Memorie autobiografiche/Primo Periodo/XXVI

Primo Periodo - XXVI. Spedizione del Nord

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Capitolo XXVI.

Spedizione del Nord.


Il nemico, a motivo delle sue escursioni nella campagna, avea sguarnito alquanto di fanteria le sue piazze forti. San José do Korte trovavasi in quel caso. Questa piazza, situata sulla sponda settentrionale dell’imboccatura della laguna dos Patos, n’era una delle chiavi, ed il suo possesso avrebbe potuto cambiare la faccia delle cose. L’utile principale da ricavarne era: vettovaglie d’ogni specie, armi e munizioni.

La gente nostra trovavasi in miserabilissimo stato, e colà poteva anche vestirsi e provvedersi d’ogni cosa utile. Quel punto poi era non solo importantissimo come dominante l’entrata della Laguna, unico porto della provincia, ma eravi da quella parte l’atalaya, cioè l’albero dei segnali per i bastimenti a cui indicava la profondità delle acque nella barra (foce).

Sventuratamente successe in questa spedizione lo stesso che in Taquary. Portata l’impresa colla maggior sagacia e segretezza sino vicino ad ultimarla, se ne perdette il frutto intieramente per non aggiungere [p. 84 modifica]l’ultimo colpo. Una marcia continua di otto giorni a non meno di venticinque miglia al giorno ci mise inaspettati sotto le trincee della piazza. Era una di quelle notti d’inverno in cui un ricovero ed un pò’ di fuoco sono una vera fortuna, ed i poveri militi della libertà, laceri ed affamati, colle membra intrise dal freddo, esposti a fitta pioggia di un tempestoso diluvio che ci aveva accompagnati in tutta la marcia, avanzavansi silenziosi ed intrepidi contro i forti e le mura guarnite di sentinelle. A poca distanza eransi lasciati i cavalli sotto la custodia d’uno squadrone di cavalleria, e ciascuno rotolando i miseri cenci preparavasi all’assalto, che doveva aver luogo al primo «chi va là» delle sentinelle. I militi della Repubblica assalirono quelle mura come lo avrebbero potuto i primi soldati del mondo. Pochi furono 1 tiri d’artiglieria e di moschetteria del nemico, poca la resistenza sulle mura, ed i nostri montando sulle spalle l’uno dell’altro in poco tempo furon nell’interno della piazza. Alcuna resistenza di più fecero i quattro forti che dominavano la trincea. A un’ora dopo mezzanotte principiò l’attacco ed alle due eravamo padroni della trincea e di tre forti, con perdite relativamente indifferenti e senza aver sparato un tiro da parte nostra. In potere delle trincee di tre forti su quattro e tutti dentro la città, sembrava impossibile non dovessimo rimanerne padroni. Eppure I anche questa volta si doveva aver la peggio! La stella della Repubblica tramontava, e la fortuna era nemica al duce nostro. Trovandosi dentro la città, i militi nostri, affamati e cenciosi, credettero altro non vi fosse da fare che mangiar bene, bever meglio, vestirsi e depredare. La maggior parte quindi si dispersero coli’ idea del saccheggio. Intanto, riavuti dalla sorpresa, rannodaronsi gli Imperiali in un forte quartiere e fecero testa, in numero d’alcune migliaia. Li assalimmo e ci respinsero. Cercavansi i nostri militi per rinnovare gli attacchi e non si trovavano, o se s’incontravano erano carichi di bottino, ebbri e senza volontà di rischiar la vita, [p. 85 modifica]essendo divenuti ricchi. Parte di loro avean danneggiato i fucili servendosene per abbattere le porte delle case e dei negozi che volevano depredare; altri li avevano senza pietre focaie che avevano perdute. Il nemico da parte sua non perdeva tempo; vari legni da guerra, che si trovavano nel porto, presero posizione infilando le strade da noi occupate, giacché il paese era proprio edificato sulla sponda del lago.

Da Rio Grande del Sud, che si trova a poche miglia sull’altra sponda, mandarono soccorsi di truppe; e l’unico forte che noi avevamo trascurato di occupare, fu occupato dai nemici. Il forte maggiore dei quattro, detto Imperiale, da noi assaltato e conquistato nella notte, e che trovavasi dominante nel centro della linea di trincee, la cui possessione era importantissima, fu inutilizzato da una esplosione terribile delle polveri, che ci ammazzò e ferì molta gente.

Io ricordo sempre: non era ben chiaro ancora nella mattina quando successe la catastrofe; ricordo, dico, d’aver veduti i nostri uomini che occupavano quel forte scaraventati nell’aria come lucciole,. accesi dall’incendio delle vestimenta e gettati sul suolo orribilmente mutilati. Infine il più glorioso dei trionfi cambiossi verso mezzogiorno in una vergognosa ritirata, quasi una fuga. I buoni, che aveano sostenuto in pochi il combattimento sino alla fine, piangevano dalla rabbia e dal dispetto. La nostra perdita fu comparativamente immensa: da quel giorno la nostra fiera fanteria di liberti divenne uno scheletro.

Poca cavalleria era venuta alla spedizione, e valse a proteggere la ritirata. La divisione marciò ai suoi alloggiamenti di Bellavista, ed io rimasi colle reliquie della marina in San Simon, stabilimento situato sulla sponda della laguna dos Patos. La marina era ridotta ad una quarantina d’individui tra ufficiali e militi.