Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
218 | parte seconda |
Alla fine del mese di settembre lasciai la compagnia di Bagnoli, e me ne ritornai a casa per assistere all’apertura del teatro. Esponemmo per la prima volta il Cavalier Giocondo, commedia di cui mi sarei forse scordato affatto, se non l’avessi veduta stampata, mio malgrado, nell’edizione di Torino: nella sua prima recita non andò a terra: era in versi, non era dispiaciuta a nessuno, ma io solo ne ero il disgustato. Il fondo di essa può veramente dirsi cosa di nulla, consistendo in un balordo chiamato Giocondo, a cui era stato dato per buffoneria il titolo di cavaliere, da lui con pretensione sempre conservato, tenendosi inoltre in conto di gran viaggiatore per aver percorso la Lombardia per trenta leghe di circuito. In conseguenza pertanto dei considerabili viaggi da lui fatti, aveva preso una grandissima affezione ai forestieri, ricevendone in propria casa di ogni specie. La signora Possidaria, sua moglie, leggiera e folle quanto il marito, faceva goffamente gli onori di casa; onde tutti due pagavano a gran prezzo il piacere di essere adulati da questi, posti in mezzo da quelli, e disprezzati da tutti. La morale di questa commedia potrebbe essere di qualche utilità quando fosse meglio condotta, ed i differenti personaggi meglio connessi e più importanti.
Io son di sentimento, che l’individuo incaricato della correzione delle prove dell’edizione di Torino avesse preso a noia questa commedia al pari di me, poichè non può concepirsi la quantità degli errori da me trovativi. Lasciamo dunque là in abbandono questa povera disgraziata, di cui forse taluni mi chiameranno padre snaturato; ma io parlerei de’ miei figli, se ne avessi, nel modo stesso appunto che parlo delle produzioni del mio ingegno. Dopo questa commedia in versi n’esposi un’altra, la quale, malgrado lo svantaggio della prosa, piacque molto ed ebbe molto incontro. Vedrete, mio caro lettore, che nel darvi nel capitolo XXIII l’estratto di una commedia intitolata: La Villeggiatura, dico di averne tre altre sopra il soggetto medesimo, delle quali eccovi i titoli: Le smanie della Villeggiatura. — Le avventure della Villeggiatura. — Il ritorno dalla Villeggiatura. — In Italia, ma principalmente poi a Venezia, questa smania, queste avventure e questi dispiaceri somministrano certe ridicolezze propriamente degne del teatro comico. Non si avrà forse in Francia idea di un tal fanatismo, per cui si rende la campagna un affare di lusso, piuttosto che di sollievo e passatempo. Io per altro ho veduto, dappoichè sono a Parigi, parecchie persone le quali senza aver un pollice di terreno da coltivare, tengono ciò nonostante con somma spesa le loro ville, ove si rovinano al pari degli Italiani; onde la mia commedia, risvegliando un’idea della follìa dei miei compatriotti, fa intendere di passaggio che dovunque gli uomini si sconcertano nei loro interessi, quando nella loro mediocrità di fortuna voglion porsi a livello coll’opulenza. Nei capitoli che seguono vedrete l’analisi di queste tre commedie.
CAPITOLO XXVII.
- Le smanie della Villeggiatura, commedia in prosa e di tre atti.
Filippo, uomo di una certa età, molto allegro, manieroso e liberale, ama di dividere con gli amici i comodi della sua fortuna. Possedendo una villa a Montenero, poche miglia distante da Livorno, vi va a passare la bella stagione con la signorina Giacinta sua fi-