signorina di qualità chiamata la donna Bianca, la quale comparisce al conte oggetto degno della sua attenzione, e di qualità personali analoghe alla sua maniera di pensare. Si mescolano in tale affare gli amici sì dell’una come dell’altra parte, e segue il matrimonio. Questa commedia ebbe sufficiente incontro, e le fu dato posto nella seconda classe delle mie commedie. Alcuni giorni dopo feci andare in scena La Bella Selvaggia, commedia il cui argomento è desunto dai viaggi dell’abate Prévot. Gli Spagnuoli fanno la scoperta di [p. 236 modifica] una nuova isola della Guiana nell’America meridionale. Delmiraj figlia di Gannir, e amante di Zadir, cade con gli altri selvaggi in potere degli Europei. Don Zimenes, comandante spagnuolo, getta gli occhi addosso a Deimira, la trova bella, vuole impadronirsene. L’amorosa Selvaggia proferisce la morte alla privazione del suo amante; difende i suoi diritti, ma la forza prevale alla giustizia. Essa dirottamente piange; e le sue belle lacrime giungono finalmente ad intenerire il cuore dello Spagnuolo, che rinunzia alle sue pretensioni in grazia di un amore sì virtuoso. Si vede chiaro, che questa è una commedia romanzesca. Ebbe nulladimeno un maraviglioso incontro; il diletto vi era sostenuto a maraviglia, ed io avea saputo trovar materia comica fin sul fiume delle Amazzoni.

Nelle due commedie delle quali ho parlato, vi era veramente più affetto che divertimento; onde essendo necessario rallegrare il teatro, misi in scena per la fine dell’autunno una commedia sul gusto veneziano in versi liberi, intitolata Il Campiello. Questa è una di quelle commedie dette dai Romani tabenariae, e dai Francesi populaires, ovvero poissardes. Questo Campiello, che è il luogo della scena fissa, è circondato da casuccie abitate da gente del basso popolo: vi si giuoca, vi si balla, vi si fa chiasso, ed ora è il soggiorno del buon umore, ora il teatro delle risse. Viene aperta la scena con una specie di lotto chiamato la venturina, e comparisce nel Campiello, un giovine con un paniere pieno di bei vasi di maiolica, che si fa sentire col suo grido solito ben noto; in udirlo, si affacciano subito sulle porte, alle finestre, ai terrazzini, madri e figlie.

Questo mercantucolo tiene un sacchetto in mano, dal quale fa estrarre a ciascuna delle concorrenti una pallottola per un tenue prezzo; il premio del lotto poi consiste in un vaso di detta maiolica. Le donne adunate per tal motivo non possono evitare di entrare in contrasto, ciascuna vuole esser la prima, ognuna vanta diritti di preferenza. Il pubblico intanto viene in cognizione per mezzo di questo litigio del nome e stato, e dei difetti, caratteri e intrighi di queste vicine rissose e ciarliere. Ogni ragazza ha il suo amante; la gelosia le molesta, la maldicenza le mette in discordia, e l’amore le pone in calma. Questa commedia presenta singolari avventure, molte scene comiche, molta vivezza, e una morale adattata al genere delle persone delle quali si tratta, ed applicabile, alle donne dì qualunque ceto.

Il Campiello piacque moltissimo, e tutto era ricavato dal modo di vivere del basso popolo, con quella verità, che pur troppo conoscevasi da ciascuno; di maniera che i grandi restarono contenti al pari degli inferiori, avendo io già assuefatti i miei spettatori a preferir sempre la semplicità al bello artificioso, e agli sforzi dell’immaginazione, l’ingenua natura. A una commedia così allegra ne feci succedere una piena di morale, il cui titolo era La buona Famiglia, Questa fra le mie commedie può dirsi la più utile per la civile società; infatti fu gustata molto ed applaudita dalle persone di senno, dai buoni economi delle famiglie, dai padri saggi, dalle madri prudenti, ma siccome non è questa la classe degli uomini e delle donne che fanno la fortuna degli spettacoli, così ella ebbe poche rappresentazioni, e fu più spesso recitata nelle case particolari, che su i pubblici teatri. Questa buona Famiglia, di cui parlo, è composta di un padre, di una madre, di due figli, e di un avo; questi individui formano l’insieme il più dolce, il più saggio, il più virtuso: regna fra loro la pace; e la [p. 237 modifica] concordia forma la loro felicità. Vi sono per altro nella casa medesima parenti pericolosi; cioè una moglie pazza ed un marito libertino; i cattivi guastano i buoni: perlocchè costa infinita pena e pazienza al saggio e rispettabil vecchio ricondurre i suoi figli all’abbandonato sentiero della virtù.

Questa commedia è in prosa, non è molto prolissa, ed è da leggersi anche senza difficoltà veruna da un forestiero, per poco che sappia l’italiano. Ma la buona Famiglia che non ebbe gran sorte sulla scena, non l’avrà forse migliore nella lettura; nè io mi cimenterò neppure a darne l’estratto, temendo che non si dica che è un sermone grossolano.