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capitolo ventesimosettimo. 87

tura nella testa. Anita partorì in casa d’un abitante di quella campagna, nelle vicinanze di un piccolo villaggio chiamato Mustarda, ed ebbe tutte le cure immaginabili da codesta generosissima famiglia per nome Costa. Io sarò riconoscente a quella buona gente tutta la vita. Ben valse alla mia buona consorte trovarsi in quella casa, poichè le miserie che si pativano allora nel nostro esercito erano giunte al colmo, e certo io non avevo come regalare la mia cara partoriente ed il mio bambino con un solo fazzoletto. Mi decisi, per assistere i miei cari con alcuni panni, a fare un viaggio alla Settembrina, ove alcuni amici, massime l’eccellente Blingini, mi avrebbero sovvenuto di qualche cosa.1

In conseguenza, mi misi in viaggio attraverso le inondate campagne di quella parte tutta alluvionale della provincia, ove per giorni intieri io viaggiava con l’acqua sino alla pancia del cavallo. Passai nella Rossa Velha (vecchio campo coltivato), ove incontrai il capitano Massimo dei lancieri liberti, il quale mi accolse da vero e generoso compagno. Egli era stato preposto, con un distaccamento dei suoi militi, alla custodia delle cavalladas (cavalli di riserva) in quelli eccellenti pascoli. Giunsi in quella località di sera, con forte pioggia, vi passai la notte, ed all’alba dell’altro giorno, essendo il temporale anche maggiore, mi rimisi in viaggio, contrariamente al parere del buon capitano, che voleva fermarmi per aspettare tempo migliore. Premevami troppo la mia missione per differirla, e mi avventurai nuovamente in quel diluvio di inondazioni. Alla distanza d’alcune miglia, udii delle fucilate dalla parte da dove ero partito, mi nacque alcun sospetto, ma non potevo far altro che proseguire. Arrivai alla Settembrina, comprai alcune cosarelle di panni, e mi avviai nuovamente verso San Simon. Nel ripassare alla Rossa Velha seppi la causa delle fucilate ed il tristissimo caso accaduto al


  1. La Repubblica non pagava i suoi militi, nè perciò era peggio servita.