Memorie di Carlo Goldoni/Parte seconda/XIV
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CAPITOLO XIV.
- La Serva amorosa. — La Moglie di buon senso. — I Mercanti, e Le Donne gelose; quattro commedie in tre atti ed in prosa, loro compendio, loro buon successo.
Nei giorni di riposo a motivo della novena del Natale, successe un avvenimento assai felice per il Medebac, nè meno piacevole per me. Il Marliani, brighella della compagnia, aveva moglie, Essa, che avea fatto la ballerina di corda come lui, era una giovine veneziana molto bella, molto amabile, piena di vivacità e ingegno, e che manifestava disposizioni felicissime per la commedia. Lasciato il marito per alcune giovanili scapataggini, dopo tre anni tornò a riunirsi con lui, e prese la parte di servetta sotto il nome di Corallina, nella compagnia del Medebac. Ell’era tutta grazia, ella recitava le parti di servetta; non trascurai adunque di adoprarmi per lei, presi cura della sua persona, e composi una commedia per la sua prima recita. La signora Medebac mi somministrava idee stupende, tenere e proprie di una comica semplice ed intelligente; e la signora Marliani con la sua vivacità e naturale accortezza, dava nuovi impulsi alla mia immaginazione, risvegliandomi il coraggio di lavorare in quel genere di commedie, che richiede appunto artifizio e finezza. Diedi pertanto principio alle medesime con la Serva amorosa, ciò è la serva di generoso carattere, giacchè l’adiettivo di amoroso in italiano si adatta tanto all’amicizia, come all’amore. Corallina dunque, giovine vedova e antica serva di Ottavio, vecchio negoziante veneziano, affezionata per pura amicizia e senza interesse alcuno a Florindo figlio di primo letto del suo padrone, dà ricetto al medesimo in propria casa, prendendosi cura con tutto il cuore di questo disgraziato giovine scacciato per istigazione di un’avida e barbara matrigna dall’abitazione paterna. Non è ancor tutto. Florindo ama Rosaura unica figlia di Pantalone, e ben conosce l’inclinazione di questa ragazza verso di lui; ma la severità del padre lo pone fuori d’occasione di ammogliarsi, e d’altra parte si crede in obbligo di sposar Corallina per debito di riconoscenza. Questa virtuosa donna appunto si rifà dal disingannarlo circa il timore ch’egli aveva di dispiacerle, ammogliandosi con un’altra; in seguito tanto si adopra, che finalmente giunge a persuadere Pantalone a concedere a Florindo la propria figlia, quando però rientri in casa paterna. Per conseguir quest’intento, bisognava guadagnarsi la confidenza di Ottavio, e distruggere nel tempo stesso tutti gli artifizi e le calunnie di una femmina malvagia e ben affetta. Corallina vi riesce a maraviglia col mezzo del suo ingegno; infatti convinto Ottavio delle falsità di sua moglie, riconosce appieno l’innocenza del figlio, e a favore di lui rivolge il già ideato testamento. Questa commedia riportò un completo incontro; Corallina fu sommamente applaudita, ma fin da quel momento divenne per la signora Medebac una rivale formidabile. In tale condizione era assolutamente necessario contentare la moglie del direttore, essendo troppo giusto il sostenere e l’appagare quest’attrice, stata tre anni la principal colonna del nostro edifizio. A tale oggetto attesi subito ad una commedia espressamente lavorata per lei, ch’era la Moglie saggia. La contessa Rosaura ha la disgrazia di avere un marito brutale, disprezzatore della dolcezza di sua moglie, e cicisbeo della marchesa Beatrice, di carattere cattivo quanto lui. Si andava generalmente dicendo per Venezia, che la prima scena di questa commedia era un capo d’opera. Essa presentava l’anticamera della marchesa, nella quale si vedevano alcuni servitori che stando a bere del miglior vino di casa, facevano al vivo il ritratto dei padroni, che avevan là cenato, e lacerandoli con le loro maldicenze, informavano il pubblico del soggetto della commedia e dei caratteri dei personaggi. La contessa Rosaura faceva tutto il possibile per guadagnare il cuore del suo consorte, ma quest’uomo, duro e senza senno, preferiva piuttosto alle carezze di una moglie amabile il pazzo orgoglio d’una cicisbea imperiosa e piena di capricci. Un giorno Rosaura prende il partito di andare ella stessa a fare una visita alla marchesa, a cui pone sotto gli occhi, con tutta la possibile decenza, i disgusti che era forzata a soffrire, pregandola di compiacersi di adoprare tutto il suo credito presso il conte a fine di impegnarlo a renderle un poco più di giustizia. Beatrice, punto balorda, comprende subito la maniera di agire della contessa, onde se la cava con espressioni vaghe e complimenti. Essa però spiega al conte tutto il suo furore e malanimo, e lo istiga a tal segno, che finalmente lo determina a disfarsi della moglie. Questo marito crudele concepisce pertanto il barbaro disegno di avvelenarla; per buona sorte la contessa n’è avvertita e lo inganna, facendogli credere di aver trangugiato la micidiale bevanda; onde parla al medesimo come una vittima spirante, che sempre però lo ama e gli perdona. Il conte, penetrato e pentito, confessa i suoi falli e grida aiuto per richiamare in vita la cara consorte, comparisce allora la cameriera che si accusa di aver saputo il segreto, di aver barattata la boccia, e di avere così, a dispetto del padrone, salvato la vita alla signora. A questo dire resta egli rapito dalla gioia, abbraccia di cuore la moglie, ricompensa la cameriera, detesta la marchesa, e da essa prende congedo immediatamente. Ecco il felice scioglimento della commedia che fu generalmente e costantemente applaudita, ed ecco la signora direttrice guarita dalle convulsioni, che la gelosia le aveva causate.
Avendo pertanto fatto fare una magnifica figura alla vecchia e nuova attrice, non bisognava dimenticarsi del Collalto, eccellente ed essenziale attore, quanto le sue compagne. Egli aveva avuto parte nei Due Gemelli, ma non vi era riuscito bene quanto il Darbes suo predecessore, per il qual soggetto appunto era stata composta una tal commedia. Immaginai adunque per questo nuovo attore una commedia dell’istesso genere a un dipresso, facendo recitare nella commedia medesima Pantalone padre e Pantalone figlio; il primo con la maschera, l’altro a viso scoperto, ed ambedue nel medesimo costume. Questa commedia aveva per titolo nella sua prima origine I due Pantaloni, ma attesa la difficoltà d’incontrare in seguito due attori abili quanto il Collalto, mutai nello stamparla questi due personaggi, dando il nome di Pancrazio al padre, e quello di Giacinto al figlio, facendoli entrambi parlar toscano. Con questa mutazione guadagnai la facilità di farli ambedue comparir sulla scena in un tempo medesimo; incontro, che avevo per necessità dovuto evitare, quando sosteneva le due parti un solo attore. La commedia quanto alla maraviglia di vedere un sol uomo in due personaggi diversi, scapitò assai, ma la composizione è sempre la stessa, e mi accingo appunto a dir di essa qualche cosa relativamente alla sua nuova forma, nella quale fu intitolata I Mercanti. Pancrazio, negoziante veneziano, ha un amico intimo che esercita la stessa professione, ed è un olandese molto ricco, chiamato Rainemur, abitante lo stesso paese insieme a Giannina sua figlia, sommamente istruita e giudiziosa. Giacinto, figlio di Pancrazio è portato ai divertimenti ed ai piaceri senza però esser libertino. S’innamora di Giannina, ne è corrisposto, e lo sarebbe ancor più, se avesse buon senso quanto la sua bella: ella stessa però si prende a cuore di correggerlo, ottiene l’intento, e lo sposa. Ecco tutta la sostanza e lo scioglimento della commedia; è però vero, che i caratteri opposti del padre e del figlio, unitamente all’interposizione dell’amico olandese, producono scene assai piacevoli. Non potrei darne i particolari senza passare i limiti propostimi in queste Memorie, onde mi contenterò solamente di dire, che una tale commedia felicissima nell’esito coll’illusione de’ due Pantaloni, non lo fu niente meno in parecchi teatri d’Italia, esposta anche come si vede stampata. Ero pertanto contentissimo della riuscita di tre commedie date nel corso di un carnevale; ma avvicinandoci a gran passi alla fine dell’anno comico, era necessario far la chiusura del teatro con qualche cosa che divertir potesse le persone che non concorrono agli spettacoli se non se negli ultimi giorni, senza disgustar dall’altro canto quelli che lo frequentano tutto l’anno. Non avevo indugiato fino a quel momento a provvedervi, essendo già un mese che avevo composta una commedia a questo unico fine, il cui titolo era Le Donne gelose, commedia all’uso di Venezia. Il principale personaggio di essa è una giovane vedova chiamata Lucrezia, che ha la sorte di vincere di tempo in tempo al giuoco del lotto, e che con tal mezzo fa molta più figura di quello che le permetta il suo stato. Questo è un primo motivo di gelosia e di maldicenza per le sue vicine e conoscenti; ma ve ne sono anche altri più efficaci. Mariti, padri di famiglia innamorati, si portano a casa di Lucrezia, gli uni per consultarla sopra i buoni o cattivi numeri del lotto, e gli altri per prendere a nolo abiti da maschera sopra i quali essa fa un piccolo traffico. È la gelosia un animale di cento teste, fra le persone di basso ceto in ispecial modo. Gli uomini hanno un bel dire e un bel fare; dalle rispettive loro mogli sono contati tutti i loro passi, interpretate sinistramente tutte le loro parole, e riguardate come infedeltà le loro più semplici azioni; Lucrezia insomma è la versiera del quartiere. Ella però nulla teme. Si difende a maraviglia con la sua avvedutezza, col mezzo di servigi che va rendendo, e con le prove più convincenti della sua onestà; in una parola giunge ad umiliare e confondere le maldicenti, obbligando le gelose nemiche al silenzio.
Questa commedia produsse il miglior effetto; la parte poi di Lucrezia, sostenuta da Corallina, fu rappresentata con tanta verità ed energia, che la composizione ebbe il successo più splendido. Tanto peggio per la signora Medebac; la povera donna ricadde subito nelle solite convulsioni.