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capitolo xxxiv 237


cordia forma la loro felicità. Vi sono per altro nella casa medesima parenti pericolosi; cioè una moglie pazza ed un marito libertino; i cattivi guastano i buoni: perlocchè costa infinita pena e pazienza al saggio e rispettabil vecchio ricondurre i suoi figli all’abbandonato sentiero della virtù.

Questa commedia è in prosa, non è molto prolissa, ed è da leggersi anche senza difficoltà veruna da un forestiero, per poco che sappia l’italiano. Ma la buona Famiglia che non ebbe gran sorte sulla scena, non l’avrà forse migliore nella lettura; nè io mi cimenterò neppure a darne l’estratto, temendo che non si dica che è un sermone grossolano.

CAPITOLO XXXIV.

Conoscenza della signora di Boccage fatta in Venezia. — Alcune parole sopra questa signora rispettabile, e sopra le sue opere. — La Dalmatina, commedia di cinque atti in versi. — Suo felice successo. — I Rusteghi, commedia veneziana di tre atti in prosa. — Sua analisi e suo incontro.

Nell’anno 1757 ebbi l’onore di far conoscenza in Venezia della signora di Boccage. Questa Saffo parigina, amabile quanto dotta, onorava in quel tempo con la sua presenza la mia patria, e riceveva gli omaggi dovuti al suo raro ingegno ed alla sua modestia. Fui debitore di questa fortuna al nobile veneziano Farsetti, che dando un pranzo all’imitatrice di Milton, non riguardò immeritevole di entrar nel numero dei commensali uno scolare del Molière; e la signora di Boccage medesima fa menzione di questa giornata nella sua decimottava lettera su l’Italia. La dolce ed istruttiva conversazione di questa signora fu per me il preludio della soddisfazione che doveva un giorno apportarmi il soggiorno di Parigi; e la sua presenza m’inspirò ben presto l’idea di un’opera teatrale che riuscì maravigliosamente e che mi fece onore infinito. Avendo letto Le Amazzoni della signora di Boccage, immaginai una commedia dell’istesso genere a un dipresso, con la sola differenza che per soggetto di una tragedia essa aveva scelto l’eroine del Terinodonte, ed io, una sensibile e coraggiosa donna della Dalmazia per soggetto d’una tragi-commedia che intitolai la Dalmatina. I Veneziani fanno il più gran conto dei Dalmatini, che, essendo limitrofi del Turco nel difendere le proprie possessioni, garantiscono nel tempo istesso i diritti dei loro sovrani. La Repubblica estrae da essa il fiore delle sue truppe, ed io tra le donne di quella coraggiosa popolazione, scelsi l’eroina del mio dramma. Zandira accompagnata dal suo genitore s’imbarca sopra un vascello mercantile per andare a trovare Radovich da lei non conoscinto, ma destinatole per isposo. Vengono sbalzati da un impetuoso vento verso le coste dell’Affrica, ove sono assaliti dai barbareschi. Il padre soccombe al peso della sua età ed al complesso delle sventure che egli ha incontrate, mentre la figlia fatta schiava è condotta a Tetuan. Vi si trovava nel loro naviglio un giovine greco chiamato Lisauro, e riguardato da Zandira con molta amicizia. Essa avendo perduto la speranza di esser moglie di chi avrebbe dovuto possederla, nè avendo mai veduto il soggetto per cui era destinata, credè di poter cedere alle premurose insinuazioni del giovine greco, che avvertito dell’avversione nazionale dei Dalma-