Memorie di Carlo Goldoni/Parte seconda/XXXIV
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CAPITOLO XXXIV.
Nell’anno 1757 ebbi l’onore di far conoscenza in Venezia della signora di Boccage. Questa Saffo parigina, amabile quanto dotta, onorava in quel tempo con la sua presenza la mia patria, e riceveva gli omaggi dovuti al suo raro ingegno ed alla sua modestia. Fui debitore di questa fortuna al nobile veneziano Farsetti, che dando un pranzo all’imitatrice di Milton, non riguardò immeritevole di entrar nel numero dei commensali uno scolare del Molière; e la signora di Boccage medesima fa menzione di questa giornata nella sua decimottava lettera su l’Italia. La dolce ed istruttiva conversazione di questa signora fu per me il preludio della soddisfazione che doveva un giorno apportarmi il soggiorno di Parigi; e la sua presenza m’inspirò ben presto l’idea di un’opera teatrale che riuscì maravigliosamente e che mi fece onore infinito. Avendo letto Le Amazzoni della signora di Boccage, immaginai una commedia dell’istesso genere a un dipresso, con la sola differenza che per soggetto di una tragedia essa aveva scelto l’eroine del Terinodonte, ed io, una sensibile e coraggiosa donna della Dalmazia per soggetto d’una tragi-commedia che intitolai la Dalmatina. I Veneziani fanno il più gran conto dei Dalmatini, che, essendo limitrofi del Turco nel difendere le proprie possessioni, garantiscono nel tempo istesso i diritti dei loro sovrani. La Repubblica estrae da essa il fiore delle sue truppe, ed io tra le donne di quella coraggiosa popolazione, scelsi l’eroina del mio dramma. Zandira accompagnata dal suo genitore s’imbarca sopra un vascello mercantile per andare a trovare Radovich da lei non conoscinto, ma destinatole per isposo. Vengono sbalzati da un impetuoso vento verso le coste dell’Affrica, ove sono assaliti dai barbareschi. Il padre soccombe al peso della sua età ed al complesso delle sventure che egli ha incontrate, mentre la figlia fatta schiava è condotta a Tetuan. Vi si trovava nel loro naviglio un giovine greco chiamato Lisauro, e riguardato da Zandira con molta amicizia. Essa avendo perduto la speranza di esser moglie di chi avrebbe dovuto possederla, nè avendo mai veduto il soggetto per cui era destinata, credè di poter cedere alle premurose insinuazioni del giovine greco, che avvertito dell’avversione nazionale dei Dalmatini per i Greci si era spacciato per cittadino di Spalatro, capitale della Dalmazia veneta. Informato Radovich della schiavitù della sua bella, si porta a Tetuan per riscattarla; Zandira senza conoscere il suo liberatore protesta recisamente che non escirà mai di schiavitù se Lisauro pure non resta nel tempo medesimo e insieme con lei liberato. Il Dalmatino frattanto vede la sua bella, la trova di suo gusto, ne resta incantato e le perdona un affetto ch’egli suppone innocente verso un disgraziato della sua nazione; quindi acconsente di procurare il riscatto di lui. Il Greco è un perfido che aveva già ingannato di fresco una sua compatriotta, ed ora volea abusare della buona fede della nuova amante e della generosità del suo benefattore. Hibraim, governatore di Tetuan, riceve il prezzo convenuto, e dà libertà agli schiavi; ma Alì, quell’istesso corsaro barbaresco, di cui Zandira era divenuta schiava per diritto di conquista, e ch’egli riservava pel suo proprio serraglio, si sdegna che il governatore ne abbia disposto senza il suo consenso; onde vedendo la sua preda vicina a scappargli di mano, di nuovo la rapisce e la costringe a seguire i suoi passi. Radovich e Lisauro inseguono il rapitore, lo assalgono. Alì, che ha seco gente, si difende. Ecco sciabole in aria; Zandira trova per caso tra gli alberi una scure da tagliar legna; coraggiosa la impugna, e fa dal canto suo prodigi di valore. Il corsaro cade a terra; mentre Radovich continua ad inseguire i Turchi. Lisauro s’impadronisce di Zandira, vuol rapirla. Ella si difende fino al ritorno di Radovich, cui nasconde per prudenza l’indegna azione del Greco; ma questo nuovo attentato la provoca a sdegno in modo, che Lisauro le diviene odioso. Sono tutti arrestati per ordine del governatore che vuol essere informato dell’accaduto; e trovando che Alì aveva meritato la morte, dà ragione agli Europei, e mostra così che in Affrica pure regna la giustizia ed equità al pari che in Europa. Lisauro finalmente è smascherato: ciò non ostante Radovich gli perdona, parte con la sua sposa, e così termina la commedia con la maggiore contentezza del pubblico. In quel giorno il teatro era pieno di Dalmatini, i quali furono di me sì contenti, che mi ricolmarono di elogi e di regali; ma ciò che mi appagò ancora di più, fu d’essere andato a genio al mio amico Sugliaga, persona che fa tanto onore a quell’illustre nazione.
Dopo una commedia di tanto brio comico e di tanto incontro n’esposi un’altra di stile veneziano, che lungi dal raffreddare il teatro lo scaldò in modo, ch’ella sola sostenne lo spettacolo per tutto il resto dell’autunno; il titolo di questa commedia è I Rusteghi. Son questi quattro cittadini veneziani del medesimo stato, dell’istessa fortuna e di egual carattere: uomini di rigida maniera ed insociabili, seguaci degli usi antichi, e nemici terribili delle mode, del divertimento e delle conversazioni del secolo. Questa uniformità di caratteri invece di rendere monotona la commedia forma anzi un quadro affatto nuovo e piacevole; poichè ciascuno di loro si mostra con chiaroscuri propri e particolari, provando con quest’esperienza che i caratteri degli uomini sono inesauribili. L’educazione, le abitudini diverse, le differenti condizioni, sono appunto le cose che fanno veder gli uomini d’uno stesso carattere sotto aspetti diversi. Le mogli, per esempio, contribuiscono infinitamente a raddolcire la ruvidezza de’ loro mariti, o piuttosto e renderli più ridicoli che mai. Tre de’ miei rusteghi hanno moglie; Margherita donna fastidiosa, collerica ed ostinata, rende Leonardo suo marito insoffribile. Marina con la sua stupidità e balordaggine non può nulla sull’animo di Simone suo sposo; e Felicita donna manierosa ed accorta fa di Canciano tutto ciò che vuole, e sa in modo adularlo che, comunque selvatico egli sia, non può negarle cosa alcuna. Giunge perfino a far tollerare al marito ch’ella tratti e riceva in casa il conte Riccardo. Canciano, da una parte rimproverato dai rusteghi suoi compagni, e dall’altra dominato affatto da sua moglie, e che in un tempo stesso vorrebbe essere compiacente all’una senza separarsi dalla società degli altri, si rende il personaggio più comico della commedia, riunendo in sè stesso il ridicolo dell’austerità e quello della propria debolezza. Felicita non limita solamente la sua ambizione ad addomesticare il marito, ma prende addirittura di mira tutta quanta la compagnia de’ Rusteghi. Si tratta di maritare la figlia di Leonardo e di Margherita col figlio di Maurizio, che forma il quarto originale della commedia. I genitori dei futuri coniugi dispongono il matrimonio a uso antico. Canciano che deve intervenire alle nozze ne fa parola a sua moglie, invitata anch’essa ad assistere alla cerimonia nuziale. Felicita ora va in casa degli uni, ora in casa degli altri, e tanto dice, e tanto opera, che si muta del tutto quanto era stato disposto. Infatti vi sarà buon pranzo, buona cena, festa da ballo, e il conte Riccardo pure sarà della conversazione. I Rusteghi, costretti a dare il loro assenso ne restano eglino stessi maravigliati, e sono obbligati a confessare che Felicita ha molto acume.
Ella è realmente saggia e cortese, onde non cerca che d’inspirare a loro il diletto d’una dolce compagnia. Ella ha guadagnato molto sulla rusticità dell’animo degli amici del suo marito; la sua famiglia non sarà più nell’inquietudine, ed ella godrà così il piacere di aver incivilito il suo sposo. La morale di questa commedia non è, per vero dire, di gran necessità nei tempi nei quali siamo, poichè non se ne trova quasi più uno di codesti adoratori dell’antica semplicità. Ciò nonostante vi sono alcuni uomini che la fanno da severi nelle lor famiglie, ed in qualunque altro luogo poi son compiacenti. Io li compiango quando abbiano da fare con una moglie simile a Marina, molto più poi se ne hanno una come Margherita, onde desidero sempre a loro una Felicita.