Memorie di Carlo Goldoni/Parte seconda/XXVII

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Carlo Goldoni - Memorie (1787)
Traduzione dal francese di Francesco Costero (1888)
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CAPITOLO XXVII.

Le smanie della Villeggiatura, commedia in prosa e di tre atti.

Filippo, uomo di una certa età, molto allegro, manieroso e liberale, ama di dividere con gli amici i comodi della sua fortuna. Possedendo una villa a Montenero, poche miglia distante da Livorno, vi va a passare la bella stagione con la signorina Giacinta sua [p. 219 modifica] figlia; vi conduce parenti, amici, tien tavola aperta, accoglie molta gente, sempre però senza soggezione, e senza dissestare i propri affari. Leonardo poi, che con medriocri sostanze pretende di figurare al pari degli altri, ha preso a pigione una villa egli pure a Montenero accanto a quella di Filippo, e vuole stare a competenza col suo vicino.

Apre la scena Leonardo, fa delle osservazioni e dei calcoli con Paolino suo cameriere e confidente, riguardo al dissesto de’ suoi affari, e la necessità di porvi qualche rimedio. Con tutto questo, siccome il suo vicino è per andare in campagna, bisogna seguirlo, ed è perciò necessario trovar danaro a qualunque costo; Leonardo ha uno zio molto vecchio e ricchissimo; i beni dunque dello zio pagheranno i debiti del nipote. La signorina Vittoria, sorella di Leonardo, fa essa pure i suoi preparativi per la villeggiatura di Montenero; ha già in casa quattro persone tutte occupate a lavorar per lei, e aspetta con impazienza un abito di moda, senza il quale mai e poi mai si cimenterebbe di comparire in un luogo, ove il lusso ed il buon gusto si contrastano a vicenda la preferenza.

Vi sono in Italia sarti da uomini e sarti da donne. Quest’ultimi avevano inventato una guarnizione per gli abiti del tutto nuova, alla quale avean dato il nome francese di mariage; consisteva essa in due nastri di diverso colore intrecciati fra loro in modo particolare, ed accomodati sopra una stoffa senza opera; l’abilità dunque del sarto stava unicamente nel variare i colori dei nastri e nel combinarli bene. La signorina Vittoria, avendo inteso che la sua vicina compariva in campagna col mariage, vuole assolutamente averne uno essa pure, ma il sarto, a cui va debitrice di molto, non è punto disposto a compiacerla; questo affare è per lei della più gran conseguenza, onde prega il fratello a differire la partenza per la campagna, ma egli non può, per essere nell’impegno di partire in compagnia di Giacinta che ama, ch’è ricca, e che spera di sposare. Giacinta non ama già perdutamente Leonardo, pure non lo disprezza, e non sentendo per anche inclinazione per gli altri, non ricuserebbe di dare a lui la sua mano. Lo crede bensì geloso, e però non si mariterebbe mai se non a condizione di non essere molestata. Un certo Guglielmo, giovine di buona famiglia, pulitissimo, molto garbato, ma estremamente furbo ed accorto, ama parimente Giacinta, aspira a possederla, e sa nascondere la sua fiamma e le sue mire: guadagna però l’amicizia del padre, e questi lo ammette alla conversazione, e gli offre un posto nella sua carrozza. Leonardo, che, invitato pur da Filippo, avrebbe dovuto occupare il quarto posto, è geloso di Guglielmo e ricusa di combinarsi con lui: si scusa però, differisce la partenza, e spera di andare così ai versi della sorella cui manca ancora il mariage. Niente affatto, il mariage è all’ordine; ella ha trovato il modo di averlo, ed è pronta a partire; onde la novità della sospensione del viaggio le reca sommo rammarico, l’addolora, la pone nella più gran furia. Le si fa credere che neppur Giacinta parta, e ciò vale ad acquietarla alquanto; ma si determina di andare in persona a trovarla per accertarsi se veramente ella resti o vada, e per osservare se il così vantato mariage di lei sia più bello del suo. Leonardo frattanto va a trovare un suo conoscente intimo di Filippo, e lo pone al fatto della sua inclinazione per Giacinta; lo prega di tenerne proposito col genitore, e nel tempo stesso gli confida la sua gelosia, fondata sulla libertà da Filippo concessa alla figlia, e sopratutto sul pericolo di vederla in compagnia di giovani che dánno [p. 220 modifica] cagione a ciarle riguardanti la condotta di lei. Fulgenzio, amico reciproco di Leonardo e di Filippo, s’incarica di tutto; proponendosi intanto di fare al primo qualche rimostranza relativamente alla smania di lui per la campagna, e alla dissipazione del suo tempo, e delle sue sostanze. Non manca di parola, e va a trovare il suo vecchio amico, che dopo le solite convenienze l’invita ad andare seco lui a Montenero: Vi ringrazio, risponde Fulgenzio: son già stato in campagna ad oggetto di aver occhio alla raccolta del mio grano, e vi sono andato anche per quella del vino; altro presentemente non mi occorre: io trovo veramente ridicolo l’andare in campagna, quando i primi freddi ci richiamano subito alla città. — Quindi Fulgenzio fa cadere il discorso sopra Giacinta; avrebbe da proporre per lei a Filippo un buon partito, ma è ritenuto dalla condotta tanto del padre, come della figlia; finalmente si spiega: Filippo conduce in campagna Guglielmo; ciò non torna bene per nessun conto; la gente mormora, e il pretendente vi rinunzierà. Filippo conosce che l’amico ha ragione veramente, però gli dà parola di allontanar Guglielmo per sempre dalla sua conversazione, e così rimanda Fulgenzio contento. Ma questo debole padre ne parla alla figlia, la quale, benchè non ami Guglielmo, pure, accorgendosi che tutto questo è opera di Leonardo, vuole sostener l’impegno; fa pertanto vedere al padre l’indecenza e l’inconveniente di negare ad un uomo onorato una officiosità offertagli volontariamente; e termina con dire, che per quella volta egli non può assolutamente dispensarsi di condurlo seco. Filippo presta fede alla figlia, la conosce cortese e ragionevole, onde non altrimenti a Guglielmo vien dato congedo dalla brigata. Queste mutazioni nell’animo di Filippo ne cagionano altrettante in casa di Leonardo; questi, assicurato da Fulgenzio, che Guglielmo sarebbe stato licenziato, si risolve di partir per Montenero, e la signorina Vittoria è contenta. Sentendo poi Leonardo che deve intervenirvi anche il suo rivale, cambia idea, non vuol partire, e ne rimane sconcertatissima la sorella. Questa signorina, imbrogliata e sommamente in collera per sentirsi dire ora sì ora no, prende la risoluzione di andar ella stessa da Giacinta, la sua cara amica, ma che non può in sostanza soffrire; ci va e la scena riesce piacevolissima: è un quadro al naturale della gelosia delle donne e dell’odio dissimulato.

Verso la fine dell’ultimo atto Fulgenzio ritorna alla casa dell’amico Filippo, ottiene il permesso di nominare il pretendente della figlia di lui, e questi è Leonardo. Filippo, che non ha contezza alcuna del dissesto della economia domestica del suo vicino, vi acconsente, e determina di parlarne a Giacinta egli stesso. Fulgenzio rammenta sempre a Filippo che deve ciò succedere a condizione che Gugliemo non sia della compagnia, ma nel tempo di tal discorso Guglielmo si trova appunto nel quartiere della signorina per dover con essi partire. Comparisce infatti un momento dopo questo giovine, e Fulgenzio resta maravigliato di vederlo; ma Filippo, per sbrogliarsene, gli chiede in grazia che vada a far preparare i cavalli per la partenza. Intanto sopraggiunge Leonardo, incontra Guglielmo, e sente da lui la commissione per cui va fuori. I discorsi che si tengono dalla parte di Filippo e da quella di Fulgenzio, richiamano la curiosità di Giacinta. Essa dunque si presenta, impone a tutti silenzio, perora la sua causa, vince la sua lite, ed ecco con quai mezzi. Troppo bene ella si era accorta che Leonardo avea propensione per lei, ed ella nol riguardava con indifferenza, ma egli non si era dichiarato per lei, che da quel momento; tuttavolta, [p. 221 modifica] lungi dall’opporsi alle proposizioni di un uomo stimabile, si faceva anzi un onore ed un piacere di aderire alle paterne insinuazioni, riguardando come preciso suo dovere l’uniformarsi ai desiderii di quella persona per cui pareva dal cielo destinata. Ma poi essa non era, fino a quel giorno, debitrice a Leonardo di cosa alcuna, e molto meno suo padre; onde, essendo ambedue nell’impegno di condurre seco loro in campagna un uomo onorato, giovine savio e rispettabile, sarebbe stata un’azione sommamente indegna il non condurlo; che però chiunque esigesse per prima testimonianza di considerazione il sacrifizio della civiltà e della convenienza, non potrebbe mai sperare di meritar la sua stima e molto meno di possedere il suo cuore. Filippo resta incantato alla prontezza e all’energico parlare di sua figlia; e Leonardo, che è amante ed è inferiore di ingegno alla sua bella, riman persuaso delle ragioni di lei e la lascia arbitra del suo volere: Fulgenzio poi dice da sè solo, che se fosse giovine, non sposerebbe Giacinta quando anche avesse un milione di dote. Frattanto arriva Guglielmo, i cavalli son pronti, la brigata è combinata: tutti stanno per partire, altro non vi è che una piccola mutazione proposta da Giacinta medesima, cioè che Leonardo andrà in compagnia sua e del genitore, ed una vecchia zia e Guglielmo con la signorina Vittoria e la cameriera di lei. Troppo era accorto questo giovine per esser dolente di questo cambio; sapeva soffrire, ed aspettava il momento favorevole; lo trovò di fatti in campagna, e seppe profittarne. Questo appunto è il soggetto principale della seconda commedia.